Oggi è un giorno di scoramento. E porca troia, sbaglierò i congiuntivi uno si e l’altro pure ma so che cosa vuol dire scoramento. E ne faccio un uso inteliggente ( o intelligente che dir si voglia). L’ondata d’entusiasmo insensata come ogni cosa è terminata e adesso è sopraggiunta la normale paura di fronte alla montagna troppo alta ( o isola troppo vasta, per chi sa). Siccome la mia vita è simile al moto di una palla pazza e io non metto di certo un freno a questo sballottamento, sempre oggi è capitato pure che andassi a rileggere un post felice. Felice quando lo scrivevo ma adesso che l’ho letto di felice conservavo soltanto il ricordo. Vabbò, siccome ero scoraggiato questo pomeriggio mi sono visto un film horror al posto del tradizionale studiacchiare. E poi ho finalmente scritto la lettera d’accompagnamento. Adesso fa ancora abbastanza schifo, c’è un pericoloso crogiolo (e adesso ho proprio fatto l’amplein) di linguaggi e modi di dire. Ma domani o al più sabato, giuro, diventerà interamente in inglese aulico. E poi il mio amico pakistano Hassan gli darà un occhio.
Ci mancava solo che mi ascoltassi Cinque Giorni di Zarrillo (a proposito, io e Sergio siamo gli unici che invece di interpretare la canzone nel modo convenzionale – cantando – abbiamo contato quante lacrime al giorno perdeva il tipo…).
Invece volevo pure scrivere questa cosa. Quando facevo Fisica1 ricordo che ebbi una diatriba col docente sulla impossibilità di effettuare una misura precisa. Effettivamente la cosa è vera. Se miglioriamo continuamente la granularità delle misurazioni offertaci dal nostro strumento di misura otterremo una misura sempre più precisa (ovvio). Teoricamente il discorso potrebbe continuare all’infinito ma appare a tutti evidente che un tavolo debba avere una dimensione finita. Forse incalcolabile, ma pur sempre finita. Il prof. calvo rispose che se ci spingessimo sufficientemente oltre potremmo osservare la vibrazione dell’ultima molecola dell’estremo del tavolo. E continuando a penetrare nella materia diventerebbe impossibile misurarne la pur continuamente variabile posizione dell’atomo senza alternarne il moto.
Poi oggi ho iniziato a leggere la voce sulla teoria dei multiversi. Alla sottovoce “Teoria delle stringhe e superstringhe”. E recita così: Il costituente primo della materia sono stringhe di energia che vibrano ad una determinata frequenza o lunghezza d’onda caratteristica, e che si aggregano a formare particelle.
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…però la vita, che gran cosa è!
[…] it is most important that you tell us a bit the types of jobs and/or companies you’d like to work in (for example, do you hope to work for a large brand-name store, or a smaller locally owned business).
Questa canzone mi fa venire i brividi ogni volta, tutti i peli delle braccia si mettono in piedi e sento freddo. Ma era una giornata ventosa, può esser anche quello.
Poi c’è un’altra canzone, che per l’occasione ho cantato con Roberto. Io l’ho sempre cantato da solo, o in stanza o in bici. Ma adesso con la scusa del trambusto l’abbiamo cantata insieme. Chiaramente la scelta della canzone non è casuale, niente lo è.
Ora che ho perso la vista ci vedo di più…
….E arrivati alla novantanovesima notte il soldato si alzò, si prese la sedia e se ne andò via.
E’ già Pasqua alla 244/2 ( o forse /1…)
Un attimo prima… |
…e quello dopo. |
I famosi pastieri, due stanno già dentro di me… |
Oggetti di varia natura. Vediamo di non dare il Sustenium alle zanzare e bersi il vape |
…cosa c’è? Ancora nutella? |
Che vita sarebbe senza… |
Mi ammalerò lo so, mi ammalerò! |
Valli a ordinare poi… |
Confronto fra la dimensione della Pasqua e la mia mano |
Fortuna che peso 64kg… |
Io sto dicendo una cosa mia…
Ok lo so lo so è tardo. E lo so che ho scritto un post solo qualche ora fa. Ma ho bisogno di scrivere. Il letto è qua accanto a me, il sonno sopra di me, ma devo scrivere. Se adesso fossi in mezzo all’acqua starei nuotando disperatamente per arrivare a toccare l’altra parete. Ma sono su una sedia e sbatto nervosamente questi diti da cui fuoriesce ciò che non voglio. Un po’ come quegli insetti nel “Il Miglio Verde”, così lo immagino io.
