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Vaneggiamenti di un giovedì notte diventato un venerdì

Oggi è un giorno di scoramento. E porca troia, sbaglierò i congiuntivi uno si e l’altro pure ma so che cosa vuol dire scoramento. E ne faccio un uso inteliggente ( o intelligente che dir si voglia). L’ondata d’entusiasmo insensata come ogni cosa è terminata e adesso è sopraggiunta la normale paura di fronte alla montagna troppo alta ( o isola troppo vasta, per chi sa). Siccome la mia vita è simile al moto di una palla pazza e io non metto di certo un freno a questo sballottamento, sempre oggi è capitato pure che andassi a rileggere un post felice. Felice quando lo scrivevo ma adesso che l’ho letto di felice conservavo soltanto il ricordo. Vabbò, siccome ero scoraggiato questo pomeriggio mi sono visto un film horror al posto del tradizionale studiacchiare. E poi ho finalmente scritto la lettera d’accompagnamento. Adesso fa ancora abbastanza schifo, c’è un pericoloso crogiolo (e adesso ho proprio fatto l’amplein) di linguaggi e modi di dire. Ma domani o al più sabato, giuro, diventerà interamente in inglese aulico. E poi il mio amico pakistano Hassan gli darà un occhio.
Ci mancava solo che mi ascoltassi Cinque Giorni di Zarrillo (a proposito, io e Sergio siamo gli unici che invece di interpretare la canzone nel modo convenzionale – cantando – abbiamo contato quante lacrime al giorno perdeva il tipo…).
Invece volevo pure scrivere questa cosa. Quando facevo Fisica1 ricordo che ebbi una diatriba col docente sulla impossibilità di effettuare una misura precisa. Effettivamente la cosa è vera. Se miglioriamo continuamente la granularità delle misurazioni offertaci dal nostro strumento di misura otterremo una misura sempre più precisa (ovvio). Teoricamente il discorso potrebbe continuare all’infinito ma appare a tutti evidente che un tavolo debba avere una dimensione finita. Forse incalcolabile, ma pur sempre finita. Il prof. calvo rispose che se ci spingessimo sufficientemente oltre potremmo osservare la vibrazione dell’ultima molecola dell’estremo del tavolo. E continuando a penetrare nella materia diventerebbe impossibile misurarne la pur continuamente variabile posizione dell’atomo senza alternarne il moto.
Poi oggi ho iniziato a leggere la voce sulla teoria dei multiversi. Alla sottovoce “Teoria delle stringhe e superstringhe”. E recita così: Il costituente primo della materia sono stringhe di energia che vibrano ad una determinata frequenza o lunghezza d’onda caratteristica, e che si aggregano a formare particelle.

Secondo questa teoria che tra l’altro riscuote grande plauso fra la comunità scientifica la materia è un pezzo d’energia che un pochetto vibra con un movimento sempre uguale, poi s’attacca ad un’altra stringa che vibra anch’essa e così via. E ho pensato.
Tutto questo attaccarsi di stringhe (che io personalmente immagino come lacci di scarpe) genera gli atomi, che costituiranno il tavolo di prima e anche l’essere umano. Poi queste cose vibranti generano l’intero mondo e il mio stesso pensiero. Il mio cervello è tutta fatto di cose energiche che vibrano. E il dolore e l’amore, la paura e l’orgasmo sono tutte composte da quelle cose che scodinzolano come code di folli cani.
Cazzo, io quando sono molto triste non ho mai pensato che fosse per colpa di qualche sostanza distribuita da qualcosa all’interno della mia calotta cranica che è fatta da cose come i lacci delle scarpe che s’ingarbugliano in modi assurdi. Io sono triste e basta, altre volte invece sono molto euforico. E basta. Ma non penso mai alle stringhe.
Poi la gente si stupisce perché ci sono così pochi atei in giro. Credere in dio, vista così, è una sciocchezza. Adesso sì che è naturale crederci, è la spiegazione più breve e razionale: ci ha fatti, poi ha messo i sentimenti dentro di noi e questi poi girano per il corpo e quando colpiscono le zone sensibili si fanno sentire. 
Su questo ci devo ancora pensare bene, per adesso concediamogli una possibilità.
BNG: Oggi i tipi delle dailies (quelli delle lentine) m’hanno regalato un paio di lentine giornaliere e pure un buono di 10€ per un pacco di lentine. Se non è una buona notizia questa…

…però la vita, che gran cosa è!

Le cose procedono. Fronte università ho finalmente iniziato a scrivere codice a pieno ritmo. Sono nella fase ottimistica e per adesso me la godo. C’è ancora qualche lacuna su come proseguirà questo semestre ma anche questo è normale. 
Fronte Canada nel fine settimana (che poi sarebbe o stasera o domani sera) devo abbozzare la lettera di motivazione, quantomeno in italiano. Nell’ultima email mi han fatto sapere cosa vogliono che scriva.

[…] it is most important that you tell us a bit the types of jobs and/or companies you’d like to work in (for example, do you hope to work for a large brand-name store, or a smaller locally owned business).

