Archivi tag: milano

“Dove sono sul viso di chi ha avuto l’amore”

Ho fatto la cosa che so fare meglio: sudare. Per la piscina era tardi e perciò c’andrò domani. Restava la bici e i piedi. Ho scelto la bici, perché si può correre più veloce perché si può andare più lontano e perché posso fare le sgommate.
Ho preso l’ipod di duli (con cui mi congratulo sinceramente per la musica che ascolta)(sincero, davvero! faccia con la barba) [Dovete sapere che ho fatto crescere la barba così  o quasi…e duli dice che sembro sempre incazzato, o indisponente…non l’ho ancora capito bene, ve lo spiega lei!), ho messo le cuffie e ho iniziato a pedalare. Per capirci, il mio stato d’animo quando sono uscito era così:

Dietro ogni porta un grido La casa è un muro stretto intorno a me 

Sergio mi chiede se ho bisogno di sfogarmi. Io rispondo si e una serie di volgarità che fungono a stento da preludio. Poi prendo la bici e inizia il vero divertimento. Pedalo finché ho forza nelle gambe, la strada la decido a naso. Penso che il mio percorso è caotico. Nel senso matematico del termine. Ogni decisione agli incroci introduce un livello potente di caoticità, un piccolo cambiamento nelle condizioni iniziali chissà dove mi avrebbe condotto. Mentre penso a ciò e canto a squarciagola – che tanto a Milano chi cazzo mi conosce – finisce prima la pista ciclabile, poi la provincia di Milano e alla fine l’illuminazione pubblica. Decido di tornare indietro, sebbene odio rifare la stessa strada due volte. Attraverso un sovrappassaggio e ricomincio a darci dentro. A volte oltre a cantare penso anche a ciò che sto urlando. Frasi del tipo Ognuno è figlio del suo tempo Ognuno è complice del suo destino oppure Ognuno è figlio della sua sconfitta Ognuno è libero col suo destino non mi lasciano indifferente. Anzi scatenano elucubrazioni matematiche varie e profondi quesiti su chi cazzo sia questo Celestino.
Non si sa come ma spunto a Porta Venezia, poi mentre guardo dei lavori in corso mi accorgo di essere arrivato a S.Babila. Ecco, il mio pedalare si è fatto lento. Si è finita tutta la forza esplosiva, la tensione che avevo si è esaurita. Andare in bici per me è come pregare. Non so cosa vuol dire pregare, se quelle poche volte che ci provo ci riesco. Se qualcuno mi ascolta, se basta dirlo a mente o bisogna anche parlare ma a bassa voce. Ma andare in bici fa circolare il sangue nelle cosce e i pensieri nelle tempie. E’ rilassante per il fisico e stimolante per la mente. A pennello ascolto questa canzone.

♫♪♪  
Avrei bisogno di pregare Dio.
Ma la mia vita non la cambierò mai mai,
a modo mio quel che sono l’ho voluto io
Lenzuola bianche per coprirci non ne ho
sotto le stelle in Piazza Grande,
e se la vita non ha sogni io li ho e te li do.
E se non ci sarà più gente come me
voglio morire in Piazza Grande,
tra i gatti che non han padrone come me attorno a me



Penso alla mia vita da eterno ribelle. Non tutta la mia vita, quando ho preso a lottare contro tutti e tutto. Come Don Chisciotte, urlavo e sferravo colpi all’aria dove c’era tempo e spazio. Senza una mira o un obiettivo. Era troppa delusione e il mio personale contenitore della delusione trasbordava. E io m’incazzavo.
Poi mi sono dato una calmata, ho incontrato le persone giuste, sto diventando grande. Ma non posso dimenticare chi sono stato e chi voglio essere. Mai.
Intanto arrivo in Duomo, poi Cairoli e Castello Sforzesco. Ci stanno tutte le coppiette che si sbaciucchiano. Innamorarsi a Milano, pff! Poi io sono un poco disilluso in questo periodo, e penso dentro di me tanto prima o poi vi lasciate anche voi, mi sento quello che c’è già passato, per un attimo riesco a sentirmi fortunato.
Mai sottovalutare gli effetti della bici.
Arrivo a Lanza, e mi dirigo verso Moscova. Lì ci trovi tutti i fighetti, qui non si dice “baciucchiare” ma “pomiciare forza quattro”. Tanto si lasciano, a maggior ragione questi! Vedo Porta Garibaldi, vicino c’è via Como. A me questa via mi sta particolarmente sul cazzo, sarà perché è l’habitat dei celebrolesi mentali che hanno i soldi. E io non tollero questa iniqua distribuzione della ricchezza. Perciò non mi avvicino a quel luogo diversamente radioattivo e mi dirigo verso casa dato che è circa un’ora e mezza che sto pedalando come un dannato. Repubblica, gialla. Parte De Andrè, Un chimico. Che vi ricordo fa così.

