Archivi del mese: giugno 2011

Matti, mio fratello

Se dovessi scegliere una sola persona per cui io sarei disposto a dare la cosa più preziosa che ho, la mia vita, sceglierei mio fratello.
Del perché gli voglio così bene non mi sono mai domandato fino a trovare una risposta ma forse non ce n’è davvero bisogno. Spero che non sia solo perché abbiamo lo stesso sangue, in tal modo sarebbe una cosa assolutamente non arbitraria. E questo mi infastidisce.
Siamo maschi, ma questo non c’entra. Sono io che non riesco in alcune occasioni e con alcune persone a esprimere i miei sentimenti e mi viene perfino difficile scrivere questo di lui sapendo che potrebbe leggere. Trovo la forza oggi perché al momento si trova ad Ancona a sostenere i test fisici della Marina.
L’ultima volta che ho pianto è stato pensando a lui. Il momento era inopportuno ma non sempre si può scegliere e soprattutto alcune cose non si possono scegliere.

Durante l’ultima gara di Scherma

Lui è più di un fratello per me e talvolta è stato anche troppo per me. Nonostante ci separino solamente cinque anni e mezzo a volte i ruoli familiari si sono mischiati, intrappolati in dinamiche arzigorzolate. Ma il tempo e la maturità sbroglia anche i nodi più stretti.
Nonostante questo non gli ho mai detto cosa provo per lui e il massimo che gli ho concesso è stato dormire con me ogni notte precedente il mio ritorno a Milano. Se dovesse esserci una persona che possa fermare il mio Canada quella sarebbe lui, se potesse esserci un motivo per tornare in bici a casa quello sarebbe il suo motivo.
Dormire con mio fratello comunque, e lo dico a mia totale discolpa, è un atto di grande amore fraterno. Appiccicoso come un polpo, ti si avvinghia intorno sia nei mesi d’inverno che in quelli bollenti, ama mettersi di traverso nel lettone e non si sa ancora bene il motivo (pare sia oggetto di studio da parte di una famosa università) riesce sempre e comunque a spingerti all’estremità del lettone e a lasciarti in meno di quindici centimetri di spazio.
Ho scelto io il nome di mio fratello, sono stato io il primo a piangere dopo la sua tormentata nascita e sono stato io a spiegargli perché fosse tanto bello il gioco del calcio. Sono stato io a insegnarli a guidare un motorino, sono stato io a spiegargli i razionali e chiede di me quando ha qualche problema che la sola mamma non possa risolvere. Tipo versioni di latino o problemi di virus al computer.

Mio fratello è l’unico fratello che un fratello come me vorrebbe avere come fratello, è il miglior fratello che io abbia mai avuto. Direi anche l’unico. E il fatto che non avremo una eventuale ereditarietà, il fatto che le donne non possano poter scegliere contemporaneamente lui o me, il fatto stesso che sappiamo di volerci bene tacendo, questi fatti ci rendono fratelli molto indivisibili. Anche se presto ci saranno più di diecimila chilometri a separare i nostri sonni saprò che lui, se solo potesse, sarebbe avvinghiato a me gustandosi ogni singolo secondo col fratello maggiore. Io.

BNG: Il sito dell’immigrazione canadese non è più sotto manutenzione. Continuiamo con la procedura per il permesso di studio

I cinque euro

Per cinque euro stamattina mi sono alzato alle sette anziché le nove. Mi sono fatto la doccia un po’ perché ieri m’ero coricato alle una, un po’ perché puzzavo come un tricheco coi calzini sporchi.
Per cinque euro sono andato al politecnico quando ancora i senzatetto dormono dietro le statue del politecnico.
Per cinque euro sono entrato in un’aula e ho tentato di fare quello per cui il politecnico mi da cinque euro: spargere in modo ordinato fra gli studenti dei moduli per conto dell’Osservatorio della Didattica.
Ma stamattina, alle otto di mattina, in aula non c’erano gli studenti e non c’era il professore.
E’ incredibile cosa la gente possa fare per cinque miseri euri.
Ma sulla strada del ritorno ho pensato che per l’amore e per il sesso c’è bisogno solo di salute e soldi. Rispettivamente, di solito. In questo momento il mio portafoglio scoppia di…salute!
Ma capitemi, ero stanco e frustrato. E con cinque euro non è che si può andare tanto lontano…

