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“Dopo i 20 anni è tutta in discesa…”

Questo post sarà noioso. C’ho da scrivere per necessità ma è da qualche giorno che mi sento vuoto di contenuti.   Ho trovato un blog spettacolare, questa immagine l’ho presa da lì.

icanread.tumblr.com

Quando ho scritto le prime due righe di questo post volevo farvi il resoconto della mia giornata che è stata alquanto strana. Ma poi mi sono accorto che non avevo le cuffie e sono andate a cercarle. La ricerca è durata 5 minuti e anche se i tempi di lettura sono immediati queste parole sono state scritte dopo circa 6-7 minuti dalle prime del post. Nel frattempo ho cambiato idea su cosa scrivere e mi perdonerete se ritengo che il post che sto per scrivere sarà un post interessante. Fra l’altro non ho idea del perché parlo come se mi stessi rivolgendo a un pubblico vasto. Sarà perché da pochi giorni i “seguitori” delle mie minciati sono diventati quattro, numero stratosferico per gli standard del mio piccolo spazio.
In questo post vi racconto una brutta di un tema per un compito in classe. Anno scolastico 2005-2006, così ha appuntato mia madre a matita per ricordarlo. Vi avverto per chi è poco sensibile: la traccia era sull’arte dell’amore.

Traccia
L’arte dell’amore, osserva From, consiste nel dare liberamente senza interessi, è un atto creativo, dinamico e stimolante esente da qualunque egoismo. Chi non ama se stesso non può amar neppure gli altri ed è condannato ad una frustrata felicità.

Chi sia sto From non ne ho la più pallida idea, scriverò il tutto senza correggere nessun errore scrivendo anche le parti scritte e poi cancellate. Correggere il tutto sarebbe come distillare l’acqua di una sorgente, una minchiata appunto.

Svolgimento
Amare se stessi è l’inizio di un idillio che dura tutta una vita”. Così scriveva Oscar Wilde. Talvolta penso che veniamo al mondo soltanto per amare. Fin dagli inizi della nostra vita amiamo. Forse Amiamo Amiamo la mamma e il papà. Così si comincia ad amare. Crescendo si capisce che si può amare anche qualcun’altro, qualcuno che non sia un parente, qualcuno che mai si è visto prima, si può certamente amare qualcuno. Passato il primo decennio di vita si capisce quanto sia incontrollabile l’amore colle sue virtù e colle sue mancanze. Passato il secondo decennio talvolta l’amore viene confuso, sfruttato, si abusa nell’amore. Ma farà parte anche ciò del nostro amore. Dopo i 20 anni è tutta in discesa Amare. Solo amare. Ci vuole poco per innamorarsi, moltissimo per farsi amare. L’amore ti trasforma, ti traina, ti comanda. Mai qualcuno riuscirà a fermarlo. E’ nella natura dell’uomo amare. Spesso si ama per cercare la completezza nell’essere. Si ama un altra persona. Spesso non accade il contrario. Sempre ci sono ostacoli da saltare, da superare, da scavalcare. Sempre si deve sopportare, soffrire, penare. Un critico comico dice “E’ nella natura dell’uomo amare chi ti detesta e detestare chi ti ama”. Sembra una menzogna, una non può corrispondere alla realtà, tuttavia io penso che sia una non-bugia. [Si gira il foglio di bloc-notes]
Da questa frase si capisce quanto l’amore sia crudele. Si prende gioco di noi, ci umilia, ci fa felici ma sono sicuro che non si resta felici nell’amare un essere umano. Purtroppo l’amore è tutta la felicità che questo mondo ci può donare. Bisogna saper interpretare, L’unico amore sicuro di cui ti puoi sempre fidare è l’amore di se stessi. Sai che mai ti tradirai, mai ti potrai ingannare, non esiste la mancanza di fiducia. Tu e il resto. Tu. Pensa a te stesso che qualcuno prima o poi ti cercherà. E se non ti cercherà nessuno non ti sarai amato abbastanza. Mi viene spontaneo amare. Non amo per essere amato. Amo basta. Non so perché amo, ma so che non mi interessa. Amo. Amo il “mio” mondo, la mia vita forse amo anche qualche altro mondo. Il mondo degli altri. Pieno di incertezze, di pericoli. Ma è un mondo nuovo. Mai esplorato e pieno di ricchezze. Sempre si amerò. L’amore per se stessi è sicuro che dura tutta una vita, l’amore verso gli altri si spera. Purtroppo l’amore porterà anche odio. Odio e Amore camminano in braccetto. Sono come il sole e la luna. Mai insieme. Uno leva il posto all’altro. Da sempre funziona così. Mai amore e odio potranno incontrarsi insieme. Sono due sentimenti troppo forti per convivere insieme in una sola persona. Prima viene l’amore poi l’odio. Potrà accadere anche il contrario ma dovremo sempre ricordarci che al buio seguirà necessariamente la luce. C’è da esaltarsi nei periodi bui. La lu Un nato Così è l’amore. Dopo l’amore ci sarà l’odio a cui seguirà nuovamente l’amore. E’ un processo che dura da sempre. Non si può arrestare. Difatti Un noto proverbio siciliano afferma che l’amore è come un cetriolo: inizia dolce la prima parte è dolce, verso la fine è amaro. Godi del tuo stato ovunque tu sia. Se stai amando sei felice. Se stai odiando felice lo sarai. Forse è questo l’unico vantaggio nell’amore…


