Archivi del mese: marzo 2011

Ed è così che sono in cerca di una casa

Sono un emigrante. Adesso è ufficiale, c’è scritto in questo coso che conta cinquanta pagine e costa quasi cento dollaroni. Ma come per l’età che non ha bisogno di una carta per certificarla così questa mia condizione non necessita di un passa(aereo?)porto per essere autentica, di questo colore orrendo poi.
Me ne sono accorto quando sono tornato a casa, da Milano. Casa. Che concetto strano. Casa è il posto in cui hai vissuto per più tempo o è casa dove ti trovi meglio? E’ il posto dove vivono i tuoi genitori o è quel posto in cui sei più comodo a dormire e a fare la cacca? Perché casa mia non so più qual è, questi criteri se applicati forzatamente sono inadeguati per decidermi.
Sono felice ogni volta che torno, ovvio, anche il vecchio di Como che ho incontrato sul bus terminal-aereo era euforico alla sola idea di vivere in Sicilia anche solo per qualche giorno: e io qua, in questo paradiso italiano, ci sono cresciuto e vissuto per quasi vent’anni. Ma casa è un posto bello? O è forse un posto spazioso e luminoso?
Perché dopo l’inevitabile felicità iniziale, sono iniziate a mancarmi alcune comodità che soltanto la mia due.quattro.quattro, la casa di Milano, mi fornisce. Qua a casa mia è tutto diverso, ma come può essere una cosa diversa se sei già a casa tua? Diverso da cosa? Qual’è la mia casa, ditemelo voi, io non lo so. La mia mamma e mio fratello non sono una casa, altrimenti sarebbero loro la mia casa. E a quel punto sarebbe molto facile traslocare, perché basterebbe fare un biglietto per tre persone. Ma la casa è un posto, fatto di cemento o anche di legno. E’ un posto che non si sposta, è quel posto che fai sempre fatica ad accettarlo ma che poi farà un’impronta nei tuoi ricordi e ogni volta che la lascerai, anche se per qualche giorno, lei te lo rinfaccerà lei lo ricorderà e tu piangerai la sua lontananza. Ma quando torni casa è lì aperta per te, come se non te ne fossi mai andato. Casa potrebbe essere una fidanzata fedele, un po’ gelosa e capricciosa, ma fedele.
E io, io non posso essere poliga(casa)mo. Di casa se ne ha una per volta, con i relativi tempi di guardia. 
Oggi ho chiamato lo zio Joe, hello joe, i’m gio..ele. joe? Joe, lo zio dell’America.
Manca poco e cambierò di nuovo casa. E quella Milano di merda, quella Milano che qualche volta piove e c’è tanto freddo, quella Milano un poco mi mancherà. Diecimila chilometri un mare e un oceano sono così tanti che anche la “vicina” Milano mi mancherà. E il mio pensionato, un po’ perfino la mia casa degli ultimi tre anni mi mancherà. Che strano, è tre anni che dico che tutti questi posti fanno schifo.
Conosco una vecchia amica che è felice di non avere casa, di viaggiare il mondo come fosse una trottola. Così io penso di lei. Come si può scegliere di non sognare una casa? E’ bello il viaggiare l’esplorare il mondo e il conoscere nuovi mondi di idee, ma io ho bisogno di pensare che in qualche parte del mio futuro ci sarà una casa ben ancorata al suolo e sempre quella sarà la mia casa. Non riesco a sognare di fare del viaggio la mia casa, io quando viaggio sono esterefattamente strano. Vedere luoghi che potresti non rivedere mai più mi rendono malinconico, che è soltanto una tristezza un po’ divertente. Chissà quando dovrò tornare in Italia se sarò triste di lasciare la mia nuova casa, chissà dove sarà la mia casa ben ancorata.
Forse sono nato per partire via. Non so se è perché sono del meridione, perché sono italiano o perché sono semplicemente Gioele. Ma quand’ero nell’era pre-polimi io se ero triste andavo via da casa, e adesso nell’era odierna è un continuo partire, un continuo sognar progetti di partenze. E in tutto questo, dicevo, mi sono scordato dov’è la mia vera casa, che senza ancore è pericoloso partire per l’oceano.
Ed è così che sono in cerca di una casa.