♫♪♪
Da chimico un giorno avevo il potere 
di sposare gli elementi e di farli reagire, 
ma gli uomini mai mi riuscì di capire 
perché si combinassero attraverso l’amore. 
Affidando ad un gioco la gioia e il dolore. 
Guardate il sorriso guardate il colore 
come giocan sul viso di chi cerca l’amore: 
ma lo stesso sorriso lo stesso colore 
dove sono sul viso di chi ha avuto l’amore. 
Dove sono sul viso di chi ha avuto l’amore. 

Mi sento ancora più fortunato. Non ho capito ancora le regole di questo gioco che pensavo ormai d’aver in mio possesso. Ma dacché gli ho affidato gioia e dolore ho dovuto vivere tutti i turni di questo meraviglioso gioco. E non c’è trucco e non c’è inganno.
Ricordo una frase sentita durante un intervista di Pif.
Non sono stato il migliore, non sono stato il peggiore. Sono stato il più determinato.
Sono molte le cose che mi possono essere rimproverate (chissà se sto usando l’italiano…) ma non la determinazione. Non so se basta, magari ci vuole la determinazione uno e pure la concentrazione e la furbizia. Ma io una cosa c’ho e so di essere il migliore in quello.
Adesso non so perché ma è un periodaccio. Potrebbe essere lo stress che Sergio dice che si sente sulle spalle. Io non lo sento sto stress, ho controllato sulle spalle non c’è niente. Ma sto zoppicando un po’, non posso negarlo. Tra un po’ tornerò a casa, forse aiuterà un po’.
Intanto arrivo in Centrale, faccio tutta viale Gran Sasso. Caiazzo e dopo una garetta con una macchina dei vigili del fuoco (sono passato col rosso e ho vinto!) arrivo a Piola e quindi casa. L’ipod adesso suona La via della povertà, canzone che andrebbe citata per intero. Salgo a casa e il resto e ordinaria amministrazione.
No, non è affatto vero.
Ma adesso si è fatto tardi, devo fare la doccia che puzzo di criceto agonizzante, sistemare la stanza che domani torna Khadir e recuperare la via del letto.
Giuro, adesso mi sento bene. Grazie bici di chissà chi.

Stretta la foglialarga la viadite la vostraio ho detto la mia.

Sembra divertente…

Fatti. Intesi come eventi accaduti. Stavo in bici e sul cellulare parte questa canzone, Vita da Pirata di Edoardo Bennato. E’ una canzone molto bella, in genere Bennato è uno dei miei cantautori preferiti. La prima volta che ascoltai questa canzone stavo tornendo da un giorno di lavoro durato 10 ore. Inizio settembre di quest’anno, ero distrutto in tutti i sensi che questa parola possa mai avere. Ma ad un certo punto questa canzone iniziò a suonar così:

Sempre in cerca di avventure, notti e giorni a navigare E’ una febbre che non passa mai… E confesso il mio peccato, io non mi accontento mai e non c’è pazzia che non farei 

Tipo salire su quel tronco nella gita a Geraci. Quando lo abbiamo ricordato Daniele mi ha detto che era pronto a chiamare le pompe funebri e che si sarebbe buttato nel fiume per salvarmi. Duli ha detto che non si sarebbe buttata, e che comunque non capisce i motivi di salire su un tronco in mezzo a un fiume.
Sembrava divertente.
Ieri dovevo andare a ritirare il passaporto da G.G. Sfortunatamente abita dell’altra parte di Milano. Bisognerebbe prendere la verde scendere a S.Agostino e poi fare un tratto a piedi. Io non volevo pagare l’euro del biglietto, non volevo farmi il tratto a piedi e volevo muovermi un po’. Allora ho preso la bici e mi sono fatto i miei 15km in notturna. Di cui la metà sul pavet, mi sento ancora tutto tremare; e incluso c’è stato pure uno smarrimento lungo una certa Via Meda. Quando ho chiesto spiegazioni su come ritrovare la giusta via due signore per poco non s’afferravano nel tentativo di dirmi la strada ritenuta la migliore. Chi fa da sé fa per tre, disse Pippo.
Altro fatto divertente. C’è da sapere che in questi giorni di pasqua milanese sto a casa di Sergio. Ieri dopo pranzo dovevamo studiare, lo sanno tutti che il venerdì santo dopo pranzo si deve studiare. Ma mancava il caffè. L’avevo finito io nel tentativo di farmi un caffèlatte la mattina, ma ahimè il caffè non è salito e s’è bruciato. Sergio dice che senza caffè non può iniziare a studiare. Io dico c’ho la tessera del poli da scaricare. Ci vestiamo. Usciamo. Percorriamo quasi un chilometro per trovare il bar convenzionato. Abbiamo preso due caffè, due coca-cola e abbiamo giocato una schedina.
E tutto questo perché dovevamo studiare. E senza caffè Sergio non può studiare. E io c’avevo la canazza, malattia tipica dei siciliani.
Adesso con questa schedina diventeremo milionari. Verranno a farci le interviste sul perché abbiamo giocato proprio quei numeri (in realtà ha scelto la macchina), sul perché eravamo in quel bar a quell’ora, perché siamo ancora a Milano il venerdì santo. E noi risponderemo. Senza caffè Sergio non può studiare. E poi leggeranno il blog, avrò tanti visitatori da scordarmi chi è il visitatore misterioso (tiè), e poi m’arresteranno perché nel parco del Ticino è severamente vietato salire sui tronchi. Giulia mi dirà che lo aveva detto lei di restare al ponte con le barche. E io con le manette ai polsi dirò sembra divertente…