Vogliono sapere un pochetto che tipi di lavoro vorrei fare e se voglio lavorare per un negozio potente o in una putia). Ovviamente non posso dire che ho scelto il programma studio-lavoro principalmente per poter ammortizzare le spese della stessa scuola. Non so come la prenderebbero. Ma a inventare balle ragionate me la cavo, devo solo racimolare la voglia, da qualche parte si sarà nascosta. Puttana (parolaccia a caso).
Fronte vita va meglio di come io avrei previsto. Peggio di come vorrei, ma perché mi mantengo sempre un sottile margine per continuare a Desiderare.
Ieri sono stato al duomo. Ci stava Pisa.pia che diceva le sue quattro stronzate copiate dalla maggioranza (siamo il vero partito dell’amore, fermiamo il killeraggio mediatico, riprendiamoci la libertà, l’urgenza dell’adesso è in noi questa volta vinceremo noi, quelli la cultura non sanno neanche cos’è). Poi la gente si domanda perché nonostante la politica filo xenofoba e (soprattutto) separatista la gente vota Lega Nord. Perché quando Pisa.pia diceva che adesso c’ha un’urgenza, Bossi mussu stuottu faceva promettere alla Letizia di riparare le strade. Oddio dicono tutti minciati, minciati cù l’uossi aruci, ma quantomeno alcune si capiscono. Vuoi mettere?
Ieri sono stato al duomo. Dopo Pisa.pia ci stava Vecchioni. Io per lui sono andato al duomo. Di Vecchioni il primo ricordo che ho è io che canto “Dove” riprodotta da un lettore cd di quelli portatili mentre scalavo in bici una salita davvero pendente. Un altro ricordo è quando lo ascoltavo in scooter, in un giorno di pioggia. Mentre mi ammazzavo per superare un autobus su cui c’era una ragazza che mi piaceva. Andavo davanti casa sua prima che lei vi entrasse, la guardavo entrare e poi me ne tornavo a casa mia. Erano una ventina di chilometri andata e ritorno, e per sopperire alla minchiata che facevo ogni giorno ascoltavo Euridice.
E adesso insieme a questi ricordi c’è pure quello di ieri sera. Fra l’altro ricorderò di esserci andato con due amici, uno mi pare fosse romano. Chissà adesso cosa staranno facendo, se hanno superato i loro problemi o se si sono laureati come pensavano. 
E anche se adesso questi possono sembrare giorni difficili o pieni di curve in salita un giorno li ricorderò con nostalgia, quant’ero giovane quant’ero sbadato quant’ero diverso.
Durante la serata di ieri di canzone che ne conoscevo ne ha fatte pochine. Oltre a quella che m’ha dedicato (Sogna Ragazzo Sogna) e la sempreverde Samarcanda ha fatto in totale altre cinque sei canzoni. Poi a un certo punto è accaduto il miracolo. Di cui abbiamo una esclusiva testimonianza di un lettore che preferisce restare anonimo. Io.  


Questa canzone mi fa venire i brividi ogni volta, tutti i peli delle braccia si mettono in piedi e sento freddo. Ma era una giornata ventosa, può esser anche quello.

Poi c’è un’altra canzone, che per l’occasione ho cantato con Roberto. Io l’ho sempre cantato da solo, o in stanza o in bici. Ma adesso con la scusa del trambusto l’abbiamo cantata insieme. Chiaramente la scelta della canzone non è casuale, niente lo è.

Passano via così come acquiloni, 
corrono dietro un vento che non c’è: 
vincono a sogni, perdono a emozioni 
le mie ragazze, 
proprio come me; 
una me la ricordo più di tutte: 
che strano, è proprio quella che non c’è; 
manca una luce sola questa notte; 
però la vita, che gran cosa è!

Ora che ho perso la vista ci vedo di più…

♫♪ (E’ abbastanza consigliato ascoltare della buona musica durante la lettura)
In fin dei conti è l’unica cosa che ci rende meno bestie: il parlare. Lo facciamo solo noi umani. Talvolta c’è da vergognarsi a sentire come viene usato questo dono, altre volte dovremmo renderci conto di quanto sia vitale. Sono state le parole che mi hanno condotto in questo stato d’animo che barcolla pericolosamente ma che potrebbe finalmente aver capito. Ha capito che è molto facile rompere il silenzio, che sbraitare lo è ancora di più. Che incrinare uno specchio, frantumare una foglia secca o bagnarsi in un giorno d’inverno sono eventi molto frequenti.
Ma se è vero che non mi spiego come due pezzi di puzzle così diversi si siano potuti intrecciare, sebbene non per sempre, ho capito infine che grazie alla grande virtù che noi abbiamo – la parola – riusciremo a non perderci fra tutti questi altri pezzi di cui il mondo è composto.
Stavo scrivendo un post sul Canada. Oggi non sono uscito in bici per lasciar calare la tensione e perciò non restava che raccontare dei progressi che giorno dopo giorno il Canada mi offre per distrarmi. Ma poi ho cancellato tutto, perché non stavo scrivendo ciò che gironzola per il cervello. Pensavo al sale.
In fondo è tutto una questione di sale. Alcuni ritengano che ce ne sia troppo e altri ne aggiungano perfino quando non si potrebbe più. La misura giusta non si sa bene qual’è, chissà se davvero esiste una misura giusta uguale per tutti. Penso che forse esista un patto segreto fra il sale e la pietanza, un patto che solo loro conoscono fino in fondo e che a noi, poveri affamati, ci sfuggirà di continuo. E non possiamo che assistere a questo gioco delle parti, provando ad alterare le combinazioni e ad evitare che di sale ce ne sia o troppo o troppo poco. Ma se adesso sto scrivendo è per il sale che è caduto di recente, abbiamo aggiunto un altro pizzico di sale alla nostra minestra. E chissà se ce n’è a sufficienza e chissà per quanto tempo ancora, cum summa Elegantia et Integritate, ne aggiungeremo.
E’ un mondo bellissimo del resto. La mia vita è perfetta anch’essa. Anche che accade quando talvolta mi appare troppo salata o piccante, è davvero difficile ignorare quale sia il loro maledetto patto segreto. Finché avrò minestra la mangerò. E per quanto sale possa esserci, anche se il sale mancherà e non percepirò la sua assenza, mangerò sempre la mia minestra. Per rispetto di chi una minestra non l’ha più, per onore di chi la minestra non l’ha proprio mai assaggiata. Le parole sono il modo migliore per esprimere la nostra presenza e quando sarà il giorno che tornerà a rivivere useremo quel che forse troppo spesso c’è mancato: un po’ di sale in zucca e tante parole per contorno. Una ricetta perfetta.
….E arrivati alla novantanovesima notte il soldato si alzò, si prese la sedia e se ne andò via.

E’ già Pasqua alla 244/2 ( o forse /1…)

