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Bei tempi…

[…] Quando la vita per un attimo ti sorride, come una donna incontrata per la strada e mai più rivista, quando le foglie cadono dagli alberi e tu sei lì ad ammirarle, quando tutto ciò che ti circonda ignora la tua presenza e tu non fai altro che goderne, quando provano a morderti i tendini e tu stai lì che saltelli con una fune gioendo..ecco, perchè io dovrei continuare a pigiare questi stupidi tasti ?
C’è un mondo là fuori che è marcio, e io porgo saluti e gentilezze ai miei futuri boia preferiti. E io non mi curo dell’attimo, e della pioggia e delle zanzare. Non posso far altro che ringraziare il corso degli eventi, provare a introdurre un elemento magico e illudermi che sia tutto frutto di qualcuno che mi vuole bene.
E guardarmi intorno, e non dover più lottare per ottenere ciò che m’è stato ingiustamente tolto. Non più adesso, adesso che nessuno può togliermi ciò che sta a fianco a me. Nemmeno ingiustamente.

I giorni a venire [Vecchio Post]

Metti che io c’avessi un piede solo. E’ quando sono costretto a correre che me ne accorgo davvero.
E’ così in questo periodo di turbinio per via degli esami che mi so messo a leggere qualche post vecchio. Ne ho letto uno che solitamente rientra fra quelli da evitare, ma rileggendolo m’è sembrato molto bello. Insomma se non l’avessi ancora scritto vorrei trovare la giusta ispirazione per scriverlo, un post del genere in quasi trecento post uno lo deve pur scrivere…
http://gas12n.blogspot.com/2009/09/i-giorni-venire.html


Ricomincio. Fuori il tramonto, ho intrecciato le tende e aperto la serranda per vederlo. Siedo sul solito letto, e la coperta che mi offre il suo calore di notte è voltata dal lato bianco. Anche i miei pantaloncini lo sono e la felpa nera non la tengo più. Ignudo.
Vado.
Li accomunava il colore degli occhi e nulla più. Nero, o forse marrone. Magnetici e veloci, spiccavano sul suo candido volto: il violento contrasto lasciava scivolare un velo misterioso su cosa stesse pensando in quel momento. Il fiato di quell’uomo così vicino le colorava appena le guance, che apparivano buffe in quella valle innevata ch’era il suo volto. Le sue mani ruvide tremavano all’idea che una carezza potesse interrompere quella splendida armonia che sembrava dipinta: le guance rosee e i neri occhi, il volto limpido e i biondi capelli. Su quel letto, quel giorno e per molti altri ancora, era Αντέρως a vegliare e nessuno mai potette distogliere le sue attenzioni su quei due uomini.
Il vento era certamente invidioso quella notte, tuoni e tempeste mostrarono le loro migliori virtù.
I due amanti non sembravano essere turbati del lume che d’un
tratto si era spento: come se la luce, con discrezione, aveva abbandonato la scena appagata da tanta passione. I loro occhi non smisero per un istante di scoprirsi, le loro labbra continuarono a sussurrare dolci parole sfiorandosi soavemente. Non era di certo il chiarore del lume che permetteva loro di trovarsi. Le braccia della candida fanciulla avvolgevano il collo dell’uomo in un sensuale abbraccio, le sue dita sfioravano i capelli arruffati. Lentamente scese sulla sua ampia fronte, continuò lungo il naso e fermò le mani sulle guance. Il buio di quella notte non riuscì ad evitare che lei lo notasse: erano come segnate, incise per sempre. Dei lunghi solchi che erano rimasti celati, che adesso erano inumidite da lacrime silenziose. Il vento cessò, i tuoni zittirono i loro lamenti. I loro occhi commossi non avevano smesso un attimo di specchiarsi gli uni negli altri, e in quel attimo unirono i loro corpi.
Passarono le stagioni, passarono gli inverni, cadde la pioggia e si addensarono le nuvole. Fiorirono i mandorli e nacquero nuove fragole, i loro occhi neri continuarono a trovarsi nel buio della notte, le loro mani continuarono a intrecciarsi, i loro nasi continuarono a giocare sfiorandosi l’un l’altro.
Ci sono fuochi che non possono spegnersi, ci sono mandorli che non cedono all’inverno, ci sono solchi che non si cancellano, ci sono temporali che non finiscono.
Ci sono visi che si colorano e lacrime che scivolano.

I due amanti non smetteranno di sedersi di fronte e ascoltare il loro riso melodioso, e il sole tramonte e poi risorge. Ancora.


(..me ama!)




Quando lo scrissi ero l’uomo più felice del mondo, adesso al massimo potrei essere l’uomo più felice di città studi di Milano. Ma non conta, la persona che scrive queste cose sono sempre io. E tutto il resto che mi circonda…

A gelosia come ti poni tu?

