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Pacchi collaterali…

Sto sgomberando la stanza. E’ giunto il mio ultimo anno in questa struttura. Forse ci tornerò dopo il Canada ma per adesso sono costretto a uno sgombero totale. Mi do un buon 60% di roba già impacchettata, il resto andrà in valigia e negli ultimissimi pacchi. Ma c’è una cosa che è troppo importante per buttarla. C’è una cosa che è troppo dolorosa da portare a casa. Sono stato un po’ ad annusare la rosa rossa oramai secca, l’ho tenuta fra le mani. Mi avevi insegnato davvero bene come essiccare una rosa rossa. E anche la mimosa di una festa ormai troppo lontana è essiccata nel modo corretto. Posso farti solo due domande? Le ultime due per adesso, sì…
Cosa ne faccio di una rosa ormai secca?
Come posso ravvivarla ora che ho capito come si essicca?

La nostalgia

A volte ritorna.
A stare da soli non ci guadagna nessuno. Piangiamo le nostre pene da soli e il peso grava su ognuna delle nostre spalle. Ho più tempo per guardarmi intorno, ho più tempo per fare il mio progetto. Posso fare i rutti e grattarmi le mutande, posso dire le parolacce e posso fare i commenti da maschio. Posso fare tutto i sogni erotici che voglio senza sentirmi un traditore, posso dimenticare il telefono in stanza e non temere che potresti chiamare. Posso lavarmi ogni tre giorni, posso risparmiare dentifricio. Posso andare in giro con le magliette spiegazzate e con i calzini spaiati e posso mangiare tutto il formaggio che voglio, bere tutta la birra che voglio. Non devo stare più attento a non fare troppo rumore quando faccio la pipì e non devo più togliere i peletti dopo aver fatto la doccia. M’ha fatto sempre schifissimo, anche se sono i miei. Ma lo facevo per te, dicevi che era giusto e che dovevo farlo per me. E io dicevo che lo facevo per me, ma ora te lo posso dire: a me mi ha sempre fatto troppo schifo e lo facevo solo per te. Ma ora posso non farlo più. Posso fare tante cose e c’ho un mucchio di ore libere che ora posso dedicare allo studio o alla cultura del mio far niente al pc.
Ma non posso riascoltare quella tua voce quando ho voglia. Devo avere un motivo serio per contattarti, devo avere di che parlare. Devo stare attento a quello che dico, devo sempre fare un’ottima impressione e mi sento costantemente sotto pressione. Devo stare attento a quel che faccio e pesare quel che fai perché c’è il rischio sempre corrente che mi riprenda una cotta per quei capelli e quel profumo, che ancora credo sia rimasta nel tuo maglione. Ahimè, sto diventando pazzo. Quel mio maglione non profuma più di te ma del cibo che ho messo nell’altra anta dell’armadio, dato che questo posto non mi da un cazzo di armadio. Ma quando mi manchi come questa sera io apro quell’armadio e odoro quel maglioncino mai più indossato che puzza di thè e profuma di te. Se avessi anche un piccolo lumicino che possa ricondurre le nostre speranze a riabbracciarsi in un’unica e identica volontà comune io sarei già innamorato di te. Ma così non è e noi lo sappiamo. Questo l’ho capito da te. C’ho messo dei mesi ad accettarlo ma anche questa volta eri tre anni avanti me. E scusa la mia violazione della discrezione.
E’ per questo che dedico questo scritto a mia figlia. Sì, mia figlia. Quella che verrà, quella che non so ancora che padre avrà, quella che un giorno dovrà avermi come padre. E lei non potrà scegliere. Per questo dovrò diventare più bravo e, purtroppo, dovrò tornare a raccogliere quei peletti schifosi dal fondo della doccia.
E poi questo vino fa proprio schifo.

Vaneggiamenti di un giovedì notte diventato un venerdì

Oggi è un giorno di scoramento. E porca troia, sbaglierò i congiuntivi uno si e l’altro pure ma so che cosa vuol dire scoramento. E ne faccio un uso inteliggente ( o intelligente che dir si voglia). L’ondata d’entusiasmo insensata come ogni cosa è terminata e adesso è sopraggiunta la normale paura di fronte alla montagna troppo alta ( o isola troppo vasta, per chi sa). Siccome la mia vita è simile al moto di una palla pazza e io non metto di certo un freno a questo sballottamento, sempre oggi è capitato pure che andassi a rileggere un post felice. Felice quando lo scrivevo ma adesso che l’ho letto di felice conservavo soltanto il ricordo. Vabbò, siccome ero scoraggiato questo pomeriggio mi sono visto un film horror al posto del tradizionale studiacchiare. E poi ho finalmente scritto la lettera d’accompagnamento. Adesso fa ancora abbastanza schifo, c’è un pericoloso crogiolo (e adesso ho proprio fatto l’amplein) di linguaggi e modi di dire. Ma domani o al più sabato, giuro, diventerà interamente in inglese aulico. E poi il mio amico pakistano Hassan gli darà un occhio.
Ci mancava solo che mi ascoltassi Cinque Giorni di Zarrillo (a proposito, io e Sergio siamo gli unici che invece di interpretare la canzone nel modo convenzionale – cantando – abbiamo contato quante lacrime al giorno perdeva il tipo…).
Invece volevo pure scrivere questa cosa. Quando facevo Fisica1 ricordo che ebbi una diatriba col docente sulla impossibilità di effettuare una misura precisa. Effettivamente la cosa è vera. Se miglioriamo continuamente la granularità delle misurazioni offertaci dal nostro strumento di misura otterremo una misura sempre più precisa (ovvio). Teoricamente il discorso potrebbe continuare all’infinito ma appare a tutti evidente che un tavolo debba avere una dimensione finita. Forse incalcolabile, ma pur sempre finita. Il prof. calvo rispose che se ci spingessimo sufficientemente oltre potremmo osservare la vibrazione dell’ultima molecola dell’estremo del tavolo. E continuando a penetrare nella materia diventerebbe impossibile misurarne la pur continuamente variabile posizione dell’atomo senza alternarne il moto.
Poi oggi ho iniziato a leggere la voce sulla teoria dei multiversi. Alla sottovoce “Teoria delle stringhe e superstringhe”. E recita così: Il costituente primo della materia sono stringhe di energia che vibrano ad una determinata frequenza o lunghezza d’onda caratteristica, e che si aggregano a formare particelle.