Adesso, mentre trascrivo il post.
Il muro, profezia numero uno.

Già che ci siamo in questo post inauguriamo la nuova rubrica BNG: Buona notizia del giorno.
BNG: ho richiesto in tribunale la visura del casellario giudiziale per via del visto. Risulto avere la fedina penale (e civica) pulita che, per chi mi conosce un poco, non è una cosa scontatissima.

Tributo a Diana

Questo post è un post cuscinetto. Ho finito di mangiare da poco e dovrei iniziare a studiare. Non ho voglia ed è allarmante dato che martedì ho un esame. Adesso che ho iniziato a scrivere dovrei decidermi al più presto cosa scrivere, prima che le cazzate divengano più numerose delle parole.
Ah ecco, il matrimonio del secolo. Nel 1997 quando morì Diana Spencer avevo sette anni. Ricordo un particolare. Avevo 7 anni, stavo sulla poltrona del nonno in campagna. Alla tv davano un documentario sulla vita di questa donna e io scoppiai a piangere. Non so cosa m’aveva colpito, non so cosa possa coinvolgere in tal modo un bimbetto di sette anni sette. Ma, e qui faccio una figura di merda, è ricapitato ieri notte. Durante la classica mezz’oretta di tv sotto le coperte prima del lungo sonno ci stava un documentario sulle nozze reali. Ricordano la madre dello sposo, e fanno vedere una scena di un concerto di Elton John. Questa:

Mi vengono i brividi, adesso e per continuare il racconto ieri notte. E inizio a singhiozzare ma riesco a fermarmi col freno a mano. Vedere la gente che si alza in piedi applaudendo, in un sincero e commosso sentimento comune, mi fa continuamente venire i brividi. Eppure non ho particolare feeling con gli inglesi, non conosco una e dicono una canzone di Elton John e nonostante da un paio di giorni cerco qualche documentario sulla vita di Diana non sono molto informato sulla sua vita.
Adesso il volto di quella donna mi ricorda determinate cose ma nel ’97 non so davvero cosa mi colpì. Sentirmi così coinvolto da cose talmente lontane dal mio mondo ho paura che sia una cosa stupida eppure appena avrò un po’ di tempo cercherò ancora quei documentari.
Questa storia m’ha dato da riflettere parecchio anche se fortunatamente non stanotte. Quante cose si potrebbero cambiare se ci fosse possibile ripercorrere le scelte all’incontrario e chissà se davvero ripercorrendole non si rischierebbe di fare ulteriori danni. Chissà se lei fosse ancora viva che mondo sarebbe. Che avrebbe detto riguardo gli attacchi in Libia, come avrebbe dato scalpore insultando la nuova moglie del suo ex-marito e quanto bene avrebbe ancora fatto per le persone meno fortunate.
Ma c’è quella bizzarra spiegazione che ci diamo per consolarci. Quando una persona è troppo, troppo per questo mondo, ecco che capita di morire. E il mondo se ne dispiace rivendicandone ancora la sua presenza. E si consola dicendo che era decisamente troppo per il mondo, che è giusto così.
Ecco che scopro che oltre ad essere ricco ricchissimo, vorrei che un giorno le persone si alzassero spontaneamente, iniziassero a battere le mani finché non brucino e desiderassero di essere me. Se poi riuscissi a far tutto questo senza morire sarebbe davvero figo. 
Adesso che ho messo un altro mattone sul mio palazzo dei sogni che ne dici, o lele, di andare a studiare? Ci può stare, ci può stare…