Parto con la serie di eventi che sento di scrivere, non hanno una particolare importanza, il loro ordine è piuttosto casuale e probabilmente sono assolutamente noiosi. Ma questo blog è stato chiaro fin dal primo post, parla di me di come sono fatto di cosa mi succede. E’ una speciale interpretazione di ciò che ho appena letto su facebook da una persona: “When anger rises, think of the consequences”
Stasera sono andato al cinema, è successo un episodio carino. Basta poco per sorridere, non è vero?
Al cinema mentre scorrevano le immagini per la prima volta ho realizzato di essere sereno.
A casa quando sono tornato dal cinema mi sono però accorto che tengo ancora con lo sputo.
Come una foglia d’autunno. Bella bellissima ma un colpo di vento la butta giù. E ci vuole poco a passare dall’altezza di un albero secolare all’umiliazione di una suola di scarpa.
Vorrei essere in Sergio proprio in questo momento, ma so che è sbagliato desiderare di essere qualcos’altro. Devo vedere il lato comico della lunga distanza, vedere quello che si ha vicino i piedi è facile ci riescono tutti.
Ripasso le tappe della mia vita: andare in Canada, tornare migliore e con conoscenze amplificate. Scriversi ad una specialistica e ritornare all’estero per continuare il percorso di ampliamento delle mie possibilità. Poi iniziare con l’umiltà, proseguire con l’umiltà e infine trovare un lavoro che mi riempe di soldi. Con la stessa umiltà. Soddisfare i miei sogni da bambino, poi quelli di adolescente e infine quelli da adulto. Diventare qualcuno, far ricredere gente come l’ispettore Sammito, far mangiare le carne sotto le unghie a chi mi ha fatto del male.
Nel frattempo continuerò a cercare di pescare la carta giusta nel grande mazzo degli imprevisti. O delle probabilità che siano. Sperando che la salute rimanga a farmi compagnia.
Per queste cose… – 3
Inizio questo post con un ringraziamento a Bluescuro, quello non troppo alto e con non troppi capelli.
I ringraziamenti poi si dirigono lesti lesti a coloro che hanno partecipato alla giornata di ieri, la più bella giornata da mesi. Due o tre giorni così all’anno potrebbero bastarmi per ritenermi felice di tutta la mia vita. Ovvio, sono felice lo stesso: la febbre m’è passata.
Posso quindi ringraziare tutti i partecipanti a questa bella giornata e a questa foto…e vabbè che non si vedono, ma dietro ve lo posso assicurare si dovrebbe trovare la gente che m’ha accompagnata in questi tre anni di vita universitaria. Poi c’è Simone che si vede, ma il discorso non cambia. Anche per Duli sotto l’ascella il discorso è analogo. Fra di noi c’è molto affetto, con qualcuno di noi molto di più. Vediamo un paio di esempi:
Siamo andati in giornata nel vicino parco del Ticino. Zona Motta Visconti, città di poche anime ma alcune davvero molto gentili e disponibili. Alle 9 del mattino eravamo già in sella ad una bici, mezzo che avrebbe lasciato segni indelebili nei cuori di qualcuno e altri meno piacevoli nel culo di altri. Alcuni hanno provato entrambe le sensazioni, ed è a questo che il prof. Vecchioni si riferiva quando scrisse “Il tuo culo e il tuo cuore“. Sinceramente neanche io pensavo che il percorso potesse essere tanto lungo e pieno di atmosfere mozzafiato. Quando avevo pensato questa giornata l’avevo costruita considerando il nostro limite superiore: due ragazze al seguito. Ma avrò sbagliato qualcosa: le salite c’erano e il fango non mancava. Eccetto qualche pianto liberatorio e una topless mud-fight (sto scherzando…) le femminucce si sono rivelate abbastanza maschi. Questo il percorso che, eccetto alcune deviazioni, (1. Quando ci siamo ritrovati in mezzo a un campo e nient’altro; 2. quando ci siamo trovati in una distesa di sassi e nient’altro; 3. quando abbiamo lasciato il sentiero per imboccare una provinciale piuttosto trafficata; 4. Nient’altro.) abbiamo percorso:
Non è segnalata la strada che abbiamo dovuto percorrere per raggiungere il sentiero, ma all’incirca saranno stati una ventina di chilometri scarsi.
La bici è un attrezzo fantastico. Il mio utilizzo principale di queste due-ruote è stato come valvola. Di quelle da sfogo. Ho percorso molta “strada” col sellino sotto il culo e spesso con l’incazzatura nel sangue.
Ma ieri era diverso: doveva essere una giornata fantastica, solo divertimento e zero pensieri, una giornata per dimenticare gli esami (…ma abbiamo brindato col Nero d’Avola al nuovo semestre). Ed è stato così, porca puttana ladra, è stato tutto così.