Sia dato un array bidimensionale…

Questo è un super-post, mille cose da scrivere che ho tutte appuntate. Prima cosa, è necessario aver letto questo post qui (http://gas12n.blogspot.com/2011/02/verso-il-paese-immaginario.html) per capire tutti i nessi di questo intervento qui. E comunque questo sarà un post luuuungo lunghissimo.

E’ finito il semestre. E’ una liberazione di cui però non mi sono ancora reso conto. Sarà che ho la testa che scoppia ma pian piano sono sicuro che la leggerezza della ritrovata libertà tornerà a farsi sentire. Non possiamo definirlo il mio miglior semestre, ma sono sicuro che ho fatto altri passi avanti verso la mia laurea breve. Breve è soltanto un altro nome per dire insignificante. Fatto sta che devo passare da qua, e ci sto passando il prima possibile. Proprio oggi ho fatto il mio ultimo esame, Reti Logiche. Ho fatto qualche errore che certificano l’autenticità, diciamo che la mia firma è già il primo errore: sono comunque molto soddisfatto della prova complessiva. Tanto per provare, copio un esercizio dell’esame del 25febbraio. Il corso si chiama “Algoritmi e principi dell’informatica”. Principi non sta per cose iniziali quindi semplici. A dire il vero ho il sospetto che sia l’ennesima illusione del politecnico: viene ritenuto ad ogni modo insieme a Fisica il corso più difficile della triennale. Ecco il testo:

Sia dato un array bidimensionale A di m righe ed n colonne. Supponendo che ciascuna riga sia ordinata in ordine crescente descrivere un algoritmo che riunisce le m righe di A in un’unico array ordinato B di n*m elementi. L’algoritmo deve richiedere tempo O(nm log m).(Suggerimento: mantenere il primo elemento non ancora copiato in B di ciascuna riga in un heap H di m elementi).

Un array bidimensionale è una matrice, una sorta di scacchiera con emme righe ed enne colonne. Bisogna inventarsi un algoritmo che richiede come tempo massimo (il tempo è strettamente collegato al numero di mosse che si fanno per ordinare gli elementi e metterli nell’array monodimensionale, che invece sarebbe una lunga sequenza di caratteri) nm*log(m).
Il suggerimento aiutava un po’ ma vi assicuro che non era affatto semplice. Io ho trovato un algoritmo(=sequenza di passi eseguibili con una benda sugli occhi) che lo risolve in O (nm*log(nm)). Sembra essere buono, quasi uguale. Invece è una ciofeca, è una soluzione ritenuta banale e sarò fortunato se mi daranno 4-5 punti sui 10 circa che valeva l’esercizio. Gli altri due esercizi del compito di sicuro non miglioravano, perciò scusate se quando vado in giro mi riempo la bocca dicendo I N G E G N E R I A. Ogni facoltà ha la sua importanza, senza dubbio, ma non iniziate a dire che sono tutti difficili uguali. Neanche sono difficili ma in una maniera diversa mi sa di una frittata rigirata. Ci sono facoltà più difficili e altre meno difficili: ed ingegneria è più difficile. Quando farò Scienza del fiore forse dirò che sarà quello il corso più difficile, che sti cazzi, mica è facile far girare un girasole…per adesso faccio ingegneria informatica.