Vecchio post: “In diretta dal GS: Il desiderio di paternità”

A volte torno a leggere cose che avevo scritto anni fa. Questo post è stato scritto il 18 luglio del 2009. Quasi due anni fa dunque, e molte di queste cose sono ancora attualità. Tranne per come le ho scritte, mi sembrano stupende e scritte dieci volte meglio di come ho scritto gli interventi recenti. Di questo post mi piacciono i “colpi di testa”, quelle frasi messe lì che sembra non abbiano senso. Mi piace il ricordo del passato che sembra quasi attuale, dato che tutto ciò mi ricorda le speranze i sogni le sensazioni e le emozioni (tutturututu!!) di quell’estate lì. E poi mi piace la fine, se non l’avessi scritta io la metterei come frase personale su msn e su facebook e se avessi twitter anche su twitter.

Oggi sono uscito dallo studentato.Bene il post è finito.
…nono sarebbe troppo comodo…ho scritto due cazzate in croce, un pò misteriose un pò inutili, e poi potrei terminare con un “…trafitto da un raggio di sole ed..ehm..e..tutti a letto che è tardi”.…Diciamo che il post potrebbe essere giunto già alla fine.Ci sta l’effetto sorpresa, l’eccezionalità di un evento e l’ansia del finale aperto (sequel del tipo “Riuscirà il nostro eroe a ritrovare la strada di casa ?” oppure “Riuscirà a sconfiggere i mostri del mondo esterno?” ).Beh no invece continua.Ho consegnato dei libri in biblioteca, ben 4 libri di Fisica, ho saputo di essere stato multato per 24 giorni perchè ho tardato di ben 4 giorni la consegna. E’ giusto è giusto, quel libro avrebbe potuto salvare il destino di decine di studenti e non avevo nessun diritto di avere la Scienza tutta per me (risata diabolica).E così mi sono trovato nel parco di fronte al politecnico..ecco..avevo fame, ero fuori. La luce era così accecante, l’aria così rarefatta ed ero abituato alla gravità della Stanza dello spirito e del tempo (solo un paio di persone capiranno questo, il resto andrà oltre…ah non c’è un resto? beh perfetto!).Ma avevo fame, e mi son chiesto quando mai sarei riuscito dalla mia cara stanzetta, quando mai si sarebbe ripresentata questa occasione. Fortunatamente la risposta è stata elaborata velocemente. MAI. Avrei potuto aspettare molto, titubare tanto, restare fisso a guardare i piccioni per ore. Ma, fiùù, tutto ciò è stato scongiurato. Il GS mi attendeva.Mi avviai così verso sto famigerato GS, fonte di libagioni per orde di studenti affamati.Faccio la mia bella spesa di porcherie da mangiare prima d’iniziare a studiare, e procedo a passi lenti e decisi (il nostro eroe è determinato a liberare il GS dal male che lo avvolge) verso la cassa.Ecco ora la scelta della cassa è cruciale.La gente non ha capito nulla. Saremo andati sulla luna, saremo tornati dalla luna, sapremo saltare su un piede, cantare “Jingle Bell” e fare le capriole…ma non sappiamo scegliere con criterio e ponderatezza la cassa idonea.Non bisogna mai e poi mai scegliere la cassa con meno fila. ERRORE ERRORE ERRORE. Meno fila vuol dire che il Cassiere c’ha i coglioni che descrivono un moto circolare uniforme (n.d.r incazzato). Cassiere incazzato vuol dire che passerà la tua Bonnut tre volte, la tua misera cassa d’acqua misteriosamente (e lautamente) diventerà pari ad una riserva acquifera per l’intero Casalpusterlengo, e ti darà i sacchetti di plastica geneticamente modificati cosicché ti si “sbracano” il passo prima di inserire la chiave nella toppa con conseguente moto circolare uniformemente accelerato dei tuoi zibibbi. Si sa, i cassieri sono gente cattiva.Così scelsi la cassa con la fila più lunga, quella in cui c’è sempre la naughty cassiera, e iniziai a farmi i cazzi degli altri. Si sa la fila è lunga, il paesaggio è privo di amene attrattive (se trascuriamo il reparto ortofrutta), io sono cazzino (ma nel senso buono) e l’unica cosa interessante è il messaggio che sta scrivendo sull’iphone “cool” la tipa dark-emo-techno davanti a me. Dice che lascia il suo ragazzo perchè è troppo assillante. Dico che sono tutte (quasi) uguali, e dico che è una goduria leggere i messaggi. Soprattutto quando non sono i tuoi.