Io poi c’ho aggiunto la mia dose. Anche se Duli ci scherza su, è proprio così: c’ho un modo un poco diverso di intendere il divertimento. L’imprevidibilità, le soluzioni istintive, le salite estreme e i jeans bagnati per aver guadato il fiume con la bici. E il rischio di farci un bagno non proprio gradito. C’ho bisogno di cose un po’ fuori dall’ordinario per far rilasciare quella chimica necessaria che mi faccia sentire il divertimento. Al solito vediamo qualche esempio:
Sono nato in campagna, figlio di contadini, figli di contadini. Non sono un tipo molto “raffinato”. Conosco la buona educazione, non faccio rutti in pubblico se non con gli amici, odio essere diplomatico e quando voglio dico le cose in chiaro, così come sono. Ma è in campagna che riconosco di essere il vero me, quello senza filtri. Soffiarsi il naso “alla contadina”, arrampicarsi sui muri, correre qua e là, usare gli alberi come scale, mangiare con le mani, non curarsi della cenere che svolazza sulla carne. Accontentarsi e adattarsi. Forse niente di tutto questo è frutto dei luoghi della mia nascita e forse queste caratteristiche si adattano più a un porcidduzzu che a un cristiano. Ma semplicemente questo è il mio modo di intendere il divertimento: divertimento, non pagliacceria.
La giornata dopo le fatiche del viaggio è proseguita con la classica grigliata. Dopo qualche problema col fuoco dovuto ai legni umidi e alla non praticità del luogo del focolare, siamo riusciti a pranzare (alle 3 p.m.) pezzi di carne cotta più o meno a puntino.
Spiedini: specialità dell'”Uomo nero” |
La fame avanza… |
…e le donne! |
Gli uomini… |
Che spettacolo, che spettacolo. Che giornata. Oggi è un giorno importante, è un 27. Il ventisette c’è da sapere che per la mia esistenza è un giorno potente. Un mucchio di cose sono accadute di 27. Alcune sono belle, altre stupende e purtroppo ce n’è qualcuna che non sono cose piacevoli. E poi ci sono quelle cose che non sai se sono un bene o un male, se portano più problemi o più sollievi. Tutte cose che son successe di 27. Quelle cose su cui sospendi ogni giudizio. Aspetti cosa accadrà, cosa sarebbe cambiato, provi ad andare avanti e intanto organizzi il tuo tempo. E talvolta escono fuori delle giornate meravigliose come quella di ieri.
Che però è caduta di 26, uffa! (Però questo post è stato scritto di 27. Ed è il post con più foto in assoluto)
Ed è così che sono in cerca di una casa
Sono un emigrante. Adesso è ufficiale, c’è scritto in questo coso che conta cinquanta pagine e costa quasi cento dollaroni. Ma come per l’età che non ha bisogno di una carta per certificarla così questa mia condizione non necessita di un passa(aereo?)porto per essere autentica, di questo colore orrendo poi.
Me ne sono accorto quando sono tornato a casa, da Milano. Casa. Che concetto strano. Casa è il posto in cui hai vissuto per più tempo o è casa dove ti trovi meglio? E’ il posto dove vivono i tuoi genitori o è quel posto in cui sei più comodo a dormire e a fare la cacca? Perché casa mia non so più qual è, questi criteri se applicati forzatamente sono inadeguati per decidermi.
Sono felice ogni volta che torno, ovvio, anche il vecchio di Como che ho incontrato sul bus terminal-aereo era euforico alla sola idea di vivere in Sicilia anche solo per qualche giorno: e io qua, in questo paradiso italiano, ci sono cresciuto e vissuto per quasi vent’anni. Ma casa è un posto bello? O è forse un posto spazioso e luminoso?
Perché dopo l’inevitabile felicità iniziale, sono iniziate a mancarmi alcune comodità che soltanto la mia due.quattro.quattro, la casa di Milano, mi fornisce. Qua a casa mia è tutto diverso, ma come può essere una cosa diversa se sei già a casa tua? Diverso da cosa? Qual’è la mia casa, ditemelo voi, io non lo so. La mia mamma e mio fratello non sono una casa, altrimenti sarebbero loro la mia casa. E a quel punto sarebbe molto facile traslocare, perché basterebbe fare un biglietto per tre persone. Ma la casa è un posto, fatto di cemento o anche di legno. E’ un posto che non si sposta, è quel posto che fai sempre fatica ad accettarlo ma che poi farà un’impronta nei tuoi ricordi e ogni volta che la lascerai, anche se per qualche giorno, lei te lo rinfaccerà lei lo ricorderà e tu piangerai la sua lontananza. Ma quando torni casa è lì aperta per te, come se non te ne fossi mai andato. Casa potrebbe essere una fidanzata fedele, un po’ gelosa e capricciosa, ma fedele.
E io, io non posso essere poliga(casa)mo. Di casa se ne ha una per volta, con i relativi tempi di guardia.