FDC – 8

Sono immerso nel ricordare vocaboli inglesi.
Oggi il cuore mi ha battuto forte come non mai. L’inter ha passato il turno, non è un motivo altrettanto nobile ma era tanto che non avevo un picco di felicità. M’accontento di questo.
La cura Milano aiuta, partire serve. Ancora un’altra dimostrazione.
Domani sono diciannove mesi, continuo comunque a ricordarlo.
Oggi ho imparato le parole: lice[pidocchi], wonder[miracolo, bellezza], dry-humping[“simulare” il sesso da vestiti], garbage[rifiuti, immondizia], rusty[arrugginito].
Poi ho capito che were è il passato di to be, ma può forse essere anche il congiuntivo sempre del verbo essere.
Aspetto una email di risposta da una scuola d’inglese che cito dicono we’ll contact you within one business day. Sono passati due giorni e ancora niente, forse le mie domande erano troppo difficili.
Sono un ingegnere, quasi almeno.

Capacità di sintesi

Tornato a Milano, piove. Stamattina mi sono alzato tardi, ho mangiato ‘mpanatiddghi ancora nel letto, mi sono alzato alle 12. E’ uno degli ultimi giorni di ozio, dopo ricomincia la scalata. Ho ascoltato una canzone che dice che se veramente Dio esisti, se sei quello dei giorni tristi oppure quello degli inni alla gioia, fai che sia vita la nostra, una vita senza la noia.


Tecnicamente quindi la mia è la vita perfetta, una vita senza la noia. Beh non mi lamento, quantomeno ho sempre qualcosa a cui pensare. Che siano cose belle o no, forse non importa. E comunque importa, e come.

Fronte Canada: ho appena chiamato oltreoceano. Se per il biglietto è ormai tutto definito resta da scegliere la scuola, e i criteri di scelta si intrecciano fra l’economicità e la qualità, e districarsi lungo la burocrazia dei visti e dei permessi di studio all’estero. Ed è un intreccio ingarbugliatissimo, ho qualche mese per sbrogliarlo con la calma che non mi contraddistingue. Signore mio, dacci un parere per quando ci vogliono interrogare in tempo di pace e di sonno, che ci faccia star bene e per continuare in tempo di guerra magari a campare. Ho quasi pensato al titolo, ma non so se cambiare questo o farne il titolo di un nuovo blog: quello che inizierà a raccontare il Gioele post-Canada.

Infine oggi ho resistito abbastanza bene a due attacchi, ma il pensiero della telefonata che avrei dovuto fare m’ha un poco aiutato. Difatti adesso che la chiamata l’ho fatta mi sento un poco svuotato sicché inizierò a guardarmi puntate di How i met your mother. 