Davanti a me una lunga fila, la ragazza finì di scrivere il messaggio e nascose da occhi cazzini quell’iphone. Ero nuovamente senza far nulla, e le porcherie da mangiare prima d’iniziare a studiare si facevano pesanti (non avete idea quanto possano pesare i tuc col sale).Così delle urla di bambini attirarono la mia attenzione, in realtà poteva essere qualsiasi cosa in quell’istante..ma furono dei bambini.Due bambini, uno avrà avuto 3 anni l’altro circa 5. Un bambino, quello piccolo, nel vano portabambini del carrello, l’altro giù per terra. Entrambi col caschetto (la mia uniformità cromatica mi suggerisce che il colore dei loro capelli fosse biondo), entrambi con gli occhi chiari.Avranno preso molto dal padre, perchè la madre era lì che spingeva faticosamente il carrello, lì in fila davanti la ragazza dark-emo-techno-lascioilmioragazzoquindisonodepressa.Il bambino di 5 anni stava piagnucolando, implorava la madre di comprargli quei dolcetti che di solito stanno vicino alla casa affinchè scoppino lite inter-familiari (maledetti ovetti kinder).La madre di tutta risposta lo zittiva, quasi gentilmente, dicendo che “se avesse fatto il bravo invece di correre col fratellino per tutto il santuario (n.d.r GS) ora forse gl’avrebbe comprato il dolciume”.Il bambino più piccolo era distratto, c’era qualcosa che gli infastidiva il nasino. E così tentava di esorcizzare il fastidio prendendosi a pugni sul volto, finchè la madre sostituì quel metodo barbaro con un fazzolettino.Nel contempo il bambino più grande s’era già preso/aperto/mangiato un ovetto, e aveva messo i resti sul “tapirulan”. Non si può dire che non sia onesto.“Mamma, mamma…questo lo posso pagare io ? daidaidai!”“Buongiooorno, io pa…go.. con il bancoo..mà”E se ne ritorno a giocare col fratellino.La madre aveva concesso le richieste del figlio, gli aveva consegnato il bancomat e aveva suggerito di avvertire la cassiera di dover pagare con la carta.
Niente, non riesco a ricreare quella scena..Quello che voglio dire…è..tutti parlano di “voglia di maternità”, quasi che solo le donne provano amore per i figli (beh talvolta è così). Si so, che è troppo presto e che forse prima dovrei trovare la donna della vita con cui condividere quei momenti in un supermercato in giro per il mondo. E devo scegliere per bene, perchè la madre dei miei figli dovrà comprare l’ovetto kinder anche se i figli fanno i crash test col carrello, anche se si mettono le dita del naso in pubblico, anche se abbandonano il bancomà alla cassiera.Si so che è presto per pensarci, che in fondo devo ancora darmi Algebra e finire il primo anno. E poi il secondoterzoquartoquinto e poi trovare un posto di lavoro che garantisca milioni di ovetti kinder, e poi una casa che garantisca lo spazio per un milione di..ehm..nono..diciamo che 2 figli sono sufficienti.2+1, 2 maschietti con l’opzione su una terza…femminuccia.Li voglio col caschetto, come lo avevo io e come quei bambini del gs. Capelli neri e occhi chiari ( ma su questi non ti preoccupare, di solito il color degli occhi salta una generazione, prendono dai nonni ).Si so che è presto per pensarci, almeno per altri 10 anni dovrò guardare col sorriso queste scene al GS.Una volta una persona mi disse che sarei stato un buon padre. Io comprerò gli ovetti kinder, io gli spiegherò tutto le parole che non capisce alla tv, io gli farò guardare Lupin (o chi per lui) sacrificando il mio telegiornale del mezzogiorno, io dormirò scomodo perchè si corichi vicino la mammina nel lettone, io sentirò freddo d’inverno perchè lui ha caldo e sentirò caldo d’estate perchè lui ha freddo. Io gli farò mangiare le patatine untuose nella macchina nuova, e poi ogni venerdì lo porterò al cinema. Farò la guerra coi cuscini e gli racconterò storie noiose sulla mia vita. Io lo porterò sulla mia spalle a fine turno di lavoro, e gli lascerò il posto migliore per guardare la tv. Io gli permetterò di fare il bagno con noi, gli rimboccherò le coperte quando dorme e lo porterò nel suo letto, in braccio, quando farà finta di dormire.E io sarò geloso di mia moglie, che la mamma è sempre la mamma.Sarò due padri, che in fondo tocca a me recuperare ciò che è stato, ciò che non è stato.E così penserò a tutto ciò che farò, e aspetto qualche altre anno e aspetto che si presenti la madre giusta.Curioso sarà il corso degli eventi, impreviste saranno le coincidenze della vita. Non resta che aspettare.Aspetterò.(Chi di voi vorrebbe sostituire un vostro pensiero con questo mio ?)