Secondo questa teoria che tra l’altro riscuote grande plauso fra la comunità scientifica la materia è un pezzo d’energia che un pochetto vibra con un movimento sempre uguale, poi s’attacca ad un’altra stringa che vibra anch’essa e così via. E ho pensato.
Tutto questo attaccarsi di stringhe (che io personalmente immagino come lacci di scarpe) genera gli atomi, che costituiranno il tavolo di prima e anche l’essere umano. Poi queste cose vibranti generano l’intero mondo e il mio stesso pensiero. Il mio cervello è tutta fatto di cose energiche che vibrano. E il dolore e l’amore, la paura e l’orgasmo sono tutte composte da quelle cose che scodinzolano come code di folli cani.
Cazzo, io quando sono molto triste non ho mai pensato che fosse per colpa di qualche sostanza distribuita da qualcosa all’interno della mia calotta cranica che è fatta da cose come i lacci delle scarpe che s’ingarbugliano in modi assurdi. Io sono triste e basta, altre volte invece sono molto euforico. E basta. Ma non penso mai alle stringhe.
Poi la gente si stupisce perché ci sono così pochi atei in giro. Credere in dio, vista così, è una sciocchezza. Adesso sì che è naturale crederci, è la spiegazione più breve e razionale: ci ha fatti, poi ha messo i sentimenti dentro di noi e questi poi girano per il corpo e quando colpiscono le zone sensibili si fanno sentire. 
Su questo ci devo ancora pensare bene, per adesso concediamogli una possibilità.
BNG: Oggi i tipi delle dailies (quelli delle lentine) m’hanno regalato un paio di lentine giornaliere e pure un buono di 10€ per un pacco di lentine. Se non è una buona notizia questa…

…però la vita, che gran cosa è!

Le cose procedono. Fronte università ho finalmente iniziato a scrivere codice a pieno ritmo. Sono nella fase ottimistica e per adesso me la godo. C’è ancora qualche lacuna su come proseguirà questo semestre ma anche questo è normale. 
Fronte Canada nel fine settimana (che poi sarebbe o stasera o domani sera) devo abbozzare la lettera di motivazione, quantomeno in italiano. Nell’ultima email mi han fatto sapere cosa vogliono che scriva.

[…] it is most important that you tell us a bit the types of jobs and/or companies you’d like to work in (for example, do you hope to work for a large brand-name store, or a smaller locally owned business).

Vogliono sapere un pochetto che tipi di lavoro vorrei fare e se voglio lavorare per un negozio potente o in una putia). Ovviamente non posso dire che ho scelto il programma studio-lavoro principalmente per poter ammortizzare le spese della stessa scuola. Non so come la prenderebbero. Ma a inventare balle ragionate me la cavo, devo solo racimolare la voglia, da qualche parte si sarà nascosta. Puttana (parolaccia a caso).
Fronte vita va meglio di come io avrei previsto. Peggio di come vorrei, ma perché mi mantengo sempre un sottile margine per continuare a Desiderare.
Ieri sono stato al duomo. Ci stava Pisa.pia che diceva le sue quattro stronzate copiate dalla maggioranza (siamo il vero partito dell’amore, fermiamo il killeraggio mediatico, riprendiamoci la libertà, l’urgenza dell’adesso è in noi questa volta vinceremo noi, quelli la cultura non sanno neanche cos’è). Poi la gente si domanda perché nonostante la politica filo xenofoba e (soprattutto) separatista la gente vota Lega Nord. Perché quando Pisa.pia diceva che adesso c’ha un’urgenza, Bossi mussu stuottu faceva promettere alla Letizia di riparare le strade. Oddio dicono tutti minciati, minciati cù l’uossi aruci, ma quantomeno alcune si capiscono. Vuoi mettere?
Ieri sono stato al duomo. Dopo Pisa.pia ci stava Vecchioni. Io per lui sono andato al duomo. Di Vecchioni il primo ricordo che ho è io che canto “Dove” riprodotta da un lettore cd di quelli portatili mentre scalavo in bici una salita davvero pendente. Un altro ricordo è quando lo ascoltavo in scooter, in un giorno di pioggia. Mentre mi ammazzavo per superare un autobus su cui c’era una ragazza che mi piaceva. Andavo davanti casa sua prima che lei vi entrasse, la guardavo entrare e poi me ne tornavo a casa mia. Erano una ventina di chilometri andata e ritorno, e per sopperire alla minchiata che facevo ogni giorno ascoltavo Euridice.
E adesso insieme a questi ricordi c’è pure quello di ieri sera. Fra l’altro ricorderò di esserci andato con due amici, uno mi pare fosse romano. Chissà adesso cosa staranno facendo, se hanno superato i loro problemi o se si sono laureati come pensavano. 
E anche se adesso questi possono sembrare giorni difficili o pieni di curve in salita un giorno li ricorderò con nostalgia, quant’ero giovane quant’ero sbadato quant’ero diverso.
Durante la serata di ieri di canzone che ne conoscevo ne ha fatte pochine. Oltre a quella che m’ha dedicato (Sogna Ragazzo Sogna) e la sempreverde Samarcanda ha fatto in totale altre cinque sei canzoni. Poi a un certo punto è accaduto il miracolo. Di cui abbiamo una esclusiva testimonianza di un lettore che preferisce restare anonimo. Io.  