Ed è così che sono in cerca di una casa

Sono un emigrante. Adesso è ufficiale, c’è scritto in questo coso che conta cinquanta pagine e costa quasi cento dollaroni. Ma come per l’età che non ha bisogno di una carta per certificarla così questa mia condizione non necessita di un passa(aereo?)porto per essere autentica, di questo colore orrendo poi.
Me ne sono accorto quando sono tornato a casa, da Milano. Casa. Che concetto strano. Casa è il posto in cui hai vissuto per più tempo o è casa dove ti trovi meglio? E’ il posto dove vivono i tuoi genitori o è quel posto in cui sei più comodo a dormire e a fare la cacca? Perché casa mia non so più qual è, questi criteri se applicati forzatamente sono inadeguati per decidermi.
Sono felice ogni volta che torno, ovvio, anche il vecchio di Como che ho incontrato sul bus terminal-aereo era euforico alla sola idea di vivere in Sicilia anche solo per qualche giorno: e io qua, in questo paradiso italiano, ci sono cresciuto e vissuto per quasi vent’anni. Ma casa è un posto bello? O è forse un posto spazioso e luminoso?
Perché dopo l’inevitabile felicità iniziale, sono iniziate a mancarmi alcune comodità che soltanto la mia due.quattro.quattro, la casa di Milano, mi fornisce. Qua a casa mia è tutto diverso, ma come può essere una cosa diversa se sei già a casa tua? Diverso da cosa? Qual’è la mia casa, ditemelo voi, io non lo so. La mia mamma e mio fratello non sono una casa, altrimenti sarebbero loro la mia casa. E a quel punto sarebbe molto facile traslocare, perché basterebbe fare un biglietto per tre persone. Ma la casa è un posto, fatto di cemento o anche di legno. E’ un posto che non si sposta, è quel posto che fai sempre fatica ad accettarlo ma che poi farà un’impronta nei tuoi ricordi e ogni volta che la lascerai, anche se per qualche giorno, lei te lo rinfaccerà lei lo ricorderà e tu piangerai la sua lontananza. Ma quando torni casa è lì aperta per te, come se non te ne fossi mai andato. Casa potrebbe essere una fidanzata fedele, un po’ gelosa e capricciosa, ma fedele.
E io, io non posso essere poliga(casa)mo. Di casa se ne ha una per volta, con i relativi tempi di guardia. 
Oggi ho chiamato lo zio Joe, hello joe, i’m gio..ele. joe? Joe, lo zio dell’America.
Manca poco e cambierò di nuovo casa. E quella Milano di merda, quella Milano che qualche volta piove e c’è tanto freddo, quella Milano un poco mi mancherà. Diecimila chilometri un mare e un oceano sono così tanti che anche la “vicina” Milano mi mancherà. E il mio pensionato, un po’ perfino la mia casa degli ultimi tre anni mi mancherà. Che strano, è tre anni che dico che tutti questi posti fanno schifo.
Conosco una vecchia amica che è felice di non avere casa, di viaggiare il mondo come fosse una trottola. Così io penso di lei. Come si può scegliere di non sognare una casa? E’ bello il viaggiare l’esplorare il mondo e il conoscere nuovi mondi di idee, ma io ho bisogno di pensare che in qualche parte del mio futuro ci sarà una casa ben ancorata al suolo e sempre quella sarà la mia casa. Non riesco a sognare di fare del viaggio la mia casa, io quando viaggio sono esterefattamente strano. Vedere luoghi che potresti non rivedere mai più mi rendono malinconico, che è soltanto una tristezza un po’ divertente. Chissà quando dovrò tornare in Italia se sarò triste di lasciare la mia nuova casa, chissà dove sarà la mia casa ben ancorata.
Forse sono nato per partire via. Non so se è perché sono del meridione, perché sono italiano o perché sono semplicemente Gioele. Ma quand’ero nell’era pre-polimi io se ero triste andavo via da casa, e adesso nell’era odierna è un continuo partire, un continuo sognar progetti di partenze. E in tutto questo, dicevo, mi sono scordato dov’è la mia vera casa, che senza ancore è pericoloso partire per l’oceano.
Ed è così che sono in cerca di una casa.

Sia dato un array bidimensionale…

Questo è un super-post, mille cose da scrivere che ho tutte appuntate. Prima cosa, è necessario aver letto questo post qui (http://gas12n.blogspot.com/2011/02/verso-il-paese-immaginario.html) per capire tutti i nessi di questo intervento qui. E comunque questo sarà un post luuuungo lunghissimo.

E’ finito il semestre. E’ una liberazione di cui però non mi sono ancora reso conto. Sarà che ho la testa che scoppia ma pian piano sono sicuro che la leggerezza della ritrovata libertà tornerà a farsi sentire. Non possiamo definirlo il mio miglior semestre, ma sono sicuro che ho fatto altri passi avanti verso la mia laurea breve. Breve è soltanto un altro nome per dire insignificante. Fatto sta che devo passare da qua, e ci sto passando il prima possibile. Proprio oggi ho fatto il mio ultimo esame, Reti Logiche. Ho fatto qualche errore che certificano l’autenticità, diciamo che la mia firma è già il primo errore: sono comunque molto soddisfatto della prova complessiva. Tanto per provare, copio un esercizio dell’esame del 25febbraio. Il corso si chiama “Algoritmi e principi dell’informatica”. Principi non sta per cose iniziali quindi semplici. A dire il vero ho il sospetto che sia l’ennesima illusione del politecnico: viene ritenuto ad ogni modo insieme a Fisica il corso più difficile della triennale. Ecco il testo:

Sia dato un array bidimensionale A di m righe ed n colonne. Supponendo che ciascuna riga sia ordinata in ordine crescente descrivere un algoritmo che riunisce le m righe di A in un’unico array ordinato B di n*m elementi. L’algoritmo deve richiedere tempo O(nm log m).(Suggerimento: mantenere il primo elemento non ancora copiato in B di ciascuna riga in un heap H di m elementi).