Cara Teresa, nel breve tragitto che da casa mia porta a casa tua, e da casa tua porterebbe in un lampo anche a casa mia, ieri ho notato due operai che smantellavano una cabina del telefono. Le vecchie cabine del telefono. Non so quante telefonate ti avrei potuto fare da quelle cabine telefoniche. Forse seicento. Magari mille. O forse non eri tu: era un’altra. Certo che era un’altra, ora ricordo. Gran donna è stata quell’altra a cui avrei potuto telefonare da quelle cabine di una volta. Le compravo fiori e cioccolatini tutti i giorni. Andavamo insieme al cinema, al teatro, al ristorante, e anche in macchina. Ci amavamo alla follia. Ci baciavamo pure col raffreddore. Era la ragazza più bella del mondo, e se la memoria non mi inganna sapeva anche l’inglese. Nessuna donna potrà mai eguagliarla. gelosia come ti poni tu? Dicevo, l’altro giorno ero lì che passavo davanti a una di quelle vecchie cabine del telefono quando all’improvviso mi è venuta un po’ di malinconia. Da quanto tempo non sento la tua voce? Così, un po’ per necessità e un po’ per disgrazia, sono passato a trovare un amico. Anche se non hai i capelli molto lunghi, un amico che fa il barbiere è sempre una buona spalla su cui sfogare le proprie pene. Una buona spalla a patto che la spalla su cui ci si deve sfogare non sia la tua. Fissandomi dallo lo specchio senza badare ai capelli, il barbiere mi ha riportato per filo e per segno il pranzo del matrimonio di suo cognato in cui era convinto di essere ingrassato almeno di tre chili, e a tutti gli invitati gli scoppiava la pancia, tanto che per non finire il dolce uno si è buttato in piscina con le scarpe.Poi è passato a raccontarmi il matrimonio con sua moglie la stessa donna che origliava da dietro la stanza delle scope –e solo alla fine mi ha permesso di spiegargli come vedevo le mie nozze, ovvero in qualunque modo, in qualsiasi posto, basta che sia presto. Più tardi, ma solo perché il mio taglio era terminato da un pezzo, e il signore che aspettava seduto alle nostre spalle sembrava urlare dai capelli, il barbiere mi ha salutato dicendomi che dalla settimana seguente si sarebbe trasferito in un altro quartiere, in un salone più grande insieme alla moglie, la quale, nel frattempo, era inciampata su una scopa mentre andava alla cassa per fortuna senza gravi conseguenze. Visto che nonostante tutto siamo buoni amici, penso che continuerò ad andare da lui, anche se con l’autobus dovrò fare una strada più lunga, ma spero un giorno di poterti sposare lo stesso. Edoardo


Matti, mio fratello

Se dovessi scegliere una sola persona per cui io sarei disposto a dare la cosa più preziosa che ho, la mia vita, sceglierei mio fratello.
Del perché gli voglio così bene non mi sono mai domandato fino a trovare una risposta ma forse non ce n’è davvero bisogno. Spero che non sia solo perché abbiamo lo stesso sangue, in tal modo sarebbe una cosa assolutamente non arbitraria. E questo mi infastidisce.
Siamo maschi, ma questo non c’entra. Sono io che non riesco in alcune occasioni e con alcune persone a esprimere i miei sentimenti e mi viene perfino difficile scrivere questo di lui sapendo che potrebbe leggere. Trovo la forza oggi perché al momento si trova ad Ancona a sostenere i test fisici della Marina.
L’ultima volta che ho pianto è stato pensando a lui. Il momento era inopportuno ma non sempre si può scegliere e soprattutto alcune cose non si possono scegliere.

Durante l’ultima gara di Scherma

Lui è più di un fratello per me e talvolta è stato anche troppo per me. Nonostante ci separino solamente cinque anni e mezzo a volte i ruoli familiari si sono mischiati, intrappolati in dinamiche arzigorzolate. Ma il tempo e la maturità sbroglia anche i nodi più stretti.
Nonostante questo non gli ho mai detto cosa provo per lui e il massimo che gli ho concesso è stato dormire con me ogni notte precedente il mio ritorno a Milano. Se dovesse esserci una persona che possa fermare il mio Canada quella sarebbe lui, se potesse esserci un motivo per tornare in bici a casa quello sarebbe il suo motivo.
Dormire con mio fratello comunque, e lo dico a mia totale discolpa, è un atto di grande amore fraterno. Appiccicoso come un polpo, ti si avvinghia intorno sia nei mesi d’inverno che in quelli bollenti, ama mettersi di traverso nel lettone e non si sa ancora bene il motivo (pare sia oggetto di studio da parte di una famosa università) riesce sempre e comunque a spingerti all’estremità del lettone e a lasciarti in meno di quindici centimetri di spazio.
Ho scelto io il nome di mio fratello, sono stato io il primo a piangere dopo la sua tormentata nascita e sono stato io a spiegargli perché fosse tanto bello il gioco del calcio. Sono stato io a insegnarli a guidare un motorino, sono stato io a spiegargli i razionali e chiede di me quando ha qualche problema che la sola mamma non possa risolvere. Tipo versioni di latino o problemi di virus al computer.

Mio fratello è l’unico fratello che un fratello come me vorrebbe avere come fratello, è il miglior fratello che io abbia mai avuto. Direi anche l’unico. E il fatto che non avremo una eventuale ereditarietà, il fatto che le donne non possano poter scegliere contemporaneamente lui o me, il fatto stesso che sappiamo di volerci bene tacendo, questi fatti ci rendono fratelli molto indivisibili. Anche se presto ci saranno più di diecimila chilometri a separare i nostri sonni saprò che lui, se solo potesse, sarebbe avvinghiato a me gustandosi ogni singolo secondo col fratello maggiore. Io.