Questa canzone mi fa venire i brividi ogni volta, tutti i peli delle braccia si mettono in piedi e sento freddo. Ma era una giornata ventosa, può esser anche quello.

Poi c’è un’altra canzone, che per l’occasione ho cantato con Roberto. Io l’ho sempre cantato da solo, o in stanza o in bici. Ma adesso con la scusa del trambusto l’abbiamo cantata insieme. Chiaramente la scelta della canzone non è casuale, niente lo è.

Passano via così come acquiloni, 
corrono dietro un vento che non c’è: 
vincono a sogni, perdono a emozioni 
le mie ragazze, 
proprio come me; 
una me la ricordo più di tutte: 
che strano, è proprio quella che non c’è; 
manca una luce sola questa notte; 
però la vita, che gran cosa è!

Ora che ho perso la vista ci vedo di più…

♫♪ (E’ abbastanza consigliato ascoltare della buona musica durante la lettura)
In fin dei conti è l’unica cosa che ci rende meno bestie: il parlare. Lo facciamo solo noi umani. Talvolta c’è da vergognarsi a sentire come viene usato questo dono, altre volte dovremmo renderci conto di quanto sia vitale. Sono state le parole che mi hanno condotto in questo stato d’animo che barcolla pericolosamente ma che potrebbe finalmente aver capito. Ha capito che è molto facile rompere il silenzio, che sbraitare lo è ancora di più. Che incrinare uno specchio, frantumare una foglia secca o bagnarsi in un giorno d’inverno sono eventi molto frequenti.
Ma se è vero che non mi spiego come due pezzi di puzzle così diversi si siano potuti intrecciare, sebbene non per sempre, ho capito infine che grazie alla grande virtù che noi abbiamo – la parola – riusciremo a non perderci fra tutti questi altri pezzi di cui il mondo è composto.
Stavo scrivendo un post sul Canada. Oggi non sono uscito in bici per lasciar calare la tensione e perciò non restava che raccontare dei progressi che giorno dopo giorno il Canada mi offre per distrarmi. Ma poi ho cancellato tutto, perché non stavo scrivendo ciò che gironzola per il cervello. Pensavo al sale.
In fondo è tutto una questione di sale. Alcuni ritengano che ce ne sia troppo e altri ne aggiungano perfino quando non si potrebbe più. La misura giusta non si sa bene qual’è, chissà se davvero esiste una misura giusta uguale per tutti. Penso che forse esista un patto segreto fra il sale e la pietanza, un patto che solo loro conoscono fino in fondo e che a noi, poveri affamati, ci sfuggirà di continuo. E non possiamo che assistere a questo gioco delle parti, provando ad alterare le combinazioni e ad evitare che di sale ce ne sia o troppo o troppo poco. Ma se adesso sto scrivendo è per il sale che è caduto di recente, abbiamo aggiunto un altro pizzico di sale alla nostra minestra. E chissà se ce n’è a sufficienza e chissà per quanto tempo ancora, cum summa Elegantia et Integritate, ne aggiungeremo.
E’ un mondo bellissimo del resto. La mia vita è perfetta anch’essa. Anche che accade quando talvolta mi appare troppo salata o piccante, è davvero difficile ignorare quale sia il loro maledetto patto segreto. Finché avrò minestra la mangerò. E per quanto sale possa esserci, anche se il sale mancherà e non percepirò la sua assenza, mangerò sempre la mia minestra. Per rispetto di chi una minestra non l’ha più, per onore di chi la minestra non l’ha proprio mai assaggiata. Le parole sono il modo migliore per esprimere la nostra presenza e quando sarà il giorno che tornerà a rivivere useremo quel che forse troppo spesso c’è mancato: un po’ di sale in zucca e tante parole per contorno. Una ricetta perfetta.
….E arrivati alla novantanovesima notte il soldato si alzò, si prese la sedia e se ne andò via.

“Dove sono sul viso di chi ha avuto l’amore”

Ho fatto la cosa che so fare meglio: sudare. Per la piscina era tardi e perciò c’andrò domani. Restava la bici e i piedi. Ho scelto la bici, perché si può correre più veloce perché si può andare più lontano e perché posso fare le sgommate.
Ho preso l’ipod di duli (con cui mi congratulo sinceramente per la musica che ascolta)(sincero, davvero! faccia con la barba) [Dovete sapere che ho fatto crescere la barba così  o quasi…e duli dice che sembro sempre incazzato, o indisponente…non l’ho ancora capito bene, ve lo spiega lei!), ho messo le cuffie e ho iniziato a pedalare. Per capirci, il mio stato d’animo quando sono uscito era così:

Dietro ogni porta un grido La casa è un muro stretto intorno a me 

Sergio mi chiede se ho bisogno di sfogarmi. Io rispondo si e una serie di volgarità che fungono a stento da preludio. Poi prendo la bici e inizia il vero divertimento. Pedalo finché ho forza nelle gambe, la strada la decido a naso. Penso che il mio percorso è caotico. Nel senso matematico del termine. Ogni decisione agli incroci introduce un livello potente di caoticità, un piccolo cambiamento nelle condizioni iniziali chissà dove mi avrebbe condotto. Mentre penso a ciò e canto a squarciagola – che tanto a Milano chi cazzo mi conosce – finisce prima la pista ciclabile, poi la provincia di Milano e alla fine l’illuminazione pubblica. Decido di tornare indietro, sebbene odio rifare la stessa strada due volte. Attraverso un sovrappassaggio e ricomincio a darci dentro. A volte oltre a cantare penso anche a ciò che sto urlando. Frasi del tipo Ognuno è figlio del suo tempo Ognuno è complice del suo destino oppure Ognuno è figlio della sua sconfitta Ognuno è libero col suo destino non mi lasciano indifferente. Anzi scatenano elucubrazioni matematiche varie e profondi quesiti su chi cazzo sia questo Celestino.
Non si sa come ma spunto a Porta Venezia, poi mentre guardo dei lavori in corso mi accorgo di essere arrivato a S.Babila. Ecco, il mio pedalare si è fatto lento. Si è finita tutta la forza esplosiva, la tensione che avevo si è esaurita. Andare in bici per me è come pregare. Non so cosa vuol dire pregare, se quelle poche volte che ci provo ci riesco. Se qualcuno mi ascolta, se basta dirlo a mente o bisogna anche parlare ma a bassa voce. Ma andare in bici fa circolare il sangue nelle cosce e i pensieri nelle tempie. E’ rilassante per il fisico e stimolante per la mente. A pennello ascolto questa canzone.

♫♪♪  
Avrei bisogno di pregare Dio.
Ma la mia vita non la cambierò mai mai,
a modo mio quel che sono l’ho voluto io
Lenzuola bianche per coprirci non ne ho
sotto le stelle in Piazza Grande,
e se la vita non ha sogni io li ho e te li do.
E se non ci sarà più gente come me
voglio morire in Piazza Grande,
tra i gatti che non han padrone come me attorno a me



Penso alla mia vita da eterno ribelle. Non tutta la mia vita, quando ho preso a lottare contro tutti e tutto. Come Don Chisciotte, urlavo e sferravo colpi all’aria dove c’era tempo e spazio. Senza una mira o un obiettivo. Era troppa delusione e il mio personale contenitore della delusione trasbordava. E io m’incazzavo.
Poi mi sono dato una calmata, ho incontrato le persone giuste, sto diventando grande. Ma non posso dimenticare chi sono stato e chi voglio essere. Mai.
Intanto arrivo in Duomo, poi Cairoli e Castello Sforzesco. Ci stanno tutte le coppiette che si sbaciucchiano. Innamorarsi a Milano, pff! Poi io sono un poco disilluso in questo periodo, e penso dentro di me tanto prima o poi vi lasciate anche voi, mi sento quello che c’è già passato, per un attimo riesco a sentirmi fortunato.
Mai sottovalutare gli effetti della bici.
Arrivo a Lanza, e mi dirigo verso Moscova. Lì ci trovi tutti i fighetti, qui non si dice “baciucchiare” ma “pomiciare forza quattro”. Tanto si lasciano, a maggior ragione questi! Vedo Porta Garibaldi, vicino c’è via Como. A me questa via mi sta particolarmente sul cazzo, sarà perché è l’habitat dei celebrolesi mentali che hanno i soldi. E io non tollero questa iniqua distribuzione della ricchezza. Perciò non mi avvicino a quel luogo diversamente radioattivo e mi dirigo verso casa dato che è circa un’ora e mezza che sto pedalando come un dannato. Repubblica, gialla. Parte De Andrè, Un chimico. Che vi ricordo fa così.

♫♪♪
Da chimico un giorno avevo il potere 
di sposare gli elementi e di farli reagire, 
ma gli uomini mai mi riuscì di capire 
perché si combinassero attraverso l’amore. 
Affidando ad un gioco la gioia e il dolore. 
Guardate il sorriso guardate il colore 
come giocan sul viso di chi cerca l’amore: 
ma lo stesso sorriso lo stesso colore 
dove sono sul viso di chi ha avuto l’amore. 
Dove sono sul viso di chi ha avuto l’amore. 

Mi sento ancora più fortunato. Non ho capito ancora le regole di questo gioco che pensavo ormai d’aver in mio possesso. Ma dacché gli ho affidato gioia e dolore ho dovuto vivere tutti i turni di questo meraviglioso gioco. E non c’è trucco e non c’è inganno.
Ricordo una frase sentita durante un intervista di Pif.
Non sono stato il migliore, non sono stato il peggiore. Sono stato il più determinato.
Sono molte le cose che mi possono essere rimproverate (chissà se sto usando l’italiano…) ma non la determinazione. Non so se basta, magari ci vuole la determinazione uno e pure la concentrazione e la furbizia. Ma io una cosa c’ho e so di essere il migliore in quello.
Adesso non so perché ma è un periodaccio. Potrebbe essere lo stress che Sergio dice che si sente sulle spalle. Io non lo sento sto stress, ho controllato sulle spalle non c’è niente. Ma sto zoppicando un po’, non posso negarlo. Tra un po’ tornerò a casa, forse aiuterà un po’.
Intanto arrivo in Centrale, faccio tutta viale Gran Sasso. Caiazzo e dopo una garetta con una macchina dei vigili del fuoco (sono passato col rosso e ho vinto!) arrivo a Piola e quindi casa. L’ipod adesso suona La via della povertà, canzone che andrebbe citata per intero. Salgo a casa e il resto e ordinaria amministrazione.
No, non è affatto vero.
Ma adesso si è fatto tardi, devo fare la doccia che puzzo di criceto agonizzante, sistemare la stanza che domani torna Khadir e recuperare la via del letto.
Giuro, adesso mi sento bene. Grazie bici di chissà chi.

Stretta la foglialarga la viadite la vostraio ho detto la mia.