Un array bidimensionale è una matrice, una sorta di scacchiera con emme righe ed enne colonne. Bisogna inventarsi un algoritmo che richiede come tempo massimo (il tempo è strettamente collegato al numero di mosse che si fanno per ordinare gli elementi e metterli nell’array monodimensionale, che invece sarebbe una lunga sequenza di caratteri) nm*log(m).
Il suggerimento aiutava un po’ ma vi assicuro che non era affatto semplice. Io ho trovato un algoritmo(=sequenza di passi eseguibili con una benda sugli occhi) che lo risolve in O (nm*log(nm)). Sembra essere buono, quasi uguale. Invece è una ciofeca, è una soluzione ritenuta banale e sarò fortunato se mi daranno 4-5 punti sui 10 circa che valeva l’esercizio. Gli altri due esercizi del compito di sicuro non miglioravano, perciò scusate se quando vado in giro mi riempo la bocca dicendo I N G E G N E R I A. Ogni facoltà ha la sua importanza, senza dubbio, ma non iniziate a dire che sono tutti difficili uguali. Neanche sono difficili ma in una maniera diversa mi sa di una frittata rigirata. Ci sono facoltà più difficili e altre meno difficili: ed ingegneria è più difficile. Quando farò Scienza del fiore forse dirò che sarà quello il corso più difficile, che sti cazzi, mica è facile far girare un girasole…per adesso faccio ingegneria informatica.

Ecco, questo sono io. Commento alla mia foto. Innanzitutto la mia faccia è a colori, ma Sergio (qui potete vedere il suo canale su flickr), l’uomo che ha ritoccato questo bel visino adotta spesso il b&n.
La barba sembra meno lunga in foto, in realtà il baffo sta iniziando a darmi fastidio e a volte mi rantolo grattandomi il viso. Io la barba l’ho sempre tenuta corta. Una volta la tagliavo con la lametta due volte alla settimana, perché mamma mi diceva che altrimenti sarei sembrato disordinato. Poi mi dissero che la barba poteva essere una cosa bella, cioè che mi stava bene la barbetta. E allora mi dissi che era un buon pretesto per evitare questa scocciatura, perciò ora mi limito a spuntarla col rasoio elettrico una volta a settimana. Tania, la signora della mensa, dice che sembro un barbone: di quelli che vagabondano per strada, si capisce. Il portiere ragusano della residenza dice che devo fare la comparsa in un film, per questo c’ho la barba lunga. In realtà è come dicevo nel post precedente, frutto di scaramanzia. Anche se oggi in segreteria ci hanno scambiato per dei ragazzi in erasmus, ce l’ho la faccia da spagnolo o no?
Il mio nasino sembra storto, e lui non lo è. Però sembra nella foto effettivamente. E poi è così strano vedersi così da vicino. Le mie cicatrici sembrano ancora più profonde, ma ho superato la fase della vergogna. Adesso sono quasi un vanto, mi danno l’aria del tipo dall’adolescenza burrascosa. Lo è stata del resto. Si vede pure il piccolo neo sul labbro, sembro uno importante solo per quel neo. E poi sotto l’occhio sinistro c’è la fossetta dovuta alla caduta in bici, che testimonia che oltre all’adolescenza anche la mia infanzia non è stata esente da “infortuni”.
Chissà cosa starò facendo quando rivedrò questa foto, cosa mi ricorderà rivederla dopo anni e cosa dirà mia figlia quando vedrà questa foto dentro una cornice in una mensola polverosa di una vecchia libreria. Come dici duli, le racconterò un’altra lunga storia. Di quella volta che ero amico con uno che si chiamava forse Sergio, di quando vivevo a Milano e c’era sempre freddo, di quando vivevo in una stanza che mi sembrava un’intera casa. Di tanto le parlerò, sono un chiacchierone infatti.

G: fratello
G: nn funziona la somma in binario
G: sto pensando a quanto si è felice da ziti..
G: nn m sembra un pensiero attinente all’aritemica
S: compare io qua non ti posso dire che non è vero
S: ma si può essere felici da ziti così come da single
G: lo sai con me che da ziti è n’altra cosa
S: la felicità non risiede necessariamente nello stare insieme
G: si può andare a 50 anche di prima
G: ma in seconda è tutta n’altra cosa
S: tutto è relativo, bro. Tutto è relativo!
G: il più piccolo si adegua al più grande con l’esponente no?
S: se
S: anche quando si è ziti

Questo è una normale discussione in periodo d’esame. Passato, ricordi, e presente: esame imminente! Capita così che si mischiano i discorsi e talvolta si fanno ragionamenti del tutto spettacolari intrecciando il presente e il futuro.
Io adesso sono appena tornato da casa di Sergio. Sono andato lì proprio per prendere un libro che leggerò domani, nel lungo viaggio che mi riporterà in Sicilia. Ho finito il libro sui numeri primi, gran bel libro. Per tante cose, alcune le ho scritte qua. Adesso tocca iniziare questo libro che Sergio dice che è bellissimo. Inizia così:

Tu mi ricordi una poesia che non riesco
a ricordare una canzone che non è mai esistita
e un posto in cui non devo essere mai stato.