Oggi ho chiamato lo zio Joe, hello joe, i’m gio..ele. joe? Joe, lo zio dell’America.
Manca poco e cambierò di nuovo casa. E quella Milano di merda, quella Milano che qualche volta piove e c’è tanto freddo, quella Milano un poco mi mancherà. Diecimila chilometri un mare e un oceano sono così tanti che anche la “vicina” Milano mi mancherà. E il mio pensionato, un po’ perfino la mia casa degli ultimi tre anni mi mancherà. Che strano, è tre anni che dico che tutti questi posti fanno schifo.
Conosco una vecchia amica che è felice di non avere casa, di viaggiare il mondo come fosse una trottola. Così io penso di lei. Come si può scegliere di non sognare una casa? E’ bello il viaggiare l’esplorare il mondo e il conoscere nuovi mondi di idee, ma io ho bisogno di pensare che in qualche parte del mio futuro ci sarà una casa ben ancorata al suolo e sempre quella sarà la mia casa. Non riesco a sognare di fare del viaggio la mia casa, io quando viaggio sono esterefattamente strano. Vedere luoghi che potresti non rivedere mai più mi rendono malinconico, che è soltanto una tristezza un po’ divertente. Chissà quando dovrò tornare in Italia se sarò triste di lasciare la mia nuova casa, chissà dove sarà la mia casa ben ancorata.
Forse sono nato per partire via. Non so se è perché sono del meridione, perché sono italiano o perché sono semplicemente Gioele. Ma quand’ero nell’era pre-polimi io se ero triste andavo via da casa, e adesso nell’era odierna è un continuo partire, un continuo sognar progetti di partenze. E in tutto questo, dicevo, mi sono scordato dov’è la mia vera casa, che senza ancore è pericoloso partire per l’oceano.
Ed è così che sono in cerca di una casa.
…verso il paese immaginario!
Ok avevo detto che sarei tornato nel silenzio. Ma in questi giorni sono un terribile ottimista, rido e salto spesso, e canto anche fuori dalla doccia. E’ come quando c’è tutto calmo e poi si scatena il temporale. Il naufragio adesso sarà quando esce il voto di reti: rifiutare un votaccio o accettarlo? La media è importante o è più importante mettersi al sicuro per laurearsi probabilmente a luglio stesso? E’ giusto accettare tutti voti per la fretta di andare in Canada o è meglio rischiare un po’ (per la gioia di Paolinò)?
Comunque a questo ci penseremo quando usciranno i voti.
Oggi ho scoperto come finisce una canzone che ascoltavo sempre quando avevo 13 anni. Grazie Cla, la ragazza del mio compagno di stanza. E’ la terza traccia di Afferrare una stella, un album di Edoardo Bennato che mi regalò un’amica di mamma. E’ come se avessi visto quel film centinaia di volte e soltanto oggi dopo quasi dieci anni che so come finisce. E non pensavo finisse così, è veramente un bel finale.
Per il resto c’è un altro aggiornamento. La maglietta porta fortuna s’è scaricata, la camomilla che mi aveva suggerito di prendere mamma mi ha fatto venire una botta di diarrea (francesismo, per restare in tema) nel giorno dell’esame. La nuova frontiera della sortevieniamme è la barba. Il mio primo 30 l’ho preso con una barba di tre settimane. La barba lunga ha un duplice possibile effetto. Uno. Antistress, passo il tempo a farmi i grattini. Due, è un ottimo rimedio per non mangiarmi le unghie, che in questo periodo d’esame son finite nuovamente in bocca. Terzo (si lo so era duplice l’effetto), il prof vedendomi in questo stato potrebbe pensare che ho studiato così tanto che non ho avuto il tempo per curarmi, neanche il tempo per passarmi il rasoio. Ora che ci penso potrei smettermi di fare la doccia, una settimana senza doccia…
Quando si dice essere un genio!
Le lacrime di un uomo
Oggi è un giorno assolutamente da festeggiare. Il miglior giorno di questo 2011, il miglior giorno da molto tempo a dire il vero. Le lacrime di questo giorno sono della stessa natura di quelle del lontano 26 agosto, su un letto con delle rose affilate lo ricordo come fosse ora. Tante cose sono differenti da quel giorno ma le mie lacrime sono rimaste identiche. Stavolta come allora non c’è stato uomo in me. Due sani lacrimoni e pure le tirate di naso comprese nel prezzo. E le risate. Dopo la presenza improvvisa di un letto quando hai sonno, di un cesso quando hai bisogno e di una bottiglia d’acqua quando hai sete, nella top list delle cose più belle del momento le lacrime condite con risa si conquistano la loro porca(!) posizione.
Ma io sono un uomo, tutto questo non è mai successo. Un uomo non piange e se piange è solo un sogno (o era solo per amore?). Macché sogno!