La pasqua quest’anno anticipa. La pasqua quest’anno arriva con le poste italiane. La pasta anche quest’anno è un evento di immensa gioia, di quelli che sai che sono belli belli bellissimi. E poi però saranno ancora più belli. Non mi sognerei mai di paragonare l’estate di un anno fa a quella di quest’anno. Le cose cambiano, le persone cambiano, tutto cambia. Come il mio orologio, per quanto monotono possa sembrare il suo lavoro, non si trova mai in una situazione precedentemente affrontata. Come bagnarsi nell’acqua di un fiume che scorre, ma questa l’ha già detta qualcun’altro e allora io faccio finta di niente.
E’ arrivato il pacco, quello che avevo richiesto. E tutta la mia pasqua sta lì dentro. C’ho trovato quel che cercavo ma le quantità sono stratosferiche. Insieme alle decine di litri d’acqua adesso ho anche il cibo per restare rinchiuso in casa per mesi.
C’era anche qualcosa che non avevo richiesto ed è stato come quando si conosce una nuova persona. Ci sta fuori tutta quella carta e scotch (particolare importante: ho squarciato tutto con un coltellaccio): bisogna riuscire a guardar dentro se si vuole davvero scoprire quanto potrà essere importante. Una volta eliminate le ovvie barriere di protezione trovi ancora carta da imballaggio. L’attesa è snervante e appena vedi il suo cuore inizi a sorridere. E poi più vai in fondo più scopri cose nuove, che non pensavo potessero esserci. E invece sono lì in attesa che tu li colga. E li mangi. Ho trovato di tutto, pastieri mandorle 2kg di biscotti fini cioccolata cobaita torrone nutella vape integratori piselli verdi ‘mpanatiddghi  noccioline savoiardi pane di casa due profumi diversi deodoranti ciunghe salatini arance cedri limoni chili di grana padano (che per inciso o mia Duli in Sicilia costa meno di 10€/kg). Perfino un giubbotto c’era in mezzo a questa roba.
Non merito che meno della metà della roba che c’è lì dentro. Tutta questa fiducia riposta sul mio capo ritengo sia eccessiva. Mangerò tutto di gusto, offrirò qualcosa agli altri ma io m’ingozzerò finché la mia pancia non mi farà male. Il fatto stesso che quelle cose siano state comprate vicino casa mia rende tutto favoloso, di un profumo maestoso, di un gusto paradisiaco. Sarò felice una pasqua…
E poi ci lamentiamo se ci dicono terroni, casa mia è l’emblema della Terronia. Arance, cedri e cioccolato modicano. E poi strani biscotti con la carne e carne messa dentro a una rosa fatta di pasta dei biscotti. 
E io mi trovo in mezzo a loro, loro che festosi mi diranno sottovoce mangia lè.
Come posso dir di no? 
Un attimo prima…
…e quello dopo.
I famosi pastieri, due stanno già dentro di me…
Oggetti di varia natura. Vediamo di non dare il Sustenium alle zanzare e bersi il vape

…cosa c’è? Ancora nutella?
Che vita sarebbe senza…
Mi ammalerò lo so, mi ammalerò!
Valli a ordinare poi… 
Confronto fra la dimensione della Pasqua e la mia mano
Fortuna che peso 64kg…

Io sto dicendo una cosa mia…

Ok lo so lo so è tardo. E lo so che ho scritto un post solo qualche ora fa. Ma ho bisogno di scrivere. Il letto è qua accanto a me, il sonno sopra di me, ma devo scrivere. Se adesso fossi in mezzo all’acqua starei nuotando disperatamente per arrivare a toccare l’altra parete. Ma sono su una sedia e sbatto nervosamente questi diti da cui fuoriesce ciò che non voglio. Un po’ come quegli insetti nel “Il Miglio Verde”, così lo immagino io.
Parto con la serie di eventi che sento di scrivere, non hanno una particolare importanza, il loro ordine è piuttosto casuale e probabilmente sono assolutamente noiosi. Ma questo blog  è stato chiaro fin dal primo post, parla di me di come sono fatto di cosa mi succede. E’ una speciale interpretazione di ciò che ho appena letto su facebook da una persona: “When anger rises, think of the consequences”
Stasera sono andato al cinema, è successo un episodio carino. Basta poco per sorridere, non è vero?
Al cinema mentre scorrevano le immagini per la prima volta ho realizzato di essere sereno.
A casa quando sono tornato dal cinema mi sono però accorto che tengo ancora con lo sputo.
Come una foglia d’autunno. Bella bellissima ma un colpo di vento la butta giù. E ci vuole poco a passare dall’altezza di un albero secolare all’umiliazione di una suola di scarpa.
Vorrei essere in Sergio proprio in questo momento, ma so che è sbagliato desiderare di essere qualcos’altro. Devo vedere il lato comico della lunga distanza, vedere quello che si ha vicino i piedi è facile ci riescono tutti.
Ripasso le tappe della mia vita: andare in Canada, tornare migliore e con conoscenze amplificate. Scriversi ad una specialistica e ritornare all’estero per continuare il percorso di ampliamento delle mie possibilità. Poi iniziare con l’umiltà, proseguire con l’umiltà e infine trovare un lavoro che mi riempe di soldi. Con la stessa umiltà. Soddisfare i miei sogni da bambino, poi quelli di adolescente e infine quelli da adulto. Diventare qualcuno, far ricredere gente come l’ispettore Sammito, far mangiare le carne sotto le unghie a chi mi ha fatto del male.
Nel frattempo continuerò a cercare di pescare la carta giusta nel grande mazzo degli imprevisti. O delle probabilità che siano. Sperando che la salute rimanga a farmi compagnia.

Per queste cose… – 3

Inizio questo post con un ringraziamento a Bluescuro, quello non troppo alto e con non troppi capelli.
I ringraziamenti poi si dirigono lesti lesti a coloro che hanno partecipato alla giornata di ieri, la più bella giornata da mesi. Due o tre giorni così all’anno potrebbero bastarmi per ritenermi felice di tutta la mia vita. Ovvio, sono felice lo stesso: la febbre m’è passata.

Posso quindi ringraziare tutti i partecipanti a questa bella giornata e a questa foto…e vabbè che non si vedono, ma dietro ve lo posso assicurare si dovrebbe trovare la gente che m’ha accompagnata in questi tre anni di vita universitaria. Poi c’è Simone che si vede, ma il discorso non cambia. Anche per Duli sotto l’ascella il discorso è analogo. Fra di noi c’è molto affetto, con qualcuno di noi molto di più. Vediamo un paio di esempi:

Siamo andati in giornata nel vicino parco del Ticino. Zona Motta Visconti, città di poche anime ma alcune davvero molto gentili e disponibili. Alle 9 del mattino eravamo già in sella ad una bici, mezzo che avrebbe lasciato segni indelebili nei cuori di qualcuno e altri meno piacevoli nel culo di altri. Alcuni hanno provato entrambe le sensazioni, ed è a questo che il prof. Vecchioni si riferiva quando scrisse “Il tuo culo e il tuo cuore“. Sinceramente neanche io pensavo che il percorso potesse essere tanto lungo e pieno di atmosfere mozzafiato. Quando avevo pensato questa giornata l’avevo costruita considerando il nostro limite superiore: due ragazze al seguito. Ma avrò sbagliato qualcosa: le salite c’erano e il fango non mancava. Eccetto qualche pianto liberatorio e una topless mud-fight (sto scherzando…) le femminucce si sono rivelate abbastanza maschi. Questo il percorso che, eccetto alcune deviazioni, (1. Quando ci siamo ritrovati in mezzo a un campo e nient’altro; 2. quando ci siamo trovati in una distesa di sassi e nient’altro; 3. quando abbiamo lasciato il sentiero per imboccare una provinciale piuttosto trafficata; 4. Nient’altro.) abbiamo percorso:

Non è segnalata la strada che abbiamo dovuto percorrere per raggiungere il sentiero, ma all’incirca saranno stati una ventina di chilometri scarsi.
La bici è un attrezzo fantastico. Il mio utilizzo principale di queste due-ruote è stato come valvola. Di quelle da sfogo. Ho percorso molta “strada” col sellino sotto il culo e spesso con l’incazzatura nel sangue.
Ma ieri era diverso: doveva essere una giornata fantastica, solo divertimento e zero pensieri, una giornata per dimenticare gli esami (…ma abbiamo brindato col Nero d’Avola al nuovo semestre). Ed è stato così, porca puttana ladra, è stato tutto così.

Io poi c’ho aggiunto la mia dose. Anche se Duli ci scherza su, è proprio così: c’ho un modo un poco diverso di intendere il divertimento. L’imprevidibilità, le soluzioni istintive, le salite estreme e i jeans bagnati per aver guadato il fiume con la bici. E il rischio di farci un bagno non proprio gradito. C’ho bisogno di cose un po’ fuori dall’ordinario per far rilasciare quella chimica necessaria che mi faccia sentire il divertimento. Al solito vediamo qualche esempio:


Sono nato in campagna, figlio di contadini, figli di contadini. Non sono un tipo molto “raffinato”. Conosco la buona educazione, non faccio rutti in pubblico se non con gli amici, odio essere diplomatico e quando voglio dico le cose in chiaro, così come sono. Ma è in campagna che riconosco di essere il vero me, quello senza filtri. Soffiarsi il naso “alla contadina”, arrampicarsi sui muri, correre qua e là, usare gli alberi come scale, mangiare con le mani, non curarsi della cenere che svolazza sulla carne. Accontentarsi e adattarsi. Forse niente di tutto questo è frutto dei luoghi della mia nascita e forse queste caratteristiche si adattano più a un porcidduzzu che a un cristiano. Ma semplicemente questo è il mio modo di intendere il divertimento: divertimento, non pagliacceria.
La giornata dopo le fatiche del viaggio è proseguita con la classica grigliata. Dopo qualche problema col fuoco dovuto ai legni umidi e alla non praticità del luogo del focolare, siamo riusciti a pranzare (alle 3 p.m.) pezzi di carne cotta più o meno a puntino.

  
Spiedini: specialità dell'”Uomo nero”

La fame avanza…
…e le donne!
Gli uomini…

Che spettacolo, che spettacolo. Che giornata. Oggi è un giorno importante, è un 27. Il ventisette c’è da sapere che per la mia esistenza è un giorno potente. Un mucchio di cose sono accadute di 27. Alcune sono belle, altre stupende e purtroppo ce n’è qualcuna che non sono cose piacevoli. E poi ci sono quelle cose che non sai se sono un bene o un male, se portano più problemi o più sollievi. Tutte cose che son successe di 27. Quelle cose su cui sospendi ogni giudizio. Aspetti cosa accadrà, cosa sarebbe cambiato, provi ad andare avanti e intanto organizzi il tuo tempo. E talvolta escono fuori delle giornate meravigliose come quella di ieri.
Che però è caduta di 26, uffa! (Però questo post è stato scritto di 27. Ed è il post con più foto in assoluto)

Per tutte queste cose, insomma.

Ed è così che sono in cerca di una casa

Sono un emigrante. Adesso è ufficiale, c’è scritto in questo coso che conta cinquanta pagine e costa quasi cento dollaroni. Ma come per l’età che non ha bisogno di una carta per certificarla così questa mia condizione non necessita di un passa(aereo?)porto per essere autentica, di questo colore orrendo poi.
Me ne sono accorto quando sono tornato a casa, da Milano. Casa. Che concetto strano. Casa è il posto in cui hai vissuto per più tempo o è casa dove ti trovi meglio? E’ il posto dove vivono i tuoi genitori o è quel posto in cui sei più comodo a dormire e a fare la cacca? Perché casa mia non so più qual è, questi criteri se applicati forzatamente sono inadeguati per decidermi.
Sono felice ogni volta che torno, ovvio, anche il vecchio di Como che ho incontrato sul bus terminal-aereo era euforico alla sola idea di vivere in Sicilia anche solo per qualche giorno: e io qua, in questo paradiso italiano, ci sono cresciuto e vissuto per quasi vent’anni. Ma casa è un posto bello? O è forse un posto spazioso e luminoso?
Perché dopo l’inevitabile felicità iniziale, sono iniziate a mancarmi alcune comodità che soltanto la mia due.quattro.quattro, la casa di Milano, mi fornisce. Qua a casa mia è tutto diverso, ma come può essere una cosa diversa se sei già a casa tua? Diverso da cosa? Qual’è la mia casa, ditemelo voi, io non lo so. La mia mamma e mio fratello non sono una casa, altrimenti sarebbero loro la mia casa. E a quel punto sarebbe molto facile traslocare, perché basterebbe fare un biglietto per tre persone. Ma la casa è un posto, fatto di cemento o anche di legno. E’ un posto che non si sposta, è quel posto che fai sempre fatica ad accettarlo ma che poi farà un’impronta nei tuoi ricordi e ogni volta che la lascerai, anche se per qualche giorno, lei te lo rinfaccerà lei lo ricorderà e tu piangerai la sua lontananza. Ma quando torni casa è lì aperta per te, come se non te ne fossi mai andato. Casa potrebbe essere una fidanzata fedele, un po’ gelosa e capricciosa, ma fedele.
E io, io non posso essere poliga(casa)mo. Di casa se ne ha una per volta, con i relativi tempi di guardia. 
Oggi ho chiamato lo zio Joe, hello joe, i’m gio..ele. joe? Joe, lo zio dell’America.
Manca poco e cambierò di nuovo casa. E quella Milano di merda, quella Milano che qualche volta piove e c’è tanto freddo, quella Milano un poco mi mancherà. Diecimila chilometri un mare e un oceano sono così tanti che anche la “vicina” Milano mi mancherà. E il mio pensionato, un po’ perfino la mia casa degli ultimi tre anni mi mancherà. Che strano, è tre anni che dico che tutti questi posti fanno schifo.
Conosco una vecchia amica che è felice di non avere casa, di viaggiare il mondo come fosse una trottola. Così io penso di lei. Come si può scegliere di non sognare una casa? E’ bello il viaggiare l’esplorare il mondo e il conoscere nuovi mondi di idee, ma io ho bisogno di pensare che in qualche parte del mio futuro ci sarà una casa ben ancorata al suolo e sempre quella sarà la mia casa. Non riesco a sognare di fare del viaggio la mia casa, io quando viaggio sono esterefattamente strano. Vedere luoghi che potresti non rivedere mai più mi rendono malinconico, che è soltanto una tristezza un po’ divertente. Chissà quando dovrò tornare in Italia se sarò triste di lasciare la mia nuova casa, chissà dove sarà la mia casa ben ancorata.
Forse sono nato per partire via. Non so se è perché sono del meridione, perché sono italiano o perché sono semplicemente Gioele. Ma quand’ero nell’era pre-polimi io se ero triste andavo via da casa, e adesso nell’era odierna è un continuo partire, un continuo sognar progetti di partenze. E in tutto questo, dicevo, mi sono scordato dov’è la mia vera casa, che senza ancore è pericoloso partire per l’oceano.
Ed è così che sono in cerca di una casa.

