Problemi di lingua

Succede che la lingua inglese a volte trama divertentissimi scherzetti. E in questa soleggiata mattina di un sabato dicembroso (o si dice dicembrile?) ne racconto un paio.

Si da il caso che ad un cugino del mio cugino di qua gli avevano scoperto il diabete a nove anni. Fatto insolito per un bambino così giovane e così ad una cena, tutti seduti a tavola, Joanna (parlando del nipote) dice: “It must be gene’s fault!” (Deve essere colpa dei geni). Da quel momento fino ai 20 anni circa il figlio di Joanna non ha mai più voluto indossare jeans. Perché si da il caso che la pronuncia inglese di geni è pressoché identica alla pronuncia dei blue jeans. E quel figlioletto -mischinieddu- pensava che i jeans facessero venire il diabete. Questo in italiano non sarebbe accaduto.

Si da il caso (e qui tocca tornare indietro di una quarantina d’anni) che il mio zio (in realtà è zio di mamma), l’uomo che diede inizio al mio ramo familiare che adesso vive in Canada, parlava tedesco, fiammingo, inglese e italiano. Oltre al siciliano s’intende. Ma come ogni persona che ha imparato l’inglese parlando peccava nello scritto. Così quando si trovò ad attraversare da costa a costa il Canada in treno accadde un evento memorabile. Doveva andare a Parigi, cioè mi spiego meglio: doveva pisciare. Arrivato nel corridoio di bagni, oltrepassava puntualmente il bagno degli uomini ed entrava in quello delle donne. Quando ne usciva la gente lo guardava con gli occhi storti. Lo zio non riusciva a capire cosa ci fosse di sbagliato in lui e spesso si domandava se i pantaloni erano in regola e si meravigliava dato che s’era lavato pure le mani. Come poteva immaginare che uomen (women) non significasse uomini bensì donne. Questo in Italia non sarebbe successo.

Ieri a tavola si parlava, si faceva small talk, si dicevano minchiate insomma. “Joanna, in una decina di giorni devo tagliarmi i capelli. Non tanto, solo un po’ qua dietro”. E allora la zia (la moglie dello zio col problema del bagno che parla inglese e siciliano) mi domanda: “Dove ti li voi a-ccattari?”. No nona, me li devo tagliare non accattari (accattare in siciliano significa comprare). E lei imperterrita: “Pì chistu ti spiu: vuoi iri ‘nto barberi o ‘nto stilisci?” (Vuoi andare dal barbiere o dallo stylish salon?).
A quel punto ho capito il problema. To cut significa tagliare e si pronuncia qualcosa di simile a cat. Perciò la zia ha quasi giustamente pensato che in siciliano a-cattari deve significare nient’altro che comprare!
Questo accade solo tra noi, siculi-americani! Quelli che hanno inventato Nova Iorchi e Brucculino. Rispettivamente New York e Brooklin!

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