Apparenze

Non riesco a stare senza di te per tutti questi giorni, e allora cerco disperatamente con tutti i miei sensi le donne che ti somigliano.
Ne ho trovata una che ha lo stesso colore dei tuoi capelli. Li ha mossi come i tuoi, le toccano leggermente le spalle e perfino il colore sembra essere uguale il tuo. Si chiama Giulia.
Poi c’è Chiara. Ha i tuoi occhi. Non sono neri, non sono castani né verdi. Non ho capito il colore dei suoi occhi ma è esattamente come il tuo.
Francesca invece dorme come te. Ha un sonno profondo, delle volte russa ma lo fa con incredibile discrezione. E’ una ragazza dormigliona ma sa rimanere sveglia se ne vale la pena.
Poi c’è una ragazza che ha un profumo della pelle che mi ha costretto a voltarmi tant’era simile al tuo. Non sono riuscito a capire molto di lei, ma il vostro profumo è identico. Credo si chiamasse Federica.
La conosci Sara? E’ una ragazza discreta, non veste mai fuori luogo e riesce a muoversi con una eleganza unica. Dovreste conoscervi un giorno, vi piacereste.
Martina invece ha la tua risata. Mai eccessiva, non è irritante non è mai fuori luogo. E’ fantastica quando ride, glielo dicono in molti. Ti ricorda, per caso, qualcuno?
C’è Valentina che non è molta alta. Ma è ordinatissima e rasenta la perfezione. Non fa niente se non è necessario, riesce a organizzare il proprio tempo in qualsiasi condizione essa si trovi. Vorrei essere come lei. O come te.
Un’altra ragazza che ti somiglia è Alessia. Respira come te. Si ecco, non tutte le persone respirano alla stessa maniera. Lei ha un respiro perfetto, come te. E quel respiro sembra così tanto prezioso.
Silvia invece parla come te. Quello strano accento, quella voce pacata che m’ha fatto innamorare di te. Quelle parole che sapevano tagliare il ferro quand’era necessario. Quelle parole che non si tiravano indietro, quelle parole che non avevano paura di rompere le catene delle convenzioni.
Infine Elisa. Ha il tuo corpo. Le tue linee leggere, nulla di esagerato. Ma così sinuose che non potrò mai smettere di paragonarle. E quelle di Elisa erano pressoché come le tue, sembravano uguali alle tue.
Dieci ragazze pensavo fossero abbastanza per colmare la tua assenza, per occupare i miei pensieri. Sapevo già che non potevo trovare tutto in una sola persona, ma credevo che se avessi trovato qualcosa di te in dieci di loro allora sarebbe stato un po’ come continuare a vederti. Per un po’ ho voluto credere che poteva andare ma poi davanti all’evidenza mi sono dovuto arrendere.
Nessuna di loro, neanche se provo a fare una stupida somma, riesce a raggiungerti in intelligenza. Nessuna ha la tua arguzia, nessuna ha il tuo spirito. Nessuna di loro può, anche provandoci, assomigliarti. Chissà cosa troverò in Ilaria Eleonora Giorgia Elena o Laura. Ma il fatto che non riuscirò a trovare una donna esattamente come lo eri tu, questo mi stravolge. Questo non mi fa capacitare, non mi da respiro.
Voglio risalire con te sul masso ancora una volta.

Perdonatemi. So che è un po’ da checca questo post. I nomi li ho presi da qui. Il fatto che non verrà letto dalla persona giusta, che mi son finito, scrivendo, il Nero d’Avola, il fatto che non abbia più la lucidità di continuare a scrivere codice e che Sergio probabilmente dirà che ormai il peggio dovrebbe essere passato (e forse così non è)…questi fatti mi fanno sentire un piccolo verme. Per questo chiedo scusa, e mi/vi rimando al prossimo post irriverente. Sperando che il meglio deve ancora venire.
Il martufo.

Io sto dicendo una cosa mia…

Ok lo so lo so è tardo. E lo so che ho scritto un post solo qualche ora fa. Ma ho bisogno di scrivere. Il letto è qua accanto a me, il sonno sopra di me, ma devo scrivere. Se adesso fossi in mezzo all’acqua starei nuotando disperatamente per arrivare a toccare l’altra parete. Ma sono su una sedia e sbatto nervosamente questi diti da cui fuoriesce ciò che non voglio. Un po’ come quegli insetti nel “Il Miglio Verde”, così lo immagino io.
Parto con la serie di eventi che sento di scrivere, non hanno una particolare importanza, il loro ordine è piuttosto casuale e probabilmente sono assolutamente noiosi. Ma questo blog  è stato chiaro fin dal primo post, parla di me di come sono fatto di cosa mi succede. E’ una speciale interpretazione di ciò che ho appena letto su facebook da una persona: “When anger rises, think of the consequences”
Stasera sono andato al cinema, è successo un episodio carino. Basta poco per sorridere, non è vero?
Al cinema mentre scorrevano le immagini per la prima volta ho realizzato di essere sereno.
A casa quando sono tornato dal cinema mi sono però accorto che tengo ancora con lo sputo.
Come una foglia d’autunno. Bella bellissima ma un colpo di vento la butta giù. E ci vuole poco a passare dall’altezza di un albero secolare all’umiliazione di una suola di scarpa.
Vorrei essere in Sergio proprio in questo momento, ma so che è sbagliato desiderare di essere qualcos’altro. Devo vedere il lato comico della lunga distanza, vedere quello che si ha vicino i piedi è facile ci riescono tutti.
Ripasso le tappe della mia vita: andare in Canada, tornare migliore e con conoscenze amplificate. Scriversi ad una specialistica e ritornare all’estero per continuare il percorso di ampliamento delle mie possibilità. Poi iniziare con l’umiltà, proseguire con l’umiltà e infine trovare un lavoro che mi riempe di soldi. Con la stessa umiltà. Soddisfare i miei sogni da bambino, poi quelli di adolescente e infine quelli da adulto. Diventare qualcuno, far ricredere gente come l’ispettore Sammito, far mangiare le carne sotto le unghie a chi mi ha fatto del male.
Nel frattempo continuerò a cercare di pescare la carta giusta nel grande mazzo degli imprevisti. O delle probabilità che siano. Sperando che la salute rimanga a farmi compagnia.