…verso il paese immaginario!

Ok avevo detto che sarei tornato nel silenzio. Ma in questi giorni sono un terribile ottimista, rido e salto spesso, e canto anche fuori dalla doccia. E’ come quando c’è tutto calmo e poi si scatena il temporale. Il naufragio adesso sarà quando esce il voto di reti: rifiutare un votaccio o accettarlo? La media è importante o è più importante mettersi al sicuro per laurearsi probabilmente a luglio stesso? E’ giusto accettare tutti voti per la fretta di andare in Canada o è meglio rischiare un po’ (per la gioia di Paolinò)?
Comunque a questo ci penseremo quando usciranno i voti.
Oggi ho scoperto come finisce una canzone che ascoltavo sempre quando avevo 13 anni. Grazie Cla, la ragazza del mio compagno di stanza. E’ la terza traccia di Afferrare una stella, un album di Edoardo Bennato che mi regalò un’amica di mamma. E’ come se avessi visto quel film centinaia di volte e soltanto oggi dopo quasi dieci anni che so come finisce. E non pensavo finisse così, è veramente un bel finale.
Per il resto c’è un altro aggiornamento. La maglietta porta fortuna s’è scaricata, la camomilla che mi aveva suggerito di prendere mamma mi ha fatto venire una botta di diarrea (francesismo, per restare in tema) nel giorno dell’esame. La nuova frontiera della sortevieniamme è la barba. Il mio primo 30 l’ho preso con una barba di tre settimane. La barba lunga ha un duplice possibile effetto. Uno. Antistress, passo il tempo a farmi i grattini. Due, è un ottimo rimedio per non mangiarmi le unghie, che in questo periodo d’esame son finite nuovamente in bocca. Terzo (si lo so era duplice l’effetto), il prof vedendomi in questo stato potrebbe pensare che ho studiato così tanto che non ho avuto il tempo per curarmi, neanche il tempo per passarmi il rasoio. Ora che ci penso potrei smettermi di fare la doccia, una settimana senza doccia…
Quando si dice essere un genio!

Le lacrime di un uomo

Oggi è un giorno assolutamente da festeggiare. Il miglior giorno di questo 2011, il miglior giorno da molto tempo a dire il vero. Le lacrime di questo giorno sono della stessa natura di quelle del lontano 26 agosto, su un letto con delle rose affilate lo ricordo come fosse ora. Tante cose sono differenti da quel giorno ma le mie lacrime sono rimaste identiche. Stavolta come allora non c’è stato uomo in me. Due sani lacrimoni e pure le tirate di naso comprese nel prezzo. E le risate. Dopo la presenza improvvisa di un letto quando hai sonno, di un cesso quando hai bisogno e di una bottiglia d’acqua quando hai sete, nella top list delle cose più belle del momento le lacrime condite con risa si conquistano la loro porca(!) posizione.
Ma io sono un uomo, tutto questo non è mai successo. Un uomo non piange e se piange è solo un sogno (o era solo per amore?). Macché sogno!

…e siamo in duecento!

E’ da un pò che non scrivo. C’ho avuto il blocco dello scrittore, anche se non sono uno scrittore. Ma c’ho avuto il blocco lo stesso. Questo è il duecentesimo post che sta scritto qua. Se, duecento. Ricordo ancora quando iniziai col primo: venivo dalla geniale invenzione della metafora dell’equilibrista, e bisognava fare sul serio. Così iniziai a parlare di cose a caso, poi di caso a cose e poi ho iniziato a raccontarmi. E così è stato che questo blog ha attraversato tutte le fasi dell’amore, tutti gli alti e i bassi della mia breve carriera di aspirante ingegnere e tutti i flussi di coscienza che soltanto chi vive può raccontare senza inventare.