La nostalgia

A volte ritorna.
A stare da soli non ci guadagna nessuno. Piangiamo le nostre pene da soli e il peso grava su ognuna delle nostre spalle. Ho più tempo per guardarmi intorno, ho più tempo per fare il mio progetto. Posso fare i rutti e grattarmi le mutande, posso dire le parolacce e posso fare i commenti da maschio. Posso fare tutto i sogni erotici che voglio senza sentirmi un traditore, posso dimenticare il telefono in stanza e non temere che potresti chiamare. Posso lavarmi ogni tre giorni, posso risparmiare dentifricio. Posso andare in giro con le magliette spiegazzate e con i calzini spaiati e posso mangiare tutto il formaggio che voglio, bere tutta la birra che voglio. Non devo stare più attento a non fare troppo rumore quando faccio la pipì e non devo più togliere i peletti dopo aver fatto la doccia. M’ha fatto sempre schifissimo, anche se sono i miei. Ma lo facevo per te, dicevi che era giusto e che dovevo farlo per me. E io dicevo che lo facevo per me, ma ora te lo posso dire: a me mi ha sempre fatto troppo schifo e lo facevo solo per te. Ma ora posso non farlo più. Posso fare tante cose e c’ho un mucchio di ore libere che ora posso dedicare allo studio o alla cultura del mio far niente al pc.
Ma non posso riascoltare quella tua voce quando ho voglia. Devo avere un motivo serio per contattarti, devo avere di che parlare. Devo stare attento a quello che dico, devo sempre fare un’ottima impressione e mi sento costantemente sotto pressione. Devo stare attento a quel che faccio e pesare quel che fai perché c’è il rischio sempre corrente che mi riprenda una cotta per quei capelli e quel profumo, che ancora credo sia rimasta nel tuo maglione. Ahimè, sto diventando pazzo. Quel mio maglione non profuma più di te ma del cibo che ho messo nell’altra anta dell’armadio, dato che questo posto non mi da un cazzo di armadio. Ma quando mi manchi come questa sera io apro quell’armadio e odoro quel maglioncino mai più indossato che puzza di thè e profuma di te. Se avessi anche un piccolo lumicino che possa ricondurre le nostre speranze a riabbracciarsi in un’unica e identica volontà comune io sarei già innamorato di te. Ma così non è e noi lo sappiamo. Questo l’ho capito da te. C’ho messo dei mesi ad accettarlo ma anche questa volta eri tre anni avanti me. E scusa la mia violazione della discrezione.
E’ per questo che dedico questo scritto a mia figlia. Sì, mia figlia. Quella che verrà, quella che non so ancora che padre avrà, quella che un giorno dovrà avermi come padre. E lei non potrà scegliere. Per questo dovrò diventare più bravo e, purtroppo, dovrò tornare a raccogliere quei peletti schifosi dal fondo della doccia.
E poi questo vino fa proprio schifo.

L’odore del passaporto [1][2]

Ho ufficialmente finito di pagare per intero la scuola in Canada. Dieci minuti fa. La cosa più bella è che più del 70% del danaro versato esce dai pori della mia mente, ops…fronte!
[Aggiornamenti in serata]


[Aggiornamento uno]
Non posso codare. Così direbbe dani, non posso lavorare sui dino finché Sergio non arriva a casa. E così scrivo. Mentre mi lavavo la faccia ho pensato che scrivo meglio quando scrivo di cose spiacevoli. Perciò scrivo: un sincero, commosso e profondo vaffanculo a chi se ne merita un pezzo: oggi sconti, glielo diamo tutto anche se ne meritano una metà, due quinti o sette trentasettesimi. Vaffanculo.