Beh l’inizio non è promettente, io mi ricordo di molte cose. Sono molto abile a ricordare le cose del passato, sarà questo il mio problema? Lo scoprirò solo leggendo.
Io adesso devo andare a togliermi questa barba, sennò domani al metal detector mi fanno levare pure le mutande. La valigia è già stata fatta, l’umore è abbastanza positivo anche se continuo a percorrere le mie strade di prima, Khadir non è ancora rientrato dal suo viaggio a Valencia e sto ascoltando Mistero in tv. Mi godo questi attimi, che ne so che domani l’aereo fa crac e domani tutti voi piangerete leggendo questo intervento. Però sono o non sono stato un bravo ragazzo?

…e siamo in duecento!

E’ da un pò che non scrivo. C’ho avuto il blocco dello scrittore, anche se non sono uno scrittore. Ma c’ho avuto il blocco lo stesso. Questo è il duecentesimo post che sta scritto qua. Se, duecento. Ricordo ancora quando iniziai col primo: venivo dalla geniale invenzione della metafora dell’equilibrista, e bisognava fare sul serio. Così iniziai a parlare di cose a caso, poi di caso a cose e poi ho iniziato a raccontarmi. E così è stato che questo blog ha attraversato tutte le fasi dell’amore, tutti gli alti e i bassi della mia breve carriera di aspirante ingegnere e tutti i flussi di coscienza che soltanto chi vive può raccontare senza inventare.

Allora ho pensato che questo duecentesimo post doveva essere importante, parlare di argomenti considerevoli con un italiano quanto mai perfetto. Ma poi il tempo è venuto a mancare, gli esami stanno sfondando le porte e io mi sono bloccato. E poi ho detto, se voglio continuare a scrivere devo fare un altro post. Non c’è modo. Centonovantanove sono pubblicati, uno rimarrà per sempre una bozza. Diciamo che questo è il centonovantanovesimo-post-più-uno.
Riassunto: sono ancora un quasi-ingegnere: sto studiando come ordinare le cose (Algoritmi e principi dell’informatica), come fare in modo che tante cose entrino in poco spazio e riuscire a far funzionare il tutto decentemente (Reti logiche). Studio come funziona la rete, non quella per pescare (Reti di Telecomunicazioni e Internet) e l.b.n.l Basi di Dati: il corso che dovrebbe spiegarci come e perchè sono importanti le tabelle. 
Sto iniziando a guarire (no in realtà ho ancora la tosse, ma non mi riferivo a quello). Il mio prof di Teoria dei Sistemi (esame già svolto, non so come, chiedete a duli per queste cose) dice che i ricordi di ogni uomo tendono asintoticamente a zero col passare del tempo.
Questo blog è seguito sempre dalle solite persone, più qualcuna in più. Questo mi fa piacere, quando si è troppi a mangiare poi c’è troppo poco da mangiare. E a me piace mangiare, da matti. Mamma ha finalmente rinunciato all’utopia di farmi superare i 60 chili, e io quasi quasi per dispetto sono tentato di superarli.
Doveva parlare di cose insignificanti (Minciati cù l’uossi aruci è giusto un paradosso: non esistono ossa dolci, le minchiate più minchiate che esistono insomma) ma poi mi sono innamorato. E m’è presa la sindrome di Ivan (appena definita così) e tutto il mondo ha iniziato ad assumere un aspetto meraviglioso. E anche adesso è ancora così, come essere ubriachi anche senza bere. 
Sto leggendo un libro che tratta di numeri primi, quel tipo di numero che può essere diviso solo per sè stesso e naturalmente per uno. C’è molta magia nel campo della matematica dietro questi numeri, e le persone che nel passato hanno studiato tali numeri sono anch’esse magiche, talvolta bizzarre ma sempre uniche. E una frase mi ha così tanto colpito che in realtà è stata lei, la frase, a convincermi che fosse ora di scrivere.
“Ci sono un sacco di cose che giacciono sulla spiaggia e che non vediamo finchè qualcuno non ne raccoglia una. Allora, quella, la vediamo tutti”