…e siamo in duecento!
E’ da un pò che non scrivo. C’ho avuto il blocco dello scrittore, anche se non sono uno scrittore. Ma c’ho avuto il blocco lo stesso. Questo è il duecentesimo post che sta scritto qua. Se, duecento. Ricordo ancora quando iniziai col primo: venivo dalla geniale invenzione della metafora dell’equilibrista, e bisognava fare sul serio. Così iniziai a parlare di cose a caso, poi di caso a cose e poi ho iniziato a raccontarmi. E così è stato che questo blog ha attraversato tutte le fasi dell’amore, tutti gli alti e i bassi della mia breve carriera di aspirante ingegnere e tutti i flussi di coscienza che soltanto chi vive può raccontare senza inventare.
“Ci sono un sacco di cose che giacciono sulla spiaggia e che non vediamo finchè qualcuno non ne raccoglia una. Allora, quella, la vediamo tutti”
E’ una frase di una donna, una delle uniche (favoloso errore, una delle uniche) donne matematiche riconosciute: Julia Robinson.
Non so perchè ma questa frase è magica, come il mistero dietro i numeri primi. Ogni discorso potrebbe iniziare con questa frase, e proseguire in modi variegati. Io non ho ancora deciso quale discorso della mia vita far iniziare con questa frase, ma ho in mente qualcosa. Come la foto che appare in alto.
Si sono io, anche se il mio culo sembra più grosso. Sergio dice che me l’ha pompato con qualche sua diavoleria. Ma oltre a questi discorsi anatomici mi piace l’idea di essere su dei binari. Con un piede, con l’altro faccio quel che voglio. Scarpe di ginnastica, jeans e capelli sparpagliati. Come vorrei essere per tutta la mia vita. Culo rivolto al passato e un infinità di futuro davanti a me. Chissà cosa c’è alla fine di quei binari, se incontrerò tram guastati o se ci saranno altri controllori a farmi le multe per eccesso di furbizia. Il passato è così vicino (il pezzettino di rotaia dietro il mio culo), non scordo quello che ho fatto: sono un flip-flop insomma. E c’ho molto pane e cipolla da mangiare, per diventare grande grandissimo. E chiaramente sono ben disposto a smentire i teoremi dell’ordinario. Un flip-flop ribelle che mangia la cipolla (questo è un flip-flop).
Vi hanno mai detto che due rette parallele non si incontreranno mai? Che due persone apparentemente inconciliabili non si uniranno mai? Perchè allora quei binari lì, alla fine della loro strada, si sfiorano, non vedete anche voi come danzano felici? E duecento post in questo piccolo blog non potranno mai bastare per spiegare la vita di quei due binari, del perché poi hanno deciso di unirsi a ballare all’infinito è meglio non provare neanche a parlarne. Ci sono momenti in cui si deve finire di raccontare, momenti in cui bisogna solo ascoltare.
231.584.178.474.632.390.847.141.970.017.375.815.706.539.969.331.281.128.078.915.826.259.279.871 è il più grande numero primo che si conosca. Non ha saputo dire su due piedi a chi importasse.
…come questi duecento interventi. Al prossimo racconto allora, per chi importa :)
P.S In realtà era divisibile per 47, ma è così importante dirlo dopo per chissà quanto tempo avranno calcolato quel numerone?
L’ultimo giorno di lavoro
Ieri ultimo giorno di lavoro. Ed è stato più sconvolgente del primo, più “raccontabile” di tutto gli altri giorni di lavoro di queste due settimane. Sembrerebbe tutto normale, inizio alle 22-stiramento della colonna vertebrale su un letto per le 6:30 (dopo aver fatto colazione con latte e biscotti chiaramente).
Le cose importanti sono tutte successe in quelle 8 ore di estenuante lavoro.
A inizio serata finito il mio lavoro in sala mi sono prodigato ad aiutare la povera Michela, cambusiera. Mentre stavo togliendo il bianco dagli spicchi di mandarino Antonella, l’accompagnatrice ai tavoli (e non solo…), raccontava come s’era fatta regalare per il suo anniversario di fidanzamento un paio di scarpe. Seguiva una digressione con l’altra cameriera sui metodi per far capire al compagno come e cosa farsi regalare. Io al solito mio ascoltavo, non annuivo nè sorridevo: sbucciavo i miei mandarini per i fatti miei. Ma quando il cane non abbaia è il padrone a infastidirlo, così Antonella mi rivolge la parola:
Lei: “Zittu zittu Gioele è un fimminaru…vero? Mio nonno lo dice sempre: t’ha scantari ri chiddi cà nun parranu”
Io: “Uhm…eh..si, coff coff (sono raffreddato da giorni)”
Lei: “Ce l’hai la zita Gioele?”