Allora ho pensato che questo duecentesimo post doveva essere importante, parlare di argomenti considerevoli con un italiano quanto mai perfetto. Ma poi il tempo è venuto a mancare, gli esami stanno sfondando le porte e io mi sono bloccato. E poi ho detto, se voglio continuare a scrivere devo fare un altro post. Non c’è modo. Centonovantanove sono pubblicati, uno rimarrà per sempre una bozza. Diciamo che questo è il centonovantanovesimo-post-più-uno.
Riassunto: sono ancora un quasi-ingegnere: sto studiando come ordinare le cose (Algoritmi e principi dell’informatica), come fare in modo che tante cose entrino in poco spazio e riuscire a far funzionare il tutto decentemente (Reti logiche). Studio come funziona la rete, non quella per pescare (Reti di Telecomunicazioni e Internet) e l.b.n.l Basi di Dati: il corso che dovrebbe spiegarci come e perchè sono importanti le tabelle. 
Sto iniziando a guarire (no in realtà ho ancora la tosse, ma non mi riferivo a quello). Il mio prof di Teoria dei Sistemi (esame già svolto, non so come, chiedete a duli per queste cose) dice che i ricordi di ogni uomo tendono asintoticamente a zero col passare del tempo.
Questo blog è seguito sempre dalle solite persone, più qualcuna in più. Questo mi fa piacere, quando si è troppi a mangiare poi c’è troppo poco da mangiare. E a me piace mangiare, da matti. Mamma ha finalmente rinunciato all’utopia di farmi superare i 60 chili, e io quasi quasi per dispetto sono tentato di superarli.
Doveva parlare di cose insignificanti (Minciati cù l’uossi aruci è giusto un paradosso: non esistono ossa dolci, le minchiate più minchiate che esistono insomma) ma poi mi sono innamorato. E m’è presa la sindrome di Ivan (appena definita così) e tutto il mondo ha iniziato ad assumere un aspetto meraviglioso. E anche adesso è ancora così, come essere ubriachi anche senza bere. 
Sto leggendo un libro che tratta di numeri primi, quel tipo di numero che può essere diviso solo per sè stesso e naturalmente per uno. C’è molta magia nel campo della matematica dietro questi numeri, e le persone che nel passato hanno studiato tali numeri sono anch’esse magiche, talvolta bizzarre ma sempre uniche. E una frase mi ha così tanto colpito che in realtà è stata lei, la frase, a convincermi che fosse ora di scrivere.
“Ci sono un sacco di cose che giacciono sulla spiaggia e che non vediamo finchè qualcuno non ne raccoglia una. Allora, quella, la vediamo tutti”

E’ una frase di una donna, una delle uniche (favoloso errore, una delle uniche) donne matematiche riconosciute: Julia Robinson.
Non so perchè ma questa frase è magica, come il mistero dietro i numeri primi. Ogni discorso potrebbe iniziare con questa frase, e proseguire in modi variegati. Io non ho ancora deciso quale discorso della mia vita far iniziare con questa frase, ma ho in mente qualcosa. Come la foto che appare in alto.
Si sono io, anche se il mio culo sembra più grosso. Sergio dice che me l’ha pompato con qualche sua diavoleria. Ma oltre a questi discorsi anatomici mi piace l’idea di essere su dei binari. Con un piede, con l’altro faccio quel che voglio. Scarpe di ginnastica, jeans e capelli sparpagliati. Come vorrei essere per tutta la mia vita. Culo rivolto al passato e un infinità di futuro davanti a me. Chissà cosa c’è alla fine di quei binari, se incontrerò tram guastati o se ci saranno altri controllori a farmi le multe per eccesso di furbizia. Il passato è così vicino (il pezzettino di rotaia dietro il mio culo), non scordo quello che ho fatto: sono un flip-flop insomma. E c’ho molto pane e cipolla da mangiare, per diventare grande grandissimo. E chiaramente sono ben disposto a smentire i teoremi dell’ordinario. Un flip-flop ribelle che mangia la cipolla (questo è un flip-flop).
Vi hanno mai detto che due rette parallele non si incontreranno mai? Che due persone apparentemente inconciliabili non si uniranno mai? Perchè allora quei binari lì, alla fine della loro strada, si sfiorano, non vedete anche voi come danzano felici? E duecento post in questo piccolo blog non potranno mai bastare per spiegare la vita di quei due binari, del perché poi hanno deciso di unirsi a ballare all’infinito è meglio non provare neanche a parlarne. Ci sono momenti in cui si deve finire di raccontare, momenti in cui bisogna solo ascoltare.

231.584.178.474.632.390.847.141.970.017.375.815.706.539.969.331.281.128.078.915.826.259.279.871 è il più grande numero primo che si conosca. Non ha saputo dire su due piedi a chi importasse.

…come questi duecento interventi. Al prossimo racconto allora, per chi importa :)
P.S In realtà era divisibile per 47, ma è così importante dirlo dopo per chissà quanto tempo avranno calcolato quel numerone?

L’ultimo giorno di lavoro

Ieri ultimo giorno di lavoro. Ed è stato più sconvolgente del primo, più “raccontabile” di tutto gli altri giorni di lavoro di queste due settimane. Sembrerebbe tutto normale, inizio alle 22-stiramento della colonna vertebrale su un letto per le 6:30 (dopo aver fatto colazione con latte e biscotti chiaramente).
Le cose importanti sono tutte successe in quelle 8 ore di estenuante lavoro.
A inizio serata finito il mio lavoro in sala mi sono prodigato ad aiutare la povera Michela, cambusiera. Mentre stavo togliendo il bianco dagli spicchi di mandarino Antonella, l’accompagnatrice ai tavoli (e non solo…), raccontava come s’era fatta regalare per il suo anniversario di fidanzamento un paio di scarpe. Seguiva una digressione con l’altra cameriera sui metodi per far capire al compagno come e cosa farsi regalare. Io al solito mio ascoltavo, non annuivo nè sorridevo: sbucciavo i miei mandarini per i fatti miei. Ma quando il cane non abbaia è il padrone a infastidirlo, così Antonella mi rivolge la parola:

Lei: “Zittu zittu Gioele è un fimminaru…vero?  Mio nonno lo dice sempre: t’ha scantari ri chiddi cà nun parranu”
Io: “Uhm…eh..si, coff coff (sono raffreddato da giorni)”
Lei: “Ce l’hai la zita Gioele?”
Io: “Si” [No, ho detto si? Perchè cazzo ho detto si? Ma che…cosa? spero non domandi altro..]
Lei: “E’ modicana?”
Io: “Nono, non è siciliana” [Ma cazzo continuo. Muto muto! Pipa Pipa, ma che minchia m’è preso…c’ho la bocca che ha problemi di connessione? Mah…speriamo si fermi qua!]
Lei: “Hai visto Gioele zittu zittu…”