Ecco, questo sono io. Commento alla mia foto. Innanzitutto la mia faccia è a colori, ma Sergio (qui potete vedere il suo canale su flickr), l’uomo che ha ritoccato questo bel visino adotta spesso il b&n.
La barba sembra meno lunga in foto, in realtà il baffo sta iniziando a darmi fastidio e a volte mi rantolo grattandomi il viso. Io la barba l’ho sempre tenuta corta. Una volta la tagliavo con la lametta due volte alla settimana, perché mamma mi diceva che altrimenti sarei sembrato disordinato. Poi mi dissero che la barba poteva essere una cosa bella, cioè che mi stava bene la barbetta. E allora mi dissi che era un buon pretesto per evitare questa scocciatura, perciò ora mi limito a spuntarla col rasoio elettrico una volta a settimana. Tania, la signora della mensa, dice che sembro un barbone: di quelli che vagabondano per strada, si capisce. Il portiere ragusano della residenza dice che devo fare la comparsa in un film, per questo c’ho la barba lunga. In realtà è come dicevo nel post precedente, frutto di scaramanzia. Anche se oggi in segreteria ci hanno scambiato per dei ragazzi in erasmus, ce l’ho la faccia da spagnolo o no?
Il mio nasino sembra storto, e lui non lo è. Però sembra nella foto effettivamente. E poi è così strano vedersi così da vicino. Le mie cicatrici sembrano ancora più profonde, ma ho superato la fase della vergogna. Adesso sono quasi un vanto, mi danno l’aria del tipo dall’adolescenza burrascosa. Lo è stata del resto. Si vede pure il piccolo neo sul labbro, sembro uno importante solo per quel neo. E poi sotto l’occhio sinistro c’è la fossetta dovuta alla caduta in bici, che testimonia che oltre all’adolescenza anche la mia infanzia non è stata esente da “infortuni”.
Chissà cosa starò facendo quando rivedrò questa foto, cosa mi ricorderà rivederla dopo anni e cosa dirà mia figlia quando vedrà questa foto dentro una cornice in una mensola polverosa di una vecchia libreria. Come dici duli, le racconterò un’altra lunga storia. Di quella volta che ero amico con uno che si chiamava forse Sergio, di quando vivevo a Milano e c’era sempre freddo, di quando vivevo in una stanza che mi sembrava un’intera casa. Di tanto le parlerò, sono un chiacchierone infatti.

G: fratello
G: nn funziona la somma in binario
G: sto pensando a quanto si è felice da ziti..
G: nn m sembra un pensiero attinente all’aritemica
S: compare io qua non ti posso dire che non è vero
S: ma si può essere felici da ziti così come da single
G: lo sai con me che da ziti è n’altra cosa
S: la felicità non risiede necessariamente nello stare insieme
G: si può andare a 50 anche di prima
G: ma in seconda è tutta n’altra cosa
S: tutto è relativo, bro. Tutto è relativo!
G: il più piccolo si adegua al più grande con l’esponente no?
S: se
S: anche quando si è ziti

Questo è una normale discussione in periodo d’esame. Passato, ricordi, e presente: esame imminente! Capita così che si mischiano i discorsi e talvolta si fanno ragionamenti del tutto spettacolari intrecciando il presente e il futuro.
Io adesso sono appena tornato da casa di Sergio. Sono andato lì proprio per prendere un libro che leggerò domani, nel lungo viaggio che mi riporterà in Sicilia. Ho finito il libro sui numeri primi, gran bel libro. Per tante cose, alcune le ho scritte qua. Adesso tocca iniziare questo libro che Sergio dice che è bellissimo. Inizia così:

Tu mi ricordi una poesia che non riesco
a ricordare una canzone che non è mai esistita
e un posto in cui non devo essere mai stato.

Beh l’inizio non è promettente, io mi ricordo di molte cose. Sono molto abile a ricordare le cose del passato, sarà questo il mio problema? Lo scoprirò solo leggendo.
Io adesso devo andare a togliermi questa barba, sennò domani al metal detector mi fanno levare pure le mutande. La valigia è già stata fatta, l’umore è abbastanza positivo anche se continuo a percorrere le mie strade di prima, Khadir non è ancora rientrato dal suo viaggio a Valencia e sto ascoltando Mistero in tv. Mi godo questi attimi, che ne so che domani l’aereo fa crac e domani tutti voi piangerete leggendo questo intervento. Però sono o non sono stato un bravo ragazzo?