E’ una frase di una donna, una delle uniche (favoloso errore, una delle uniche) donne matematiche riconosciute: Julia Robinson.
Non so perchè ma questa frase è magica, come il mistero dietro i numeri primi. Ogni discorso potrebbe iniziare con questa frase, e proseguire in modi variegati. Io non ho ancora deciso quale discorso della mia vita far iniziare con questa frase, ma ho in mente qualcosa. Come la foto che appare in alto.
Si sono io, anche se il mio culo sembra più grosso. Sergio dice che me l’ha pompato con qualche sua diavoleria. Ma oltre a questi discorsi anatomici mi piace l’idea di essere su dei binari. Con un piede, con l’altro faccio quel che voglio. Scarpe di ginnastica, jeans e capelli sparpagliati. Come vorrei essere per tutta la mia vita. Culo rivolto al passato e un infinità di futuro davanti a me. Chissà cosa c’è alla fine di quei binari, se incontrerò tram guastati o se ci saranno altri controllori a farmi le multe per eccesso di furbizia. Il passato è così vicino (il pezzettino di rotaia dietro il mio culo), non scordo quello che ho fatto: sono un flip-flop insomma. E c’ho molto pane e cipolla da mangiare, per diventare grande grandissimo. E chiaramente sono ben disposto a smentire i teoremi dell’ordinario. Un flip-flop ribelle che mangia la cipolla (questo è un flip-flop).
Vi hanno mai detto che due rette parallele non si incontreranno mai? Che due persone apparentemente inconciliabili non si uniranno mai? Perchè allora quei binari lì, alla fine della loro strada, si sfiorano, non vedete anche voi come danzano felici? E duecento post in questo piccolo blog non potranno mai bastare per spiegare la vita di quei due binari, del perché poi hanno deciso di unirsi a ballare all’infinito è meglio non provare neanche a parlarne. Ci sono momenti in cui si deve finire di raccontare, momenti in cui bisogna solo ascoltare.

231.584.178.474.632.390.847.141.970.017.375.815.706.539.969.331.281.128.078.915.826.259.279.871 è il più grande numero primo che si conosca. Non ha saputo dire su due piedi a chi importasse.

…come questi duecento interventi. Al prossimo racconto allora, per chi importa :)
P.S In realtà era divisibile per 47, ma è così importante dirlo dopo per chissà quanto tempo avranno calcolato quel numerone?

Un feroce bandito

Stanotte ho pensato tanto e poi ho sognato tanto.
Stamattina mi sono svegliato e sembra che sia tutto normale. Oggi l’ultimo giorno di lavoro e poi si viaggia per le vie di Milano, peccato qua in terronia avanzata c’è tanto sole e l’inverno pare si sia fermato a Reggio.
Poi mi sono ricordato di cosa avevo pensato ieri.
Pensavo a una canzone di Vecchioni, canzone che però non è possibile neanche nominare. E’ così importate il ricordo che ne ho che rimarrà nascosta nella coscienza di solo due persone.
Poi ne ho pensata n’altra che ascoltavo ieri mentre mi vestivo di tutto punto. Un verso di quella canzone fa così:

“…fu antica miseria o un torto subito a fare del ragazzo un feroce bandito…”
Ho pensato a delle importanti parole che riguardano me, il mio carattere e di come l’ho costruito.
Forse è così che mi faccio forza, ricordando da dove sono partito, che cosa ho vissuto. 
E’ un gioco pericoloso, a volte rischio di restare schiacciato dai miei stessi incitamenti. Ed è questo che talvolta mi dicono, che la mia rabbia è pericolosa innanzitutto per me stesso. Ma tutti abbiamo dei giorni tristi in cui riusciamo solo a buttarci giù. E io in quei momenti mi ripeto che ho avuto il vento contrario, che ce l’ho ancora e che sarà sempre così. Magari non è del tutto vero ma stranamente la cosa mi da la forza di reagire. Non nei modi corretti talvolta ma del resto quali sono i modi corretti?
Feroce bandito, mi piacerebbe che mi calzasse a pennello. Per il resto nessun problema.
Poi ho pensato ad altre due o tre cose, e infine mi sono addormentato.

Torno dal turco [Aggiornato]

L’ultima volta che ho detto che s’avvicinava il mese più bello e importante della mia vita, questo è andato a farsi fottere esponenzialmente.
Perciò domani è l’11 Dicembre 2010. Ah, cade di Sabato. Bah, cos’altro dire…

Aggiornamento: L’orizzonte storto è assolutamente voluto. Indica la salita della vita che agisce sullo sfondo. In primo piano invece vediamo l’infrangersi delle onde sullo scoglio; questo evidenzia le difficoltà temporanee, quelle quotidiane. Alcuni si fermano a guardare l’orizzonte, altri rimangono atterriti dalle onde. Ma l’importante è disporre di un semplice programma di fotoritocco per cancellare le onde e drizzare l’orizzonte.
[In realtà non mi ero accorto dell’orizzonte storto…]

Afanculu Piola. Again

Previsione per oggi.