BNG: Il sito dell’immigrazione canadese non è più sotto manutenzione. Continuiamo con la procedura per il permesso di studio

I cinque euro

Per cinque euro stamattina mi sono alzato alle sette anziché le nove. Mi sono fatto la doccia un po’ perché ieri m’ero coricato alle una, un po’ perché puzzavo come un tricheco coi calzini sporchi.
Per cinque euro sono andato al politecnico quando ancora i senzatetto dormono dietro le statue del politecnico.
Per cinque euro sono entrato in un’aula e ho tentato di fare quello per cui il politecnico mi da cinque euro: spargere in modo ordinato fra gli studenti dei moduli per conto dell’Osservatorio della Didattica.
Ma stamattina, alle otto di mattina, in aula non c’erano gli studenti e non c’era il professore.
E’ incredibile cosa la gente possa fare per cinque miseri euri.
Ma sulla strada del ritorno ho pensato che per l’amore e per il sesso c’è bisogno solo di salute e soldi. Rispettivamente, di solito. In questo momento il mio portafoglio scoppia di…salute!
Ma capitemi, ero stanco e frustrato. E con cinque euro non è che si può andare tanto lontano…

La nostalgia

A volte ritorna.
A stare da soli non ci guadagna nessuno. Piangiamo le nostre pene da soli e il peso grava su ognuna delle nostre spalle. Ho più tempo per guardarmi intorno, ho più tempo per fare il mio progetto. Posso fare i rutti e grattarmi le mutande, posso dire le parolacce e posso fare i commenti da maschio. Posso fare tutto i sogni erotici che voglio senza sentirmi un traditore, posso dimenticare il telefono in stanza e non temere che potresti chiamare. Posso lavarmi ogni tre giorni, posso risparmiare dentifricio. Posso andare in giro con le magliette spiegazzate e con i calzini spaiati e posso mangiare tutto il formaggio che voglio, bere tutta la birra che voglio. Non devo stare più attento a non fare troppo rumore quando faccio la pipì e non devo più togliere i peletti dopo aver fatto la doccia. M’ha fatto sempre schifissimo, anche se sono i miei. Ma lo facevo per te, dicevi che era giusto e che dovevo farlo per me. E io dicevo che lo facevo per me, ma ora te lo posso dire: a me mi ha sempre fatto troppo schifo e lo facevo solo per te. Ma ora posso non farlo più. Posso fare tante cose e c’ho un mucchio di ore libere che ora posso dedicare allo studio o alla cultura del mio far niente al pc.
Ma non posso riascoltare quella tua voce quando ho voglia. Devo avere un motivo serio per contattarti, devo avere di che parlare. Devo stare attento a quello che dico, devo sempre fare un’ottima impressione e mi sento costantemente sotto pressione. Devo stare attento a quel che faccio e pesare quel che fai perché c’è il rischio sempre corrente che mi riprenda una cotta per quei capelli e quel profumo, che ancora credo sia rimasta nel tuo maglione. Ahimè, sto diventando pazzo. Quel mio maglione non profuma più di te ma del cibo che ho messo nell’altra anta dell’armadio, dato che questo posto non mi da un cazzo di armadio. Ma quando mi manchi come questa sera io apro quell’armadio e odoro quel maglioncino mai più indossato che puzza di thè e profuma di te. Se avessi anche un piccolo lumicino che possa ricondurre le nostre speranze a riabbracciarsi in un’unica e identica volontà comune io sarei già innamorato di te. Ma così non è e noi lo sappiamo. Questo l’ho capito da te. C’ho messo dei mesi ad accettarlo ma anche questa volta eri tre anni avanti me. E scusa la mia violazione della discrezione.
E’ per questo che dedico questo scritto a mia figlia. Sì, mia figlia. Quella che verrà, quella che non so ancora che padre avrà, quella che un giorno dovrà avermi come padre. E lei non potrà scegliere. Per questo dovrò diventare più bravo e, purtroppo, dovrò tornare a raccogliere quei peletti schifosi dal fondo della doccia.
E poi questo vino fa proprio schifo.

“Dopo i 20 anni è tutta in discesa…”

Questo post sarà noioso. C’ho da scrivere per necessità ma è da qualche giorno che mi sento vuoto di contenuti.   Ho trovato un blog spettacolare, questa immagine l’ho presa da lì.

icanread.tumblr.com

Quando ho scritto le prime due righe di questo post volevo farvi il resoconto della mia giornata che è stata alquanto strana. Ma poi mi sono accorto che non avevo le cuffie e sono andate a cercarle. La ricerca è durata 5 minuti e anche se i tempi di lettura sono immediati queste parole sono state scritte dopo circa 6-7 minuti dalle prime del post. Nel frattempo ho cambiato idea su cosa scrivere e mi perdonerete se ritengo che il post che sto per scrivere sarà un post interessante. Fra l’altro non ho idea del perché parlo come se mi stessi rivolgendo a un pubblico vasto. Sarà perché da pochi giorni i “seguitori” delle mie minciati sono diventati quattro, numero stratosferico per gli standard del mio piccolo spazio.
In questo post vi racconto una brutta di un tema per un compito in classe. Anno scolastico 2005-2006, così ha appuntato mia madre a matita per ricordarlo. Vi avverto per chi è poco sensibile: la traccia era sull’arte dell’amore.