Io: “Si” [No, ho detto si? Perchè cazzo ho detto si? Ma che…cosa? spero non domandi altro..]
Lei: “E’ modicana?”
Io: “Nono, non è siciliana” [Ma cazzo continuo. Muto muto! Pipa Pipa, ma che minchia m’è preso…c’ho la bocca che ha problemi di connessione? Mah…speriamo si fermi qua!]
Lei: “Hai visto Gioele zittu zittu…”
Fortunatamente i mandarini si esaurirono e io scappai da quell’interrogatorio che stava mettendo in crisi cervello cuore e bocca in un sol colpo.
La capo del mio capo ci convoca tutti in sala, il locale sta aprendo. Vuole cambiare le coppie di lavoro per variare un pò e poi non vorrei che l’ultimo giorno Gioele…
Cosa Cosa? cosa potrebbe capitarmi l’ultimo giorno? Non lo sapremo mai perchè non terminerà la frase.
Le ore scorrono veloci, all’una la pista è ancora deserta mentre i tavoli iniziano a riempirsi. Al privè si accomodano i soliti figli di papà, quelli che per l’epifania in dieci hanno speso circa 700€ a vodka e champagne. All’una e mezza già non si può più passare, la gente si è scatenata al ritmo di musica. Musica che a me fa giusto muovere il ginocchio a ritmo, magari con qualche consumazione muoverei anche l’altro.
Dalle 2 alle 3 è l’orario critico. La gente ha solitamente già preso la prima bottiglia e adesso ne vuole ancora. A me e al mio primo capo spettano 5 tavoli. Non sono molti, ma bisogna considerare che per raggiungerli bisogna attraversare per intero la pista da ballo e che oltre al servizio ai tavoli ho la responsabilità di raccogliere i bicchieri che la gente sparge per il locale.
Ecco puntualmente in queste ore il mio capo cameriere (che tengo a dirlo ha il mio stesso ruolo) inizia a fare il pagliaccio, scrocca un bicchiere di ogni bottiglia che stappa e inizia a scherzare con le signorine. Ieri a un certo punto l’ho visto in ordine in consolle che ballava-in cucina con il rossetto di qualcuna stampato ovunque sulle sue labbra (sembrava il suo…)-seduto su un divano dicendo di non farcela più. In più ho trovato un altro ragazzo addetto alla pulizia del locale (i bicchieri sono molto fragili, figuriamoci in mano agli ubriachi che pretendono di ballare) che si era nascosto dietro un divano, seduto fumandosi una sigaretta. E io ignaro di tutto questo chiamavo la capo del mio capo (che si strusciava con le femmine) chiedendole di mandarmi aiuto, che c’era da sparecchiare il 4 il 5 e il 6 e che il 7 lamentava una bottiglia di vodka mai arrivata. E il mio capo toccava le tette a qualche troia. Quando poi un mio ex compagno delle elementari con cui ho sempre litigato per la contesa di una ragazza (e poi è un figlio di papà, che non studia e non lavora=merda) mi ha fatto inzuppare tutto il cravattino in un bicchiere di champagne non c’ho più visto. Ho richiamato la capo del mio capo e le ho detto che a fine serata dovevo parlarle. Mezz’ora dopo la situazione era invariata, io sembravo la pallina in un incontro Nadal-Federer e il mio capo per rimanere nelle similitudine era l’attore protagonista di “Tutti gli uomini preferiscono Selen”.
A un certo punto sarà il maledetto raffreddore che mi fa tossire come un vecchio da tre giorni, sarà che non si respira con tutto quel caldo e sarà quel fumo che usano nei concerti che rendeva l’aria irrespirabile…sarà come sarà ma sono dovuto uscire fuori per non tramortire al suolo con una crisi respiratoria. Mentre ero intento a tossire tutta l’aria che avevo nei polmoni la capa mi vede, mi dice che adesso è lei che mi deve parlare e mi toglie il vassoio dalle mani. Licenziato per qualche colpo di tosse?
Ci sediamo in un divanetto e allora senza che lei apra bocca le dico ciò che ho meditato in tutta quella sera. Zittu zittu fino a un certo punto, buono si babbu no. Le dico che non mi sono fermato un attimo, che “c’è gente che fuma, gente che s’imbosca e gente che balla”. Le dico che io sto facendo la mia ultima giornata di lavoro in quel posto, ma che questo non cambia il motivo della mia collera. Non si prendono dei soldi per ballare, o per stare seduti. I soldi li metto in tasca se sudo, se quando torno a casa ho le gambe doloranti e la coscienza pulita avendo dato il massimo.