Curioso sarà il corso degli eventi, impreviste saranno le coincidenze della vita. Non resta che aspettare.Aspetterò. 

Ancora il muro

I ricordi hanno sempre camminato al mio seguito ed ecco che torno a parlare del muro. Quello grosso, quello che avevo solo sedici anni, quello che avevo già sedici anni e potevo far tutto da solo. Quello che mi fa alzare ogni notte dal 2006 il 27 luglio alle 04:27 soltanto per far uno squillo. Non sono quel tipo di colla che va via con l’acqua, non mi stacco col tempo.
Quel muro è soltanto frutto del mio egoismo. Della mia giovinezza e della mia innocente stupidità. Questo muro mi ha sbattuto come un calzino girato al contrario in una centrifuga, mi ha rivoltato come si fa con la testa dei polpi. Questo muro l’ho fatto per me, per dimenticare. C’è chi si ubriaca e chi va a pagarsi una massaggiatrice cinese. Io ho deciso di commettere il delitto p. e p. degli artt. 81 e 639 1° e 2° co c.p. Questo muro l’ho fatto per sfidare me stesso, era la cosa più grande che pensavo potessi fare. L’obiettivo con cui ogni giorno mi svegliavo in piena notte per farlo era già fallito prima di entrare nel negozio delle vernici. Ma questo muro era un discorso solo con me. Era amore, ma per me. E mi ha fatto male alla fine, come l’amore del resto. Come il cetriolo, comincia dolce e finisce amaro.
Questo muro mi ha fatto litigare con le persone, mi ha fatto capire il vero valore di alcune di esse e mi ha fatto capire che a un certo punto bisogna prendersi le dovute responsabilità. Ho fatto cose che nessuno mai si sognerebbe fare, di alcune me ne vergogno. Ad ogni modo ho fatto esperienze che pochi hanno fatto, e alcune lo ammetto, sono state anche eccessive. Di quei giorni ho conservato la maglietta che indossavo, i bermuda che indossavo. Sono le pasticche dei ricordi, quelle cose materiali che da sole sono tutto quello che il muro significa. Questo muro non è servito a nessuno, solo a me. L’obiettivo come dicevo era già svanito, e poi non è stato neanche osservato bene. Giusto una sera gli ho dato giustizia, costringendolo a guardarla negli occhi. Questo è il muro che vado a trovare ogni volta che torno in Sicilia, scendo lì sotto, mi siedo lì e penso a cosa è successo da quel luglio. E ogni volta ci sono nuove storie da raccontargli.
Il mio muro adesso è un po’ sbiadito. Proprio come i ricordi, sbiadiscono. Il tempo o qualcun’altro gli fa questo effetto. Ho paura di scordare le cose belle, ma a differenza del cetriolo i ricordi bisogna prenderli tutti. Non si può decidere semplicemente di tagliare il culo, di togliere la parte amara. E così corro il rischio. A volte finisce male e bisogna mangiare anche la parte amara.