Traccia
L’arte dell’amore, osserva From, consiste nel dare liberamente senza interessi, è un atto creativo, dinamico e stimolante esente da qualunque egoismo. Chi non ama se stesso non può amar neppure gli altri ed è condannato ad una frustrata felicità.

Chi sia sto From non ne ho la più pallida idea, scriverò il tutto senza correggere nessun errore scrivendo anche le parti scritte e poi cancellate. Correggere il tutto sarebbe come distillare l’acqua di una sorgente, una minchiata appunto.

Svolgimento
Amare se stessi è l’inizio di un idillio che dura tutta una vita”. Così scriveva Oscar Wilde. Talvolta penso che veniamo al mondo soltanto per amare. Fin dagli inizi della nostra vita amiamo. Forse Amiamo Amiamo la mamma e il papà. Così si comincia ad amare. Crescendo si capisce che si può amare anche qualcun’altro, qualcuno che non sia un parente, qualcuno che mai si è visto prima, si può certamente amare qualcuno. Passato il primo decennio di vita si capisce quanto sia incontrollabile l’amore colle sue virtù e colle sue mancanze. Passato il secondo decennio talvolta l’amore viene confuso, sfruttato, si abusa nell’amore. Ma farà parte anche ciò del nostro amore. Dopo i 20 anni è tutta in discesa Amare. Solo amare. Ci vuole poco per innamorarsi, moltissimo per farsi amare. L’amore ti trasforma, ti traina, ti comanda. Mai qualcuno riuscirà a fermarlo. E’ nella natura dell’uomo amare. Spesso si ama per cercare la completezza nell’essere. Si ama un altra persona. Spesso non accade il contrario. Sempre ci sono ostacoli da saltare, da superare, da scavalcare. Sempre si deve sopportare, soffrire, penare. Un critico comico dice “E’ nella natura dell’uomo amare chi ti detesta e detestare chi ti ama”. Sembra una menzogna, una non può corrispondere alla realtà, tuttavia io penso che sia una non-bugia. [Si gira il foglio di bloc-notes]
Da questa frase si capisce quanto l’amore sia crudele. Si prende gioco di noi, ci umilia, ci fa felici ma sono sicuro che non si resta felici nell’amare un essere umano. Purtroppo l’amore è tutta la felicità che questo mondo ci può donare. Bisogna saper interpretare, L’unico amore sicuro di cui ti puoi sempre fidare è l’amore di se stessi. Sai che mai ti tradirai, mai ti potrai ingannare, non esiste la mancanza di fiducia. Tu e il resto. Tu. Pensa a te stesso che qualcuno prima o poi ti cercherà. E se non ti cercherà nessuno non ti sarai amato abbastanza. Mi viene spontaneo amare. Non amo per essere amato. Amo basta. Non so perché amo, ma so che non mi interessa. Amo. Amo il “mio” mondo, la mia vita forse amo anche qualche altro mondo. Il mondo degli altri. Pieno di incertezze, di pericoli. Ma è un mondo nuovo. Mai esplorato e pieno di ricchezze. Sempre si amerò. L’amore per se stessi è sicuro che dura tutta una vita, l’amore verso gli altri si spera. Purtroppo l’amore porterà anche odio. Odio e Amore camminano in braccetto. Sono come il sole e la luna. Mai insieme. Uno leva il posto all’altro. Da sempre funziona così. Mai amore e odio potranno incontrarsi insieme. Sono due sentimenti troppo forti per convivere insieme in una sola persona. Prima viene l’amore poi l’odio. Potrà accadere anche il contrario ma dovremo sempre ricordarci che al buio seguirà necessariamente la luce. C’è da esaltarsi nei periodi bui. La lu Un nato Così è l’amore. Dopo l’amore ci sarà l’odio a cui seguirà nuovamente l’amore. E’ un processo che dura da sempre. Non si può arrestare. Difatti Un noto proverbio siciliano afferma che l’amore è come un cetriolo: inizia dolce la prima parte è dolce, verso la fine è amaro. Godi del tuo stato ovunque tu sia. Se stai amando sei felice. Se stai odiando felice lo sarai. Forse è questo l’unico vantaggio nell’amore…


Adesso, mentre trascrivo il post.
Il muro, profezia numero uno.

Già che ci siamo in questo post inauguriamo la nuova rubrica BNG: Buona notizia del giorno.
BNG: ho richiesto in tribunale la visura del casellario giudiziale per via del visto. Risulto avere la fedina penale (e civica) pulita che, per chi mi conosce un poco, non è una cosa scontatissima.