[Aggiornamento due]
Adesso ho il cervello abbastanza libero per raccontarvi cosa ho fatto in questi due giorni sul Canada. Il tutto comincia venerdì, giorno da me designato per effettuare il pagamento a tre cifre (che in euro sono assai). Perciò mi dirigo nella Unicredit qui vicino. Dopo una prima magra figura (che d’ora in poi verrà etichettata col suo nome dialettale malafiura) all’accesso in banca (avevo una pompa di bici nello zaino che mi impediva di passare il controllo senza far suonare una specie di allarme) entro e faccio la mia seconda malafiura. Per farla breve ho scambiato la parola bonifico per versamento, così la mia frase “vorrei fare un versamento in un conto estero” non è stata compresa a prima botta. Ma dopo una breve spiegazione con gesti e suoni vari han capito. Solo che m’han detto che con la mia Genius Card il massimo che potevo fare era togliere il pezzetto di bollitto fra le fessure dei denti.
Eterna delusione, chiamo la mamma chiedendole di verificare la situazione col nostro amico-direttore dell’Unicredit del mio paese. “E’ una stronzata, con la genius puoi fare bonifici…noi lo facciamo!”, è questa la risposta dalla sede sicula della stessa banca. E vabbò, mosso da un forte spirito emigrante mi rivesto e mi incammino (dato che ho scassato la bici) verso un’altra unicredit, gentilmente suggeritami da duli. Felicitazioni. comunque, si dice così no?. Nada ancora una volta, questa filiale non fa bonifici esteri per partito preso. Come se una pizzeria si rifiutasse di fare la quattro stagioni ma le altre pizze si, come se un benzinaio non facesse il pieno a tutte le Ford Fiesta e ai Piaggio ma alle altro auto si. Torno a casa rificcando da dove stava uscendo tutta la mia frustrazione, proviamo a fare questo “gentile” bonifico online.
Ma nonostante i tre anni in Ingegneria non trovo il modo di farlo. Chiamo, dopo 15 minuti di attesa la tipa dall’accento romano mi avverte che con la genius card non si possono fare bonifici internazionali. Ringrazio, stacco, metto la musica ancora più forte. Ma dopo mi viene la pensata corretta, che genius! che sono (d’altronde c’ho pure la card apposita): posso dare questi soldi usando la genius card come se fosse una carta prepagata e non come se fosse un conto bancario. Compilo il temuto modulo e lo invio oltreoceano aspettando che dall’altro lato del mondo albeggi e la gente torni a lavoro.
Dopo qualche ora, nel bel mezzo di una discussione sui dinosauri, arriva un messaggio sulla vodafone: TRANSIZIONE NEGATA. Ma io in Canada ci voglio andare (in basso vedete una rappresentazione del mio principale organo vitale che da un po’ ha cambiato il suo nome in “Canada”). Perciò chiamo il numero verde specifico per la genius card chiedendo lumi (nel frattempo arriva l’email dall’impiegata della scuola canadese che mi segue con le pratiche dicendomi che non riesce a prendersi i miei soldi). Si scopre infine che la mia carta non prevede prelievi superiori ai 3000€ giornalieri, perciò chiedo gentilmente alla ragazza della scuola di splittare il pagamento in due giorni. Risponde, le va bene. Ma è venerdì, perciò bisogna aspettare lunedì per terminare il faticoso pagamento. Per altro, a titolo informativo, per un bonifico in valuta estera Unicredit prevede 30€ di commissione. Ma c’è da dire che sono onestissimi sul cambio, che è praticamente quello effettivo. Magra consolazione la mia.
Oggi arriva finalmente la ricevuta dell’avvenuto pagamento delle tasse. E in allegato l’agognata lettera di accettazione. Copio qualche spezzone che questa lettera mi entusiasma un botto.

“…Gioele Bla Bla (Student #3731) has been officially accepted into the Workplace English Diploma(WED) program from November 7, 2011 to June 15,2012…”

“The COOP Work Practicum is intended to provide students with the opportunity to gain entry-level customer service experience in retail sales, customer service, or hospitality where they interact with Canadians ( eg. sales assistant, counter help, restaurant server, guest services, bus person, etc.)”