Fortunatamente i mandarini si esaurirono e io scappai da quell’interrogatorio che stava mettendo in crisi cervello cuore e bocca in un sol colpo.
La capo del mio capo ci convoca tutti in sala, il locale sta aprendo. Vuole cambiare le coppie di lavoro per variare un pò e poi non vorrei che l’ultimo giorno Gioele…
Cosa Cosa? cosa potrebbe capitarmi l’ultimo giorno? Non lo sapremo mai perchè non terminerà la frase.
Le ore scorrono veloci, all’una la pista è ancora deserta mentre i tavoli iniziano a riempirsi. Al privè si accomodano i soliti figli di papà, quelli che per l’epifania in dieci hanno speso circa 700€ a vodka e champagne. All’una e mezza già non si può più passare, la gente si è scatenata al ritmo di musica. Musica che a me fa giusto muovere il ginocchio a ritmo, magari con qualche consumazione muoverei anche l’altro.
Dalle 2 alle 3 è l’orario critico. La gente ha solitamente già preso la prima bottiglia e adesso ne vuole ancora. A me e al mio primo capo spettano 5 tavoli. Non sono molti, ma bisogna considerare che per raggiungerli bisogna attraversare per intero la pista da ballo e che oltre al servizio ai tavoli ho la responsabilità di raccogliere i bicchieri che la gente sparge per il locale.
Ecco puntualmente in queste ore il mio capo cameriere (che tengo a dirlo ha il mio stesso ruolo) inizia a fare il pagliaccio, scrocca un bicchiere di ogni bottiglia che stappa e inizia a scherzare con le signorine. Ieri a un certo punto l’ho visto in ordine in consolle che ballava-in cucina con il rossetto di qualcuna stampato ovunque sulle sue labbra (sembrava il suo…)-seduto su un divano dicendo di non farcela più. In più ho trovato un altro ragazzo addetto alla pulizia del locale (i bicchieri sono molto fragili, figuriamoci in mano agli ubriachi che pretendono di ballare) che si era nascosto dietro un divano, seduto fumandosi una sigaretta. E io ignaro di tutto questo chiamavo la capo del mio capo (che si strusciava con le femmine) chiedendole di mandarmi aiuto, che c’era da sparecchiare il 4 il 5 e il 6 e che il 7 lamentava una bottiglia di vodka mai arrivata. E il mio capo toccava le tette a qualche troia. Quando poi un mio ex compagno delle elementari con cui ho sempre litigato per la contesa di una ragazza (e poi è un figlio di papà, che non studia e non lavora=merda) mi ha fatto inzuppare tutto il cravattino in un bicchiere di champagne non c’ho più visto. Ho richiamato la capo del mio capo e le ho detto che a fine serata dovevo parlarle. Mezz’ora dopo la situazione era invariata, io sembravo la pallina in un incontro Nadal-Federer e il mio capo per rimanere nelle similitudine era l’attore protagonista di “Tutti gli uomini preferiscono Selen”.
A un certo punto sarà il maledetto raffreddore che mi fa tossire come un vecchio da tre giorni, sarà che non si respira con tutto quel caldo e sarà quel fumo che usano nei concerti che rendeva l’aria irrespirabile…sarà come sarà ma sono dovuto uscire fuori per non tramortire al suolo con una crisi respiratoria. Mentre ero intento a tossire tutta l’aria che avevo nei polmoni la capa mi vede, mi dice che adesso è lei che mi deve parlare e mi toglie il vassoio dalle mani. Licenziato per qualche colpo di tosse?
Ci sediamo in un divanetto e allora senza che lei apra bocca le dico ciò che ho meditato in tutta quella sera. Zittu zittu fino a un certo punto, buono si babbu no. Le dico che non mi sono fermato un attimo, che “c’è gente che fuma, gente che s’imbosca e gente che balla”. Le dico che io sto facendo la mia ultima giornata di lavoro in quel posto, ma che questo non cambia il motivo della mia collera. Non si prendono dei soldi per ballare, o per stare seduti. I soldi li metto in tasca se sudo, se quando torno a casa ho le gambe doloranti e la coscienza pulita avendo dato il massimo.
Lei mi risponderà che vede tutto, sa chi non lavora e chi lavora. Mi ha visto che “ho spinto tutta la serata”, che non mi sono fermato e che “forse faccio troppo”. Che purtroppo alcuni ragazzi le sono stati imposti dai suoi superiori, e che conosce i limiti del suo personale. Parliamo per un venti minuti buoni, lei mi dice come la pensa riguardo il modo di lavorare. Le racconto delle mie esperienze lavorative precedenti, quando prendevo a quattordici anni 25€ per lavorare 11ore consecutive (senza pause neanche per la tosse: epica quella volta nel 2006 che lavorai con la colite), quando il mio datore di lavoro si nascondeva dietro la porta per trovare il pretesto per sbraitarci. Le dico che io voglio dar il massimo di me, voglio lasciare la migliore impressione possibile e che non riesco a stare seduto se c’è del lavoro da fare. E se sono pagato bene, e se ne ho necessità non mi fermerò finchè il lavoro non si sarà esaurito.
Finita la chiaccherata mi sento più sollevato: mi ha detto che sa quanto lavoro, l’ha visto, m’ha visto spingere ininterrottamente dall’una fino alle quattro. Mi stanno riconoscendo i miei meriti, e non c’è combinazione di oki e RedBull che possa farmi sentire meglio. Anche se per la tosse mi sono dovuto ingoiare una quantità schifosa di caramelle alla menta.
A fine serata, le 6 del mattino, dopo aver preso la mia paga e aver messo la firma faccio il giro di saluti. In realtà solo il proprietario e la capa del mio capo sa che sarà l’ultimo giorno di lavoro lì. La mia capa mi abbraccia sinceramente, non me l’aspettavo, mi dice che le ha fatto piacere lavorare con me, che andrò lontano e che queste situazioni lei le ha vissute prima di me e sa cosa si prova.
Ma è il proprietario, nonchè capo della mia capo del mio capo, che mi lascia di stucco. E’ un maschio quindi mi stringe la mano, senza abbracci. E mi dice hai fatto davvero un ottimo lavoro. Hai lavorato in una maniera ottima, quando tornerai passaci a trovare, ci sarà sempre lavoro per uno come te. Veramente complimenti, hai fatto un lavoro eccellente. 