Apparenze

Non riesco a stare senza di te per tutti questi giorni, e allora cerco disperatamente con tutti i miei sensi le donne che ti somigliano.
Ne ho trovata una che ha lo stesso colore dei tuoi capelli. Li ha mossi come i tuoi, le toccano leggermente le spalle e perfino il colore sembra essere uguale il tuo. Si chiama Giulia.
Poi c’è Chiara. Ha i tuoi occhi. Non sono neri, non sono castani né verdi. Non ho capito il colore dei suoi occhi ma è esattamente come il tuo.
Francesca invece dorme come te. Ha un sonno profondo, delle volte russa ma lo fa con incredibile discrezione. E’ una ragazza dormigliona ma sa rimanere sveglia se ne vale la pena.
Poi c’è una ragazza che ha un profumo della pelle che mi ha costretto a voltarmi tant’era simile al tuo. Non sono riuscito a capire molto di lei, ma il vostro profumo è identico. Credo si chiamasse Federica.
La conosci Sara? E’ una ragazza discreta, non veste mai fuori luogo e riesce a muoversi con una eleganza unica. Dovreste conoscervi un giorno, vi piacereste.
Martina invece ha la tua risata. Mai eccessiva, non è irritante non è mai fuori luogo. E’ fantastica quando ride, glielo dicono in molti. Ti ricorda, per caso, qualcuno?
C’è Valentina che non è molta alta. Ma è ordinatissima e rasenta la perfezione. Non fa niente se non è necessario, riesce a organizzare il proprio tempo in qualsiasi condizione essa si trovi. Vorrei essere come lei. O come te.
Un’altra ragazza che ti somiglia è Alessia. Respira come te. Si ecco, non tutte le persone respirano alla stessa maniera. Lei ha un respiro perfetto, come te. E quel respiro sembra così tanto prezioso.
Silvia invece parla come te. Quello strano accento, quella voce pacata che m’ha fatto innamorare di te. Quelle parole che sapevano tagliare il ferro quand’era necessario. Quelle parole che non si tiravano indietro, quelle parole che non avevano paura di rompere le catene delle convenzioni.
Infine Elisa. Ha il tuo corpo. Le tue linee leggere, nulla di esagerato. Ma così sinuose che non potrò mai smettere di paragonarle. E quelle di Elisa erano pressoché come le tue, sembravano uguali alle tue.
Dieci ragazze pensavo fossero abbastanza per colmare la tua assenza, per occupare i miei pensieri. Sapevo già che non potevo trovare tutto in una sola persona, ma credevo che se avessi trovato qualcosa di te in dieci di loro allora sarebbe stato un po’ come continuare a vederti. Per un po’ ho voluto credere che poteva andare ma poi davanti all’evidenza mi sono dovuto arrendere.
Nessuna di loro, neanche se provo a fare una stupida somma, riesce a raggiungerti in intelligenza. Nessuna ha la tua arguzia, nessuna ha il tuo spirito. Nessuna di loro può, anche provandoci, assomigliarti. Chissà cosa troverò in Ilaria Eleonora Giorgia Elena o Laura. Ma il fatto che non riuscirò a trovare una donna esattamente come lo eri tu, questo mi stravolge. Questo non mi fa capacitare, non mi da respiro.
Voglio risalire con te sul masso ancora una volta.

Perdonatemi. So che è un po’ da checca questo post. I nomi li ho presi da qui. Il fatto che non verrà letto dalla persona giusta, che mi son finito, scrivendo, il Nero d’Avola, il fatto che non abbia più la lucidità di continuare a scrivere codice e che Sergio probabilmente dirà che ormai il peggio dovrebbe essere passato (e forse così non è)…questi fatti mi fanno sentire un piccolo verme. Per questo chiedo scusa, e mi/vi rimando al prossimo post irriverente. Sperando che il meglio deve ancora venire.
Il martufo.

