Victoria e il natio borgo selvaggio

Non scrivo da anni. Si ci sono alcuni posts qua e la ma nessuno è degno di nota. Non so se questo lo sia ma so che adesso scrivo come scrivevo un tempo. Per disperazione, per rabbia, per amore, per sofferenza e voglia. Voglia di tutto voglia di mondo e voglia di niente. Sono sempre stato un tipo confuso. O confusionario.

Forse succede a tutti, ma eccomi qua. E’ il mio turno. Quelli che restano in Italia puntano il dito a quelli che vanno via e dicono: tanto tornerete tutti. Negli ultimi 4 anni che vivo all’estero, nei momenti in cui ho riflettuto sulla mia fissa della gente che mi punta il dito contro, non sono mai riuscito a trovare una spiegazione sul perché dovrei voler tornare. Questo non sarà un post che lista i motivi per cui l’Italia è brutta e cattiva, non vi preoccupate. E non vi apprestate a puntarmi il dito, non sono affatto convinto che sia arrivata la mia ora. Se mai arriverà. Il fatto è che, come delle scarpe indossate per troppo tempo, sto iniziando a sentirmi scomodo fra le suole di Victoria, la città in cui abito. La città negli ultimi 4 anni non è cambiata, io lo sono. Questa città non è perfetta (aspettate cazzo a puntarmi il dito, non ancora!) e ci sono alcune differenze con l’Italia che forse non sono mai riuscito ad accettare (NON ANCORA!). Del resto non è un po’ di corruzione e populismo vario a cambiare le mie radici: se una foglia d’acero si posa su un albero di carrubo non è che adesso il carrubo diventa un olivo. E’ semplice. Quando arrivai qua le mie ambizioni erano immense, sproporzianatamente esplosive. E capisco esattamente il motivo. Avevo tanta sete di successo come un poveretto reumatico che si fa i bagni di sabbia nel Sahara in agosto. E avevo voglia del miglior Nero d’Avola sulla piazza. Quando arrivai a Victoria, giorno per giorno, goccia per goccia, mi son pian piano idratato. Ecco non era proprio nero d’Avola, sarà stato un po’ birra e sciroppo d’acero ma son stato bene. Comodo. Ma adesso sento ogni giorno che passa che è arrivato il momento. Il momento di cambiare, di ributtarmi in quel pozzo di avventure che è il mondo e che spesso viene ignorato a beneficio del luogo natio.

E di questo inoltre che voglio parlare. Il luogo natio. Natio borgo selvaggio diceva Leopardi. Il mio luogo natio è una cittadina sperduta nella provincia più a sud d’Italia. Dove chi ci vuole andare si perde per strada e chi ci si perde per strada manco sa dov’è arrivato. Un bel borgo agli occhi di chi si ne intende, con chiese barocche e pendii fantastici. Ma un posto ignoto, insignificante, inutile. E il sol motivo per cui ne sono attratto come una falena al neon d’estate è perché lì io son nato.

Ciò basta? L’esser nato casualmente in un luogo decide per il resto della mia vita il posto che mi fa piangere la notte quando sono lontano e che mi fa attristire di giorno quando ne sono vicino?

Fuor di metafora, che quelle io le faccio e io le capisco, questo è il problema. Ho vissuto 18 anni nel borgo selvaggio, 3 a Milano (ma quelli non se li frega nessuno), e 4 a Victoria. Quando sono a Victoria mi mancano gli odori e le visioni di quel posto meraviglioso che è il mio natio borgo selvaggio. E quando dopo decine e decine di ore di volo e migliaia di dollari finalmente son lì, la zotica gente e la loro mediocrità, le inefficienze e le buche per la strada, le alzate di spalle e la rottura di palle mi costringe, non volente, a desiderare molto di più, non posso restare lì semplicemente perché lì sono nato.

Coloro che son rimasti indietro non avranno forse questo dilemma ma appunto son rimasti indietro. Coloro che hanno tentato il volo alla ricerca di una vita e un luogo più gratificante si trovano adesso con due larghe ali ricche di esperienza e nuove culture. E comunque atterrati da quel filo invisibile che è la irrazionale inspiegabile nostalgia di casa.

Ora che ho volato, ora che ho vissuto a Victoria dove mi sono reso conto quanto più facile possa essere la vita, io ora non so tornare indietro nella terra arida dei muri a secchi. E nonostante questa realizzazione, parte di me, giorno e notte pioggia e sole, non fa che chiedermi di tornare.

Di tale confusione ho tratto un paio di conclusioni. A breve stravolgerò la mia vita nuovamente. Resterò in Canada ma andrò a vivere in un posto diverso che m’è venuta sete di nuovo. A breve aprirò un altro blog, non personale. Il tema sarà quello di spiegare quali differenze io noto fra l’Italia e il posto in cui vivo che sia Victoria o altra città. Vedremo se aiuterà a spiegare ai miei amici il mio dilemma, vedremo se aiuterà a chiarire a me le idee.


Questo post è stato interamente scritto nello Starbucks di Yates and Government street, in due sedute e due animi diversi. Durante la scrittura ho ascoltato tutto l’album Ghost dei Radical Face. Durante la scrittura mi sono ricordato di una poesia del Leopardi alla quale, dopo la lettura, mi sono ispirato: Le ricordanze.

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