A volte ritornano – Amarcord

Direttamente dal diario di mia madre sulla mia infanzia:

14 Agosto 1996:


…ti sei ricordato che papà ti aveva promesso che potevi farti il giro in bici nella strada di Busita. io t’ho fatto scendere e subito dopo una vigorosa pedalata…al solito sei sempre “furioso”..è iniziata una discesa, non sei riuscito a controllare la bici e dopo poco sei caduto a capofitto, ho sterzato subito a sinistra e t’ho preso per portarti in ospedale, dove ti hanno dato due punti al sopracciglio sinistro e ho visto che ti sei ridotto la faccia malissimo..”
[…]

“Dopo 48 ore ti abbiamo fatto la T.A.C e abbiamo visto che tutto andava bene.
Tu dopo hai fatto il primo giro in bici


Oggi: sono a casa, beh sono da solo. mamma è al lavoro e mio fratello è ancora uno studente “di quelli forzati”. Ho la musica forte, che la sente tutto il palazzo e oltre. fra meno di una settimana ritorno a milano, dovrò fare la strada inversa e non sono tanto sicuro che adesso i cata-siciliani siano disposti a spingersi per oltrepassare quel gate. del resto anch’io tenterò di prolungare il più possibile la mia permanenza al di qua, io su quel coso pilotato da Caronte nun ci voglio proprio andare.
Beh dai iniziamo, vi devo raccontare di come sono arrivato ad oggi, ad essere quello che sono: sicuro ho sbattuto molte volte la testa.
Beh si, dopo esser nato, aver tentato di sfondare ogni cosa che si intromettesse tra me e i cassetti della cucina pieni di oggetti tanto inutili quanto buoni d’assaggiare..ecco sono cresciuto. Beh cresciuto è una parola un pochino grossa, diciamo che mi son nati i dentini e tante nuovi pensieri per conquistare il mondo: ecco ora se trascuriamo i denti del giudizio (che chissà per quale misterioso motivo tardano a nascere), solo i dentini si sono “realizzati”.

Il primo incidente che ricordo è stato il più stupido, ma che m’ha procurato un 2/3 punti di sutura dietro nella nuca: sotto il tavolo di calcestruzzo m’era caduta na biglia, mi chino la prendo m’alzo sbatto piango. e così adesso, ogni volta che voglio tagliarmi i capelli corti devo raccomandare al barbiere di nascondere quella cicatrice, beh si sulle cicatrici non ricrescono più i capelli.
Altro incidente insanguinato: m’avevano regalato il super liquidatore nuovo, beh non datemi mai una cosa che spruzza acqua nelle mani ( niente riferimenti eh ), dopo mio fratello e mio padre toccava a mia madre: ma ho calcolato male le distanze e sono finito dritto dritto nel cancello ferrato: e così c’ho na cicatrice pure sulla tempia e anche lì devo stare attento dal barbiere: 3 punti di sutura e siamo a 6. promemoria: buttare acqua addosso alla gente può arrecare seri danni alla salute. buon risultato ma è ancora poco. possiamo migliorare.
Casa di mia nonna, ero più piccolino. meno di 6 anni. na volta sbatto sulla spalliera di una sedia, 2 punti al naso. quella volta non lo ricordo.
Sempre da mia nonna, questo è uno dei più significativi…
preparo con cura la scenografia, un cuscino a terra e uno fra le mani: mi metto sul divano, m’alzo prendo la mira e mi butto di testa. dovevo prendere il cuscino…e se non l’avessi preso avevo quello nelle mani..beh..adesso so che sotto il mento non mi cresce più la barba. e che l’attrazione gravitazionale è più giusta di quanto pensassi. e altri 2 punti s’aggiungono alla mia collezione. 8 punti. sto migliorando sempre più.
Ancora più piccolo, avrò avuto 4 anni. Veglia di pasqua: io dico..ma perchè cavolo torturare i bambini e portarli in una chiesa dove tutti hanno sonno, anche il prete ne ha, se poi puoi andare in momenti più tranquilli dal prete e chiedere “scusascusascusa ho dimenticato di santificare le feste, e chiedo perdono anche per gli altri peccati già che sono qua. grazie.cià” ? bah, io dovevo andarci e dovevo pure impegnarmi: dovevo pur far capire a mia madre che non volevo stare lì. Vi siete mai chiesti perchè i bambini quando li portati in chiesa piangono a dirotto ? beh cazzo non è che le presentazioni d’apertura fra bebè-sacerdote siano delle migliori.. “senti bello mio, tu ora entri a far parte della nostra cricca, ma prima ti devo buttare un pò d’acqua qua e qua e qua. “
partiamo dal presupposto che nessuno m’ha chiesto se volevo essere lì e se volevo entrare a far parte di partiti,associazioni e fan club.. poi ok..mi devi buttare anche l’acqua sulla testa..almeno abbi il buon senso di accendere lo scaldabagno no ? e poi che cazzo mi fai i flash in faccia che sto dormendo…e mamma e papà che cazzo c’hanno da essere felici ? bah…
si ecco, così è capitato che quando s’è finita quella messa siamo tornati a casa e io ero felice, d’esser tornato a casa. pensavo pure fosse mattina data la lunga e santa runfata. Così mi sono messo a saltare sul lettone (saltare sul lettone è una delle gioie della vita che mai dovrebbero esser private ai bambini), e saltachetisaltasaltapiùinalto son caduto. ma non per terra, banale. con la fronte sulla sponda del letto. cazzo che male..stavolta nessun punto di sutura, solo qualche cerotto traente. adesso in piena fronte ho un taglio neanche tanto orizzontale che mi ricorda che anche le cose più belle possono far male a volte. ( beh in realtà mi ricorda anche che devo migliorare la mia tecnica di salto sul lettone ).
Beh arriviamo all’ultima, che poi sarebbe la prima per coefficiente di avvicinamento alla morte. mia madre credo che lo ricordi tutt’ora quell’attimo. si mi riferisco all’incidente descritto nel mio/suo diario…io ricordo che dopo il patatrack lei scese dall’auto e mi alzò da terra e mi urlò: “riesci a star in piedi dieci secondi..prendo le scarpe ( ch’erano disperse sull’asfalto ) e metto di lato la bici (ch’era spalmata sull’asfalto) ok??”
io annuì, lei mi lasciò e io precipitai al suolo. lei mi riprese, corsa all’ospedale e due punti di sutura al sopracciglio: ora ho un sopracciglio leggermente storto e il ricordo che il freno davanti NON si deve usare neanche nelle emergenze. e non si deve correre troppo coi pedali se sotto il culo non c’hai almeno una cosa che abbia 26” di diametro.
In realtà ho capito che talvolta è meglio non frenarsi, che se magari non frenavo non cadevo. che prima di gettarsi a capofitto in un sogno, beh è meglio calcolare bene le distanze (non per niente mi sono iscritto ad ingegneria -LL). che anche troppa felicità fa male, così come troppa cocacola o troppa cioccolata..o saltare troppo in alto sul lettone!
…che non conta quanto sangue ti manca in circolo, quanto forte sia stata la botta, se c’avevi ragione o torto, se è colpa del tavolino troppo basso o del cuscino troppo piccolo..
48 ore sono un tempo sufficiente per rifarti un giro in bici: che t’abbia tradito o meno poco importa.