Ed è così che sono in cerca di una casa

Sono un emigrante. Adesso è ufficiale, c’è scritto in questo coso che conta cinquanta pagine e costa quasi cento dollaroni. Ma come per l’età che non ha bisogno di una carta per certificarla così questa mia condizione non necessita di un passa(aereo?)porto per essere autentica, di questo colore orrendo poi.
Me ne sono accorto quando sono tornato a casa, da Milano. Casa. Che concetto strano. Casa è il posto in cui hai vissuto per più tempo o è casa dove ti trovi meglio? E’ il posto dove vivono i tuoi genitori o è quel posto in cui sei più comodo a dormire e a fare la cacca? Perché casa mia non so più qual è, questi criteri se applicati forzatamente sono inadeguati per decidermi.
Sono felice ogni volta che torno, ovvio, anche il vecchio di Como che ho incontrato sul bus terminal-aereo era euforico alla sola idea di vivere in Sicilia anche solo per qualche giorno: e io qua, in questo paradiso italiano, ci sono cresciuto e vissuto per quasi vent’anni. Ma casa è un posto bello? O è forse un posto spazioso e luminoso?
Perché dopo l’inevitabile felicità iniziale, sono iniziate a mancarmi alcune comodità che soltanto la mia due.quattro.quattro, la casa di Milano, mi fornisce. Qua a casa mia è tutto diverso, ma come può essere una cosa diversa se sei già a casa tua? Diverso da cosa? Qual’è la mia casa, ditemelo voi, io non lo so. La mia mamma e mio fratello non sono una casa, altrimenti sarebbero loro la mia casa. E a quel punto sarebbe molto facile traslocare, perché basterebbe fare un biglietto per tre persone. Ma la casa è un posto, fatto di cemento o anche di legno. E’ un posto che non si sposta, è quel posto che fai sempre fatica ad accettarlo ma che poi farà un’impronta nei tuoi ricordi e ogni volta che la lascerai, anche se per qualche giorno, lei te lo rinfaccerà lei lo ricorderà e tu piangerai la sua lontananza. Ma quando torni casa è lì aperta per te, come se non te ne fossi mai andato. Casa potrebbe essere una fidanzata fedele, un po’ gelosa e capricciosa, ma fedele.
E io, io non posso essere poliga(casa)mo. Di casa se ne ha una per volta, con i relativi tempi di guardia. 
Oggi ho chiamato lo zio Joe, hello joe, i’m gio..ele. joe? Joe, lo zio dell’America.
Manca poco e cambierò di nuovo casa. E quella Milano di merda, quella Milano che qualche volta piove e c’è tanto freddo, quella Milano un poco mi mancherà. Diecimila chilometri un mare e un oceano sono così tanti che anche la “vicina” Milano mi mancherà. E il mio pensionato, un po’ perfino la mia casa degli ultimi tre anni mi mancherà. Che strano, è tre anni che dico che tutti questi posti fanno schifo.
Conosco una vecchia amica che è felice di non avere casa, di viaggiare il mondo come fosse una trottola. Così io penso di lei. Come si può scegliere di non sognare una casa? E’ bello il viaggiare l’esplorare il mondo e il conoscere nuovi mondi di idee, ma io ho bisogno di pensare che in qualche parte del mio futuro ci sarà una casa ben ancorata al suolo e sempre quella sarà la mia casa. Non riesco a sognare di fare del viaggio la mia casa, io quando viaggio sono esterefattamente strano. Vedere luoghi che potresti non rivedere mai più mi rendono malinconico, che è soltanto una tristezza un po’ divertente. Chissà quando dovrò tornare in Italia se sarò triste di lasciare la mia nuova casa, chissà dove sarà la mia casa ben ancorata.
Forse sono nato per partire via. Non so se è perché sono del meridione, perché sono italiano o perché sono semplicemente Gioele. Ma quand’ero nell’era pre-polimi io se ero triste andavo via da casa, e adesso nell’era odierna è un continuo partire, un continuo sognar progetti di partenze. E in tutto questo, dicevo, mi sono scordato dov’è la mia vera casa, che senza ancore è pericoloso partire per l’oceano.
Ed è così che sono in cerca di una casa.

L’abbraccio e la sveglia

[Vorrei che questo fosse il mio miglior scritto di tutta la mia vita, vorrei far rivivere i miei ricordi e vorrei che attraverso questa sequenza più o meno ordinata di lettere possa anche percepire quel che provo. Chissà se saprò schiacciare la giusta combinazione sulla tastiera. Premessa conclusa.]
♪♪♫
Lo ricordo come se fosse ieri. Una domenica mattina. Mattia non era ancora nato, io mi svegliavo sempre presto per via dell’Albero Azzurro che veniva trasmesso alle sette del mattino. Le due stanze da letto erano buie, ma dal corridoio che le separava proveniva una forte luce. Salto sul lettone, papà dormiva dal lato del comò, dal lato destro del letto. Salto su di lui e in preda ad un entusiasmo da bimbetto dispettoso gli chiedo:

“Papà, mi hai sognato questa notte?”

E subito ho continuato:

“Si pà perchè io t’ho sognato,…come fai a non ricordarti? Tu c’eri!… “

Ricordo così tanto questi attimi che le parole sono proprio queste, non una in meno.
Da piccolo pensavo che quando un uomo si addormenta veniva trasferito in un altro posto, e lì viveva la sua vita. E così poteva accadere che le persone s’incontravano, discutevano, si volevano bene. Ed era del tutto logico che una volta svegliate si potevano continuare i discorsi, si poteva finire di cucinare la pasta, si poteva rimanere abbracciati.

Chiaramente in viaggio fra le dune del Sahara

Questa mattina la prima cosa che ho fatto è stata staccare la sveglia. Qualsiasi rumore esterno avrebbe interrotto il sogno e ormai ho capito che una volta svegli non c’è niente da fare: c’è da riprendere a vivere e chi  sogna ad occhi aperti rischia di rompersi l’osso del collo. Quando mi sono alzato ho pensato che magari poteva capitare, per coincidenza per fatalità per errore per gioco, che le persone che avevo sognato in quel viaggio in Giappone avessero sognato me nella stessa casa, nella stessa spiaggia, sulla stessa cabina del trenino sopraelevato. Ho chiesto solo a Duli, ma lei non ne sa niente: lei in Giappone stanotte non c’è stata. Non si ricorda né dell’acqua inquinata del mare giapponese, né della metro a propulsione elettromagnetica. Ma chissà, i misteri della notte sono tanti e io non voglio illudere il Gioele bambino, esiste un mondo al di fuori di questo che è pieno di gente che si abbraccia.
Senza il rischio che suoni una sveglia.