Lei mi risponderà che vede tutto, sa chi non lavora e chi lavora. Mi ha visto che “ho spinto tutta la serata”, che non mi sono fermato e che “forse faccio troppo”. Che purtroppo alcuni ragazzi le sono stati imposti dai suoi superiori, e che conosce i limiti del suo personale. Parliamo per un venti minuti buoni, lei mi dice come la pensa riguardo il modo di lavorare. Le racconto delle mie esperienze lavorative precedenti, quando prendevo a quattordici anni 25€ per lavorare 11ore consecutive (senza pause neanche per la tosse: epica quella volta nel 2006 che lavorai con la colite), quando il mio datore di lavoro si nascondeva dietro la porta per trovare il pretesto per sbraitarci. Le dico che io voglio dar il massimo di me, voglio lasciare la migliore impressione possibile e che non riesco a stare seduto se c’è del lavoro da fare. E se sono pagato bene, e se ne ho necessità non mi fermerò finchè il lavoro non si sarà esaurito.
Finita la chiaccherata mi sento più sollevato: mi ha detto che sa quanto lavoro, l’ha visto, m’ha visto spingere ininterrottamente dall’una fino alle quattro. Mi stanno riconoscendo i miei meriti, e non c’è combinazione di oki e RedBull che possa farmi sentire meglio. Anche se per la tosse mi sono dovuto ingoiare una quantità schifosa di caramelle alla menta.
A fine serata, le 6 del mattino, dopo aver preso la mia paga e aver messo la firma faccio il giro di saluti. In realtà solo il proprietario e la capa del mio capo sa che sarà l’ultimo giorno di lavoro lì. La mia capa mi abbraccia sinceramente, non me l’aspettavo, mi dice che le ha fatto piacere lavorare con me, che andrò lontano e che queste situazioni lei le ha vissute prima di me e sa cosa si prova.
Ma è il proprietario, nonchè capo della mia capo del mio capo, che mi lascia di stucco. E’ un maschio quindi mi stringe la mano, senza abbracci. E mi dice hai fatto davvero un ottimo lavoro. Hai lavorato in una maniera ottima, quando tornerai passaci a trovare, ci sarà sempre lavoro per uno come te. Veramente complimenti, hai fatto un lavoro eccellente.
A volte ritornano – Amarcord
Direttamente dal diario di mia madre sulla mia infanzia:
14 Agosto 1996:
“…ti sei ricordato che papà ti aveva promesso che potevi farti il giro in bici nella strada di Busita. io t’ho fatto scendere e subito dopo una vigorosa pedalata…al solito sei sempre “furioso”..è iniziata una discesa, non sei riuscito a controllare la bici e dopo poco sei caduto a capofitto, ho sterzato subito a sinistra e t’ho preso per portarti in ospedale, dove ti hanno dato due punti al sopracciglio sinistro e ho visto che ti sei ridotto la faccia malissimo..”
[…]
“Dopo 48 ore ti abbiamo fatto la T.A.C e abbiamo visto che tutto andava bene.
Tu dopo hai fatto il primo giro in bici“
Oggi: sono a casa, beh sono da solo. mamma è al lavoro e mio fratello è ancora uno studente “di quelli forzati”. Ho la musica forte, che la sente tutto il palazzo e oltre. fra meno di una settimana ritorno a milano, dovrò fare la strada inversa e non sono tanto sicuro che adesso i cata-siciliani siano disposti a spingersi per oltrepassare quel gate. del resto anch’io tenterò di prolungare il più possibile la mia permanenza al di qua, io su quel coso pilotato da Caronte nun ci voglio proprio andare.
Beh dai iniziamo, vi devo raccontare di come sono arrivato ad oggi, ad essere quello che sono: sicuro ho sbattuto molte volte la testa.
Beh si, dopo esser nato, aver tentato di sfondare ogni cosa che si intromettesse tra me e i cassetti della cucina pieni di oggetti tanto inutili quanto buoni d’assaggiare..ecco sono cresciuto. Beh cresciuto è una parola un pochino grossa, diciamo che mi son nati i dentini e tante nuovi pensieri per conquistare il mondo: ecco ora se trascuriamo i denti del giudizio (che chissà per quale misterioso motivo tardano a nascere), solo i dentini si sono “realizzati”.
Il primo incidente che ricordo è stato il più stupido, ma che m’ha procurato un 2/3 punti di sutura dietro nella nuca: sotto il tavolo di calcestruzzo m’era caduta na biglia, mi chino la prendo m’alzo sbatto piango. e così adesso, ogni volta che voglio tagliarmi i capelli corti devo raccomandare al barbiere di nascondere quella cicatrice, beh si sulle cicatrici non ricrescono più i capelli.