Ho già iniziato a compilare l’applicazione che mi permette di ottenere il responso riguardo il visto in dieci giorni. Mi sono bloccato per questa sera. Devo inviargli la prova della mia sostenibilità finanziaria, una copia del mio passaporto, delle mie foto e infine la lettera che mi ha rilasciato la scuola. E poi sono ancora pieno di dubbi; sul sito dell’ambasciata canadese c’è scritto che dovrei allegare due moduli. Come lo faccio? Come faccio? E se sbaglio qualcosa mi rifiutano il visto o mi chiamano chiedendomi la rimanenza? No siccome ogni visto costa 120C$, siccome è quello che sogno…non vorrei sbagliare ancora!

Ho messo in questo post (con un servizio del tutto sperimentale) la checkList che dovrò allegare alla presentazione del mio visto. Questo visto sta prendendo sempre più piede nelle priorità di questi giorni, sto impazzendo del tutto, lo sento…arriva…tempo mio fatti capanna e chi ha la pancia non aspetti pancia. Tanto va il cuore al largo che ci lascia il lumicino. Puh passa paperino…
BNG: Dedicato ancora una volta a Matti. Quest’oggi ha nuovamente fatto il suo dovere, passando anche il test dell’Aeronautica. “Com’è andata Matti?” “Nono, tutto bene non era troppo difficile!
Dal fratello maggiore avrà preso la bellezza? No battutaccie :P

La nostra oberata vita

AVVISO: Questo è un post alcohol-free, nessuna pallina è stata maltrattata.

Piacere, son l’ingegner-architetto degli albanesi. E voi altri? Pff!

Capita che anche noi poliedrici ingegneri ci stanchiamo. Sì lo so, non possiamo permettercelo: dobbiamo salvare il mondo e il tempo è sempre troppo poco. Ma a volte tocca anche a noi il momento di riposo. E oltre a ballare la danza del drago Yoshi e cantare canzoni della Cristina d’Avena facciamo altre cose, cose come queste.  

La catapulta, a.k.a forchetta
La base di lancio, a.k.a. due coltelli e tanto scotch
La bomba, a.k.a. pallina anti stress
Il marchingegno disattivato.
Quel che stavo facendo…
Attenzione attenzione, abbiamo pure il video illustrativo perché ognuno di voi possa costruirsi la sua trappola anti-signora delle pulizie. 
Sì quelli sono i miei calzini, cammino sempre coi calzini per casa (che poi è una stanza con un bagno). E questo è il video dimostrativo. Il concetto profondo dietro tutto ciò è che ogni mattina (quando sorge il sole…) e ogni volta che ritorno a casa mi trovo davanti questa pallina col volto sorridente, che mi suggerisce di essere allegri. Cioè se uno nella vita fa la pallina anti stress e sorride, io che sto per andare in Canada (importanti aggiornamenti lunedì!) dovrei saltare sulle gengive dalla felicità, giusto?
Il concetto earth-earth  è che ero molto stanco e dovevo fare una minchiata, e ho partorito questa terribile trappola. Il prossimo passo è il ponte levatoio all’ingresso, i coccodrilli e il fossato. 
Architetto degli albanesi è un soprannome che mi ha dato il mio amico di dinosauro. E ho altri esempi che lo giustificano dall’avermi dato questo soprannome ingiurioso (si fa per dire, non c’ho niente contro gli albanesi a parte il fatto che avere una capitale nominata “Tirana” mi fa strano). Ecco gli esempi:

Serve ad inclinare la televisione quel tanto che basta per avere un angolo di visuale spettacolare restando coricati con, sotto la testa, tre cuscini con l’opzione di un quarto di colore verde. Naturalmente dietro ci stanno settimane di calcoli trigonometrici, mica cazzi.
Speriamo che se mai torni il mio roommate non mi prenda per schizzato ma non si fa vedere da mesi. E perciò largo alla fantasia, che ci siano più pause fancazziste nella nostra oberata vita. Oberata, mica frisca e pirita.

Ingegneria? Tosto!