Les grandes personnes ne comprennent jamais rien toutes seules, et c’est fatigant, pour les enfants, de toujours et toujours leur donner des explications.
[Antoine de Saint-Exupéry]

    Fino alla fine della strada

    Quando non c’ho tempo, come in questi giorni, di scrivere post su post penso ai post che potrei scrivere. Come detto più volte le cose migliori ti vengono in mente nei momenti più inaspettati. Ad esempio salire le scale(salire regge l’accusativo o è un sicilianismo?), non so bene il perché, è un momento molto prolifico per le mie opinioni. E poi in ordine sparso, mentre mi lavo la faccia quando inizio ad assopirmi quando faccio finta di far shopping.
    E allora dopo la teoria del budino, le premonizioni del mio muro ho pensato che sarebbe un bello amarcord ritornare a parlare ancora una volta del muro, quello vero.
    Il Muro è una cosa così importante che esiste un prima del muro e un dopo muro. Ci sarà un prima del Canada e un dopo Canada. E mille altri prima e dopo che segmentano la mia vita. Ma il muro segna il passaggio all’età quasi adulta, l’inizio della fase occhi cattivi e muso lungo e la fine della fase le femmine sono tutte buttane. Le femmine, infatti, sono tutte molto più puttane more&more. Poi anche quella fase è passata ma c’è voluto un pò, c’è voluto una cosa importante. Così adesso c’è anche un altre fase prima e dopo. Ma queste sono altre storie. Story of my life.
    Duli dice che il mio vezzo a raccontare storie l’abbia preso da mio nonno. Macchè io mi sto esercitando per quando sono papà, che poi dirò a mio figlio cose del genere “…io alla tua età già[cosa a caso anche finta]!”.
    Sergio invece, fra i nostri discorsi mentre copiamo noiose tabelle (che rappresenteranno -si spera per lei- il futuro di tutta la vita della Duli suddetta), dice che siamo uomini profondi. Nel senso che di maschi come noi sono rari, e lui pensa di essere il principe azzurro di qualcunA. La bestia del mio amico è il quasi principe azzurro di una donna che ha gli occhi chiari, i capelli rossi, una tenuta coi cavalli e una barca a vela. Io non l’ho vista ancora di persona quindi non posso ancora dire se è bella anche se so già che ha i capelli rossi. Dato che non l’ho ancora vista Sergio non è ancora del tutto il suo principino, avete presente che casino che sarebbe uscire con la zita e gli amici che odiano la zita? Ecco…
    Io intanto ho l’umore che si sta facendo un giro su una sinusoide avente un periodo p brevissimo (una onda che va su e giù tantissime volte in un breve periodo di tempo, in non-ingegnerese). Ieri ho avuto uno scatto d’ira ma ho giusto spezzato un paio di fogli (sapete che in inglese “foglio di merda” si pronuncia scit sciit?) e non ho distrutto nessun orologio. La cosa è meno grave ma mica troppo, ma comunque ammetto di essermi sentito meglio dopo. Oggi invece è tutto il giorno che corro. Per i corridoi, per andare da Duli, per prendermi i biscotti a cui tolgo la muffa ma che sono buoni lo stesso. Salto sulla scrivania e canto una canzone di Antonacci. E m’è preso di pensare a quella frase di un film arcinoto:

    Quel giorno, non so proprio perché decisi di andare a correre un po’, perciò corsi fino alla fine della strada, e una volta lì pensai di correre fino la fine della città, e una volta lì pensai di correre attraverso la contea di Greenbow. Poi mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui tanto vale correre attraverso il bellissimo stato dell’ Alabama, e cosi feci. Corsi attraverso tutta l’Alabama, e non so perché continuai ad andare. Corsi fino all’oceano e, una volta lì mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui tanto vale girarmi e continuare a correre. Quando arrivai a un altro oceano, mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui, tanto vale girarmi di nuovo e continuare a correre; quando ero stanco dormivo, quando avevo fame mangiavo, quando dovevo fare… insomma, la facevo! 

    Pare che abbiamo oltrepassato in un modo impeccabile la curva cieca del nostro destino. Sembravamo Rossi in quel sorpasso mozzafiato all’ultima curva su Lorenzo, solo che nel fare tutto questo eravamo in una sala operatoria. Adesso aldilà della curva compare una salita, una lunga salita. Si vede la fine e allora sembrerà tutto più facile. Le cose più difficili da fare sono quelle di cui non si capisce il senso, ma in fin dei conti è come risolvere un tema d’esame senza guardare le soluzioni. Poi le guardi ed è tutto banale, ma prima erano tutte banane.
    Ho disattivato la You&me. A quanto pare non è servita, dovrebbe essere una bella notizia. Ma è una di quelle curve cieche che non capisco dove mi porteranno, Sergio dice che “…aspettare e finire l’esercizio intanto!” potrebbe essere una buona idea.
    Il primo esame è andato abbastanza male, e questo è un bene. Io c’ho un modo tutto mio di motivarmi. Mi faccio sentire una merda e poi mi sfido a dimostrare il contrario. Non so bene come funziona questo gioco delle parti ma alla fine della fiera non ho ancora capito se sono ‘na mezzasega molto motivata o un quasi-genio  senza autostima. L’importante è correre, fino alla fine della strada.

    …e siamo in duecento!

    E’ da un pò che non scrivo. C’ho avuto il blocco dello scrittore, anche se non sono uno scrittore. Ma c’ho avuto il blocco lo stesso. Questo è il duecentesimo post che sta scritto qua. Se, duecento. Ricordo ancora quando iniziai col primo: venivo dalla geniale invenzione della metafora dell’equilibrista, e bisognava fare sul serio. Così iniziai a parlare di cose a caso, poi di caso a cose e poi ho iniziato a raccontarmi. E così è stato che questo blog ha attraversato tutte le fasi dell’amore, tutti gli alti e i bassi della mia breve carriera di aspirante ingegnere e tutti i flussi di coscienza che soltanto chi vive può raccontare senza inventare.