  • Partenza da Studentato: fra 5 minuti.
  • Arrivo alla fermata del 90/91: fra 6 minuti.
  • Scambio con la 73 direzione linate: 16 minuti e una manciata di secondi.
  • Arrivo a Linate: 25/30 minuti c.a. (variabile pilotata dalla noia dell’autista del 73)…

previste a questo punto lunghe ore d’attesa, le più lunghe da 2 mesi ad oggi (omettendo le eccezioni necessarie)

  • Partenza aereo: 3h e 15minuti c.a. (variabile pilotata dalla noia dell’autista dell’airbus della windjet)
  • Arrivo a Catania: …uhm..facciamo le 22 ?
  • Arrivo sull’uscio di casa mia: sempre trooooppo tardi..ma beh “arrivai..cù cazzu si ni futti ciui”

Previsti lunghi interventi scritti nelle lunghe ore in assenza della “ragnatela” (web, ndr ) che verranno aggiunti solo quando la noia dell’autista della mia vita sia minore dell’interesse che spende nell’aggiornare questo spazio.

Caricamento stato emotivo felice ed eccitato: fatto!
Caricamento stato emotivo campanilista: fatto!
Caricamento desiderio di sole e mare e granita e caldo e goduria: fatto!
Caricamento desiderio di permanenza in loco siculo: ah era già fatto questo ?dici che è sempre attiva questa voce…boh!
Caricamento “portati l’occhiali che poi Sergio non può farti il favore che parte anche lui oggi, ricchione! (sergio)” fatto!
Caricamento Valigia…quasi fatto!
Caricamento “monta la testa sul collo in senso antiorario previa lubrificazione degli ingranacci” Fallito!!!

ops..cazzo..mi sa che dovrò riavviare..

Tratto da un post vero: http://gas12n.blogspot.com/2009/05/afanculu-piola.html

Lo stato interessante

Ci sono un paio di motivi che mi convincono d’essere nato appartenente al sesso giusto, maschio.
Le elenco in ordine d’importanza che in questo caso coincidono col presunto fastidio che arrecono: non sono obbligato a sanguinare una volta al mese per circa cinquecente volte, non devo spalmarmi necessariamente una colla calda lungo il corpo per togliere i peli superflui, non c’è il pericolo che mi diano della buttana e se ottengo un ottimo posto di lavoro nessuno avrà il sospetto che mi sono trombato la boss (coi tempi che corrono ognuna di queste cose potrebbe aver contaggiato anche noi uomini, la cosa mi fa un pò ‘mpressioni).
Ma poi oggi mentre ero in coda per sapere dove pagare il ticket, il tipo dietro il vetro antisputacchiamento chiede alla tipa davanti a me in fila se si trovava in uno stato interessante.
Basta questo. Lo stato interessante. Minchiuni!
E’ stato un maschio a toccare per primo il suolo lunare, è un maschio l’uomo più veloce del mondo, è un maschio l’individuo che ha inviato per prima un messaggio di posta elettronica, è un maschio l’inventore dell’aereo, della macchina di Turing, della lampadina, del telefono, della bomba nucleare.
Ma poi un tipo chiede a una tipa se è in uno stato interessante e quella donna – in un sol colpo – si fa beffa di tutti i maschi illustri nella storia dell’umanità.
La tipa davanti a me all’ospedale di via Rugabella:1/Armstrong&Bolt&Tomlinson&fratelli Wright&Alan&Edison&Marconi&Fermi 0.
La sola cosa che m’è concessa, giusto per nn farmi sentire un fallito, è di ospitare dei cosini irrequieti e schifosi che hanno come unico scopo nella loro breve vita di trasformare una donna in una donna interessante. Già li vedo tutti lì, come nel film di Allen, a scalpitare e a menarsi su chi è più adatto a trasformarsi in una creatura; tuttavia nessuno è mai potuto tornare dagli altri girini a vantarsi della sua performance (oddio, sto pensando al concepimento come un insieme frattale!) .
Quindi, scusatemi, ma limitandoci ai lettori maschi di questo blog (Sergio, siamo io e tu…), ma è normale se mi sento un pò usato? Chessò, una sorta di serbatoio vagante pieno di cose potenzialmente interessanti ?!?
E poi, per i restanti lettori, ci vuole una cosa così schifosa a rendere una donna interessante?
E’ proprio vero allora che dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori…

P.S Spero di scordarmi di questa citazione quando, nella mia vita, una donna mi chiederà in dono un diamante…
P.P.S Giornata mondiale contro gli abusi sul mondo femminile
P.P.P.S Questo non è uno STATO interessante
P*4.S Non parlare di me e dei miei lagni non è poi così male, quand’è che ci vediamo allora?

Making a pudding…

“Ma che ci devi fare con 3kg di budino?” (In realtà sono 3kg di latte, se aggiungiamo tutto il resto siamo quasi ai 5kg)
“Come che ci devo fare? Mò manciu tuttu!”

Oggi il portiere m’ha detto che sarebbe meglio comprarmi un vestito che comprarmi da mangiare. Che vuol dire non lo so. In ogni modo mi sono divertito tantissimo con quell’affaro diabolico dal nome invitante.
Alla prossima.