Altro incidente insanguinato: m’avevano regalato il super liquidatore nuovo, beh non datemi mai una cosa che spruzza acqua nelle mani ( niente riferimenti eh ), dopo mio fratello e mio padre toccava a mia madre: ma ho calcolato male le distanze e sono finito dritto dritto nel cancello ferrato: e così c’ho na cicatrice pure sulla tempia e anche lì devo stare attento dal barbiere: 3 punti di sutura e siamo a 6. promemoria: buttare acqua addosso alla gente può arrecare seri danni alla salute. buon risultato ma è ancora poco. possiamo migliorare.
Casa di mia nonna, ero più piccolino. meno di 6 anni. na volta sbatto sulla spalliera di una sedia, 2 punti al naso. quella volta non lo ricordo.
Sempre da mia nonna, questo è uno dei più significativi…
preparo con cura la scenografia, un cuscino a terra e uno fra le mani: mi metto sul divano, m’alzo prendo la mira e mi butto di testa. dovevo prendere il cuscino…e se non l’avessi preso avevo quello nelle mani..beh..adesso so che sotto il mento non mi cresce più la barba. e che l’attrazione gravitazionale è più giusta di quanto pensassi. e altri 2 punti s’aggiungono alla mia collezione. 8 punti. sto migliorando sempre più.
Ancora più piccolo, avrò avuto 4 anni. Veglia di pasqua: io dico..ma perchè cavolo torturare i bambini e portarli in una chiesa dove tutti hanno sonno, anche il prete ne ha, se poi puoi andare in momenti più tranquilli dal prete e chiedere “scusascusascusa ho dimenticato di santificare le feste, e chiedo perdono anche per gli altri peccati già che sono qua. grazie.cià” ? bah, io dovevo andarci e dovevo pure impegnarmi: dovevo pur far capire a mia madre che non volevo stare lì. Vi siete mai chiesti perchè i bambini quando li portati in chiesa piangono a dirotto ? beh cazzo non è che le presentazioni d’apertura fra bebè-sacerdote siano delle migliori.. “senti bello mio, tu ora entri a far parte della nostra cricca, ma prima ti devo buttare un pò d’acqua qua e qua e qua. “
partiamo dal presupposto che nessuno m’ha chiesto se volevo essere lì e se volevo entrare a far parte di partiti,associazioni e fan club.. poi ok..mi devi buttare anche l’acqua sulla testa..almeno abbi il buon senso di accendere lo scaldabagno no ? e poi che cazzo mi fai i flash in faccia che sto dormendo…e mamma e papà che cazzo c’hanno da essere felici ? bah…
si ecco, così è capitato che quando s’è finita quella messa siamo tornati a casa e io ero felice, d’esser tornato a casa. pensavo pure fosse mattina data la lunga e santa runfata. Così mi sono messo a saltare sul lettone (saltare sul lettone è una delle gioie della vita che mai dovrebbero esser private ai bambini), e saltachetisaltasaltapiùinalto son caduto. ma non per terra, banale. con la fronte sulla sponda del letto. cazzo che male..stavolta nessun punto di sutura, solo qualche cerotto traente. adesso in piena fronte ho un taglio neanche tanto orizzontale che mi ricorda che anche le cose più belle possono far male a volte. ( beh in realtà mi ricorda anche che devo migliorare la mia tecnica di salto sul lettone ).
Beh arriviamo all’ultima, che poi sarebbe la prima per coefficiente di avvicinamento alla morte. mia madre credo che lo ricordi tutt’ora quell’attimo. si mi riferisco all’incidente descritto nel mio/suo diario…io ricordo che dopo il patatrack lei scese dall’auto e mi alzò da terra e mi urlò: “riesci a star in piedi dieci secondi..prendo le scarpe ( ch’erano disperse sull’asfalto ) e metto di lato la bici (ch’era spalmata sull’asfalto) ok??”
io annuì, lei mi lasciò e io precipitai al suolo. lei mi riprese, corsa all’ospedale e due punti di sutura al sopracciglio: ora ho un sopracciglio leggermente storto e il ricordo che il freno davanti NON si deve usare neanche nelle emergenze. e non si deve correre troppo coi pedali se sotto il culo non c’hai almeno una cosa che abbia 26” di diametro.
In realtà ho capito che talvolta è meglio non frenarsi, che se magari non frenavo non cadevo. che prima di gettarsi a capofitto in un sogno, beh è meglio calcolare bene le distanze (non per niente mi sono iscritto ad ingegneria -LL). che anche troppa felicità fa male, così come troppa cocacola o troppa cioccolata..o saltare troppo in alto sul lettone!
…che non conta quanto sangue ti manca in circolo, quanto forte sia stata la botta, se c’avevi ragione o torto, se è colpa del tavolino troppo basso o del cuscino troppo piccolo..
48 ore sono un tempo sufficiente per rifarti un giro in bici: che t’abbia tradito o meno poco importa.