La vita non è una tragedia in primo piano, ma una commedia in campo lungo.

E’ appena successo questo fatto. Ero a Parigi (è una metafora) e squilla al telefono. E che palle, mi alzo e vado a rispondere. E’ un numero strano, sono quelli di wired. E che palle, “le offriamo un rinnovo – il suo abbonamento sta scadendo – le regaliamo pure una maglietta perché ci segue sin dall’inizio – solo per lei uno sconto del 60% – altre leccate di culo varie ed eventuali.
Lo interrompo nel bel mezzo del suo messaggio quasi automatizzato sa, non rinnoverò l’abbonamento…molto presto [ma perché non ho detto prestissimo?] andrò all’estero e quindi non avrò un recapito dove farmi consegnare la rivista. E non avrò il tempo di leggerla. Ah ok ho capito, allora la ringrazio e sinceri auguri di buon viaggio. Grazie a lei, arrivederci[ma se non ci siamo mai visti…].
Chissà cosa fanno le persone quando le chiamo al telefono, sarà successo a qualcuno che ho chiamato di trovarsi nelle mie condizioni. Spero che non inventeranno mai i telefoni che diffondono gli odori.
Ad ogni modo oggi ha chiamato di nuovo il politecnico. E’ in vena di darmi dei soldi per ora, mi hanno offerto una nuova collaborazione di circa quaranta ore che porterebbero a sessanta delle centocinquanta ore che posso svolgere in un anno accademico. Questa volta dovrò distribuire dei moduli per l’Osservatorio della Didattica. Che poi è un modo fico per dire che è come gli studenti possono finalmente valutare i loro professori.
Quando ho staccato dalla chiamata, la prima cosa che ho pensato a come poter introdurre questa collaborazione nel mio résumé che dovrò allegare al modulo d’iscrizione della scuola del Canada.
Canada: adesso si va sul concreto. Sto compilando i moduli, impegno che mi terrà occupato per il fine settimana. Molto presto (o prestissimo che dir si voglia) dovrò sborsare il danaro, che è un attività che non mi riesce molto bene. C’ho quell’ansia da senzatetto, di quella persona che ha appena la moneta per sfamarsi e che deve scegliere bene fra i cibi che più lo sazieranno. Ad ogni modo ieri ho fatto 35€ di spesa, stasera andrò al cinema e probabilmente comprerò un paio di cuffie come auto-regalo. E poi basta, stiamo rientrando in periodo d’esame e quindi le mie finanze cresceranno proporzionalmente col diminuire del tempo libero.
Col telefono ho ancora un rapporto difficile, l’altra notte ho dovuto spegnerlo per evitare che facessi minchiate. E lei di tutta risposta non ha suonato la mattina, quando c’era da svegliarmi.
Ho deciso che sarà questo il blog che mi seguirà in Canada, non ne farò uno nuovo. Ser Sergio m’ha aiutato nel decidere, diciamo pure che m’ha detto o così o niente. Cambierò qualcosa nella grafica, forse nel titolo. E vedrò di archiviare in una sorte di package i post ante-Canada.
Ho deciso che voglio farmi i capelli come due anni fa, sento che è l’ultima possibilità prima che inizieranno a fare la fine delle gocce d’acqua in prossimità delle famose Niagara Falls (tanto per rimanere in tema).
In piscina va sempre meglio, se trascuriamo il fatto che ho un po’ i postumi di un crampo da ultima vasca. Ho imparato a respirare correttamente, lo spero almeno, e adesso recupero prima il fiato. Sento sempre più forza dappertutto e mi sento sempre meglio quando esco dalla piscina per tornare a casa.
Lo sport è una cosa meravigliosa, lo avevo scordato.
La vita è una cosa meravigliosa, spero di non dimenticarlo. E poi mi sa che sta tornando la febbre, perciò ho bisogno di karma positivo.
Karma positivo, quello che ti fa prendere il 33 senza anni di attesa, e poi che fa trovarmi l’ascensore al mio piano e che fa apparire l’Alba quando più ce n’è bisogno.

La frase nel titolo è di Sir Charles Spencer Chaplin, 122° anniversario della sua nascita.

Alba dove sei? + FDC – 9 [Aggiornato]