Anche gli ingegneri si divertono. Quando decisi di fare il politecnico ero spaventatissimo. Qualche giorno prima del viaggio verso Milano mi misi pure a piangere perché mi avevano detto che al politecnico gli esami erano tutti scritti, o quasi. Al liceo il voto più alto che avevo mai preso in matematica era stato sette, in un compito sulle matrici. E poi un sei e mezzo negli insiemi e il resto erano dei quattro e cinque. Arrivai perfino a scappare da casa. Ritornai a casa ormai di notte, avevo bucato con la bici ed ero dovuto tornare nella mia città a piedi. Si capisce il motivo, avevo preso un ennesimo quattro e mezzo in un compito di matematica.
Poi venni al politecnico e le cose iniziarono a sembrare fattibili, crebbe l’autostima (soprattutto il tempo dedicato allo studio) e adesso mi manca poco a laurearmi (anche se adesso sto panicando, non mi laureerò mai in tempo cazzo).
Quando vai a dire in giro che fai ingegneria la gente sgrana gli occhi e ti dice: “ingegneria..?Tosto!”. E pretendono che tu sappia tutto quel che ha un meccanismo, dal fainculor della mia stanza (successo cinque minuti fa) all’appartamento in cui presto andremo ad abitare. Non è tollerabile che un ingegnere sia leggermente incompetente, un ingegnere informatico deve sapere ciò che sa un edile, perché siamo entrambi ingegneri. Ma non lamentiamoci troppo, che i filosofi stanno peggio di noi. Quando vanno a dire in giro che studiano filosofia la gente gli risponde: “Si, ma ora seriamente, cos’è studi quindi?” o l’alternativo “Ma precisamente cos’è che fai nella vita?
Ingegneria non è facile, non ho voluto dirlo subito metti che passava di qua un’ aspirante matricola d’ingegneria, non potevo scoraggiarla oltre misura. Ma se viene presa con lo spirito giusto, ogni cosa può assumere una prospettiva insolita. Basta pensare al solletico, una delle torture più usate dai servizi segreti (c’è gente che c’è morta col solletico). E così capita che noi ingegneri, che facciamo le cose toste!, capita che ce la spassiamo alla grande.
Nel video potete vedere il progetto di Ingegneria Informatica di Daniele. Si tratta di un quadricottero che spara alle cose vestite di blu, che in quel caso sarei io (sì, sembro una madonna è vero…). Queste cose blu, cioè io, si devono difendere ponendo fra il drone e sé stessi la spada rossa. Sergiuz è quello accovacciato in fondo allo schermo, vedeva incuriosito i parametri del drone . Accanto a lui c’è Dani, il proprietario dell’algoritmo che permette a questo coso di fare queste cose. Sembrano cose facili, ma ci sono dietro circa tre mesi di programmazione (se non cogliete ancora la difficoltà tocca ricorrere al luogo comune: è molto tosto!). Poi c’è Duli che fa il filmato perciò non dovrebbe vedersi (in realtà se guardate con gli occhi del drone la si vede qualche volta…). Non si vede, ma la si sente a un certo punto. E come promesso ecco il post sulla voce di duli, che peraltro si dulietta in una battuta molto da nerd (ma non diteglielo perché negherà tutto, perfino di esistere!), ispirata al nostro progetto di laurea: la realizzazione di un videogioco sui dinosauri
A tal proposito sono lieto di annunciarvi due video: il primo è il trailer della versione del gioco mia e di Sergio. Nel secondo potete vedere gli effetti permanenti che la programmazione di questo gioco ci causa.
Buona Visione.

Duli, per vostra (s)fortuna non c’è, era andata a giocare nel laboratorio degli elettronici. Non ho ancora capito bene in cosa consiste il loro gioco, ma pare debbano accendere dei led e poi instaurare un protocollo da spiegare ai professori che le hanno commissionato tale progetto. A me non mi sembra molto divertente (si tratta pur sempre di elettronici…), però c’è Ivan e gli altri dottorandi che rendono piacevole il tutto.
Sergio, beh lui lo riconoscete dal famoso “balletto del drago Yoshi”, che esegue sotto mia richiesta. E io sono il cameraman, quello che si diverte di più di tutti e che adesso sta qua a raccontarvi ‘sta storietta sul piacere d’avere amici ingegneri (coinvolgeteli se ne avete, sono molto timidi e riservati solitamente).
Siamo dei veri ingegneri, toast!

BNG: Matti, mio fratello, ha passato la prima selezione al concorso della marina. E bravo il fratellino!