    Allora ho pensato che questo duecentesimo post doveva essere importante, parlare di argomenti considerevoli con un italiano quanto mai perfetto. Ma poi il tempo è venuto a mancare, gli esami stanno sfondando le porte e io mi sono bloccato. E poi ho detto, se voglio continuare a scrivere devo fare un altro post. Non c’è modo. Centonovantanove sono pubblicati, uno rimarrà per sempre una bozza. Diciamo che questo è il centonovantanovesimo-post-più-uno.
    Riassunto: sono ancora un quasi-ingegnere: sto studiando come ordinare le cose (Algoritmi e principi dell’informatica), come fare in modo che tante cose entrino in poco spazio e riuscire a far funzionare il tutto decentemente (Reti logiche). Studio come funziona la rete, non quella per pescare (Reti di Telecomunicazioni e Internet) e l.b.n.l Basi di Dati: il corso che dovrebbe spiegarci come e perchè sono importanti le tabelle. 
    Sto iniziando a guarire (no in realtà ho ancora la tosse, ma non mi riferivo a quello). Il mio prof di Teoria dei Sistemi (esame già svolto, non so come, chiedete a duli per queste cose) dice che i ricordi di ogni uomo tendono asintoticamente a zero col passare del tempo.
    Questo blog è seguito sempre dalle solite persone, più qualcuna in più. Questo mi fa piacere, quando si è troppi a mangiare poi c’è troppo poco da mangiare. E a me piace mangiare, da matti. Mamma ha finalmente rinunciato all’utopia di farmi superare i 60 chili, e io quasi quasi per dispetto sono tentato di superarli.
    Doveva parlare di cose insignificanti (Minciati cù l’uossi aruci è giusto un paradosso: non esistono ossa dolci, le minchiate più minchiate che esistono insomma) ma poi mi sono innamorato. E m’è presa la sindrome di Ivan (appena definita così) e tutto il mondo ha iniziato ad assumere un aspetto meraviglioso. E anche adesso è ancora così, come essere ubriachi anche senza bere. 
    Sto leggendo un libro che tratta di numeri primi, quel tipo di numero che può essere diviso solo per sè stesso e naturalmente per uno. C’è molta magia nel campo della matematica dietro questi numeri, e le persone che nel passato hanno studiato tali numeri sono anch’esse magiche, talvolta bizzarre ma sempre uniche. E una frase mi ha così tanto colpito che in realtà è stata lei, la frase, a convincermi che fosse ora di scrivere.
    “Ci sono un sacco di cose che giacciono sulla spiaggia e che non vediamo finchè qualcuno non ne raccoglia una. Allora, quella, la vediamo tutti”

    E’ una frase di una donna, una delle uniche (favoloso errore, una delle uniche) donne matematiche riconosciute: Julia Robinson.
    Non so perchè ma questa frase è magica, come il mistero dietro i numeri primi. Ogni discorso potrebbe iniziare con questa frase, e proseguire in modi variegati. Io non ho ancora deciso quale discorso della mia vita far iniziare con questa frase, ma ho in mente qualcosa. Come la foto che appare in alto.
    Si sono io, anche se il mio culo sembra più grosso. Sergio dice che me l’ha pompato con qualche sua diavoleria. Ma oltre a questi discorsi anatomici mi piace l’idea di essere su dei binari. Con un piede, con l’altro faccio quel che voglio. Scarpe di ginnastica, jeans e capelli sparpagliati. Come vorrei essere per tutta la mia vita. Culo rivolto al passato e un infinità di futuro davanti a me. Chissà cosa c’è alla fine di quei binari, se incontrerò tram guastati o se ci saranno altri controllori a farmi le multe per eccesso di furbizia. Il passato è così vicino (il pezzettino di rotaia dietro il mio culo), non scordo quello che ho fatto: sono un flip-flop insomma. E c’ho molto pane e cipolla da mangiare, per diventare grande grandissimo. E chiaramente sono ben disposto a smentire i teoremi dell’ordinario. Un flip-flop ribelle che mangia la cipolla (questo è un flip-flop).
    Vi hanno mai detto che due rette parallele non si incontreranno mai? Che due persone apparentemente inconciliabili non si uniranno mai? Perchè allora quei binari lì, alla fine della loro strada, si sfiorano, non vedete anche voi come danzano felici? E duecento post in questo piccolo blog non potranno mai bastare per spiegare la vita di quei due binari, del perché poi hanno deciso di unirsi a ballare all’infinito è meglio non provare neanche a parlarne. Ci sono momenti in cui si deve finire di raccontare, momenti in cui bisogna solo ascoltare.

    231.584.178.474.632.390.847.141.970.017.375.815.706.539.969.331.281.128.078.915.826.259.279.871 è il più grande numero primo che si conosca. Non ha saputo dire su due piedi a chi importasse.

    …come questi duecento interventi. Al prossimo racconto allora, per chi importa :)
    P.S In realtà era divisibile per 47, ma è così importante dirlo dopo per chissà quanto tempo avranno calcolato quel numerone?