Quest’estate mi sono bruciato tutto il collo e ci passavo una cremina che secondo me non serviva a un cazzo. Però il collo mi faceva male e perciò c’avrei spalmato pure la pasta al forno.
Penso spesso a quest’estate anche se c’avrei dovuto pensare quando era ancora estate. La sera è il momento più critico: io non so dove trovo la forza per ignorare le urla del cellulare che mi dicono prendimi e scrivimi un sms.  Bello il main comunque. Robusto, una buona dimostrazione di OOP.
Il mondo è così pieno di puttane che se non fai il puttaniere stai disoccupato. Oppure fai architettura.
Aprile di un nuovo anno. Spunta la primavera, alcuni problemi rimangono altri si sono aggravati. Tendo a minimizzare quelli risolti, non sono neanche a metà del mio percorso: l’ottimismo non è ancora desiderato.
Il polimorfismo e la portabilità estrema sono degli ottimi esempi che celebrano l’importanza di java.
E alla fine sono diventato paranoico. Tocca indossare la corazza, tirare fuori le palle. Questo post piacerà a duli che ama l’ermetismo dei miei flussi di coscienza (coscienza con la i, senza è un errore da penna rossa. E sottolineato due volte). Ma le cose importanti adesso sono altre.
Stanotte ho avuto degli incubi. E’ giusto, devo magnare di meno la notte. Spero che faccio incazzare le persone che mi fanno incazzare nei sogni, ora duli puoi smetterla di dirmi falsità. Almeno nei sogni per favore.
A Sergio non funziona il polimorfismo, che sia un problema di upcasting? O forse è l’arryList che segfolta?
Fanculo fanculo fanculo, voglio ancora sudare in piscina. C’ho dei problemi di respirazione in acqua, stanco presto ma forza nelle braccia ce n’è da vendere. Gli effetti fin’ora sono: sono tornati un principio di quadratini, c’ho una fame pazzesca a qualsiasi ora del giorno, ho ripreso un po’ di confidenza con la fatica e soprattutto elimino un mucchio di tossine psicologiche in quell’acqua. Secondo me le propago agli altri, che me ne fotte a me. Oggi tornando [a Sergio funziona il polimorfismo proprio adesso: gli strumenti diventano chitarre da sole] da due-tre ore di programmazione non-stop andate piuttosto bene ho pensato che quando in un giorno di sole come questo, sei allegro, la gente al parco attorno a te è allegra, stai tornando a casa, sei pieno di salute,  ho pensato che mi mancava una cosa.
Ci vuole una nuova Alba per ricominciare.
Una curiosità. Ci sta qualcuno (secondo me è donna) che vive forse dalle parti di Rocca Priora o forse da Bologna. Insomma o nel Lazio o nell’Emilia-Romagna (quali delle tre?) che viene spesso spessissimo sul mio blog. Usa Mozilla Firefox e ha windows xp. Oggi è venuto verso le 19 e prima verso le 12-13. Chi è chi è chi è? Ti chiami Alba? o Alfredo? Ad ogni modo contattami qua: gas12n@yahoo.it
No perditempo, no ragni, no cavalli, no persone che non sanno cos’è u cantaranu.
Se siete un ragno possiamo fare un eccezione. Ma solo quelli non pelosi. Grazie.

[Aggiornamento: il personaggio misterioso è appena arrivato, 8 minuti fa. Se proprio dovesse avere dubbi. Anche i cavalli dai…ma solo entro oggi :D ]

La mia morte

Prologo: ho appena tentato di schiacciare un moscerino col retro del portafoglio. E’ riuscito abilmente a scansarsi all’ultimo istante, con questo colpo di reni ha meritato la mia benevolenza. E’ libero di svolazzare per la stanza per le prossime ore.
Corpo del post: l’ho messo in chiaro fin dal titolo, questo post parla della morte. La mia morte, in particolare. Ho già quasi scritto un post a riguardo. Lo ricopio perché ha un nesso con questo e soprattutto perché ai miei occhi mi sembra bello bellissimo. Il titolo era “E’ bene ricordarlo”.

E’ impressionante, favoloso al solo pensiero, come io adesso stia qua allegro e penserioso a scrivere su un letto con una coperta arancione un pò verde e fra un pò – senza poterne decidere il modo e il motivo – salga su un’ambulanza che mi porterà più veloce della vita dentro una cassa, che diventerà la mia eterna casa. E’ curioso come spendiamo la maggior parte del nostro tempo a elucubrare su tutte e le sole cose di cui sconosciamo l’assoluta ed effettiva realizzazione. 

Era febbraio 2010, il periodo più felice della mia vita. Ma è quando (preparatavi per la massima…) si sta in piedi che bisogna mettere le mani avanti per poi cader senza dolore. Alla siciliana cù nun pensa avanti avanti all’uttimu suspira, di immediata comprensione anche per un valdostano.
Di quel post ricordo che quando lo scrissi ero felicissimo. Era una di quelle volte che partivo in direzione Stazione Centrale, su un treno che m’avrebbe condotto verso la porta della felicità. E ricordo che pensavo che non volevo proprio morire.
Non credo ci sia stato un momento nella mia intera vita in cui ho voluto morire. Molte volte sono morto dalle risate, qualche volta dalla paura e una volta ricordo mandai un sms in cui c’era scritto che “se fossi morto in quell’istante sarei tutto sommato morto felice” (e credo che sia molto difficile concentrare la felicità in tal modo in meno di centosessanta caratteri).
Penso spesso alla mia morte. Oggi è capitato che andando in aula sono passato da un portone di un palazzo, ho visto quattro fra uomini e donne che stavano in piedi aspettando la cassa da morto di qualcuno. Allora mi sono chiesto cosa succederà quando morirò, come sarà insomma. C’è chi non ne parla per scaramanzia, Duli e Marta fanno aaavvvvà (circa così) e poi cambiano discorso forse per paura. Poi magari si finisce a parlare che i treni sono sempre in ritardo e che forse l’anno prossimo ci sarà un giorno in cui pioverà mentre ci sta il sole. Ma la morte no, la morte mette tristezza e parlarne la fa avvicinare di gran corsa. Della morte non si parla.
Quando penso alla mia morte ricordo un pezzo di una canzone che fa così: 

[…]la sua morte sarà molto romantica/trasformandosi in oro se ne andrà/per adesso cammina avanti e indietro/in via della Povertà. 
Io nel periodo pre-muro pensavo che sarei morto giovane, di morte violenta per giunta. A quel tempo non era improbabile infatti che io morissi con uno spiacevole incidente, o che qualcuno in giro m’avrebbe pestato fino al trapasso. Ora nel periodo post-amore (o in quello pre-laurea/Canada, che suona decisamente meglio) penso che non voglio morire. Per questo guido un po’ più piano, e non perché lo devo fare per qualcuno. E’ che ho due anni tutti belli programmati, e programmare la propria vita non è come svolgere il ruolo di capo nella direzione de lapozzadacqua organizzando una gitarella fuori porta. C’ho tutta una serie di promesse da mantenere, devo diventare un lele molto migliore devo far ricredere una decina di persone devo comprarmi la casa dei miei sogni (sic.) devo spaccare le tasche di soldi. Poi mi costruisco un deposito e ci nuoto dentro. Perché c’ho le palle che fanno scintille, touché!
A me non fa molta paura la morte. Ho avuto paura del lupo delle fave, del diavolo prima e dello strapotere di dio poi. Io c’ho paura solo del dolore. Non voglio farmi del male, eppure ieri in piscina mi sono ustionato un dito col phon, si succede anche questo in piscina. E se la morte non necessita il dolore io con la morte mi ci faccio il baffetto.
Ma poi anche da morto non vorrei provar dolore nel vedere gli altri piangere sulla mia salma, chissà se da morto sono più brutto che da vivo. La gente non dovrebbe piangere ai funerali, la situazione è già così drammatica. Bisognerebbe farsi coraggio l’un l’altro, che razza di atteggiamento è dimenarsi in quel modo di fronte a un morto. Non bisognerebbe distrarre i morti, quando ormai hanno smesso di provocare dolore non si dovrebbe continuare ad addolorarsi.
Io non capisco quelli che si suicidano. Avranno i loro validi motivi anche se credo che la maggior parte di essi ha preso un’ultima decisione troppo affrettata. E per questo sarà la loro ultima decisione. Le cose che riguardano la morte dovrebbe essere fatte con una calma mortale. Come la processione funebre per esempio. Sono morto con fatica e adesso si cammina alla velocità che dico io, e che cazzo!
Io sono stato triste e felice: in momenti disgiunti. E ho pensato in entrambi i casi alla morte. Penso che sia una forma di rispetto per la vita, pensare alla morte. Come per la febbre: non è che porta disgrazia pensare alla febbre quando si è esenti da microbi; allo stesso modo pensare alla morte quando si è felice da morire o tristitristitristissimi (che poi sono le migliori due manifestazioni della vita che abbiamo a nostra disposizione) non è che faccia apparire una cerchietto rosso sul nostro capo con scritto “Kill me: 1000 punti” (per sicurezza la prossima volta che penso alla morte corro davanti a uno specchio, poi vi dico).
Pensare che mentre si è vivi qualche volatile pensiero sulla morte possa farci morire è un discorso da lavativi, o – mizza che esempio – da omeopati.
Epilogo: C’è una cosa sicura a cui prima o poi tutti noi dobbiamo pensare. E non è il sesso. E neanche facebook, è la morte. Se non pensate voi a lei, sarà lei a farsi vedere (da qui il detto “vedere la morte cogli occhi”). C’era un tipo che scappava della morte e poi la morte era alla fine della sua fuga. Porca puttana che scemo, avrà pensato il soldato tornato dalla battaglia.
Chissà poi se è furba quanto qualcuno dice, io intanto mi porto avanti. E penso alla morte, perché son vivo perché son vivo. 
Nota a margine: P.S Se dovessi morire nel sonno questa notte non credete a un cazzo di quel che c’è scritto in questo post, allegria! la mort…avaaaàà, viva la f…elicità. Cambiate indirizzo e nascondetevi sotto le lenzuola!

Lo sbaglio

Capita che passi giorni e giorni a pensare, poi capita che ti ricordi di una canzone che non ascoltavi da anni. Poi capita che ti ammali per un colpo d’aria preso fuori dalla piscina, e capita che non c’è nessuno a infilarti il termometro sotto l’ascella. Capita che tutte queste cose sono capitate questa notte, notte assolutamente insonne (e siamo a due). E la notte non posso fare sport per distrarmi.

Certi problemi non sono un dramma
Perchè è la vita che li programma
E questa vita
Mi ha messo in vita
Forse quel giorno era impazzita

Certi problemi non sono un dramma
Perchè è la vita che li programma
E se lo fa sa quel che fa
E chi lo sa quand’è che sbaglia
Quando ci dona quando ci toglie
E chi lo sa quand’è che sbaglio
Quando son solo o con mia moglie
E chi lo sa quand’è che è meglio
Se per capire cosè uno sbaglio
Nessuno sa qual’e la soglia
Per poter dire diamoci un taglio
Chi lo sa se darci un taglio
Non sia frutto del prorpio orgoglio
Non so più qual’è il mio meglio
Se non si scioglie questo groviglio

Certi problemi non sono un dramma
Perchè è la vita che li programma
E se lo fa sa quel che fa
E chi lo sa quand’è che sbaglia
Quando ci dona quando ci toglie
E chi lo sa quand’è che sbaglio
Quando son solo o con mia moglie
E chi lo sa quand’è che è meglio
Se per capire cosè uno sbaglio
Nessuno sa qual’e la soglia
Per poter dire diamoci un taglio
Chi lo sa se darci un taglio
Non sia frutto del prorpio orgoglio
Non so più qual’è il mio meglio
Se non si scioglie questo groviglio

Non so più qual’è il mio meglio
Se non si scioglie questo groviglio

Tutta apparenza un solo abbaglio
Non c’è canzone senza uno sbaglio