Anche se è sbiadito però io non l’ho scordato, rappresenta tanto per me. Non so se è una cosa di cui andar fiero o una cosa da nascondere. Anche il muro, ancora lui, fa parte di me e delle mia descrizione. Gioele, riccio, con la barbetta, ingegneria informatica e una volta ha “fatto” il muro. E questo post è ancora un altro post dedicato al mio muro, che dopotutto se non risulta essere chiaro, resta comunque il mio muro.

“Come voi avete occhi per vedere la luce, e orecchie per sentire i suoni, così avete un cuore per percepire il tempo. E tutto il tempo che il cuore non percepisce è perduto, come i colori dell’arcobaleno per un cieco o il canto dell’usignolo per un sordo”
[Michael Ende]

Compito per casa: leggere e capire

Io i miei ricordi li ho conservati. Sono dentro una carpetta blu nel primo cassetto dell’unico comodino di cui dispongo, sono dentro la cantina di Sergio, un po’ sono appesi al muro ma sono veramente pochi. Ne ho alcuni in una scatola sopra l’armadio, dentro un cartone riparato con della carta gommata. I miei ricordi ho cercato di intrappolarli come ho potuto. Non voglio che scappano via, non voglio dimenticarli ma adesso averli sotto gli occhi è pericoloso. E non so se fra sei anni andranno via dai miei comodini, non so se è come dice Khadir. Ieri mi ha detto che when you break-up you break-up. Logicamente ineccepibile, attualmente irrealizzabile. Gli ho detto che è semplice a dire e difficile a fare. E lui come on man, you are 20. cooome on! e mi ha offerto della vodka con un succo di frutta rosso.
A volte riesco a pensare ai miei ricordi, a riderne, a parlarne. Ma è pericoloso, sento che una sola parola potrebbe essere eccessiva. Per questo parlo io, perché posso decidere quando fermarmi.
E’ tutto intrappolato, per adesso non devono andar via non devono farsi vedere. Sono come l’olio buono: al buio; sono come i vini pregiati: potrebbero diventare aceto se lasciati sparsi senza criterio. Non voglio rovinare il vino pregiato e ad ogni modo non metterò più un contratto quasi importantissimo nella carpetta dei ricordi, quel giorno è stato un brutto giorno.
Ecco, è come un libro. Si gira una pagina, se ne girano due. Poi si cambia paragrafo e poi anche capitolo. Ma quanto è stato scritto prima, anche nella pagina numero uno, niente viene dimenticato. E non posso leggere la fine se non ho letto tutte le pagine. Lette e capite, lo giuro.

Cuore di cane

“Ho appena finito di dare sepoltura alle spoglie mortali di Bach, deceduto nel primo pomeriggio”

(Ho ascoltato queste canzoni mentre scrivevo, fatelo anche voi se potete). 
Ultimamente è come se aspettassi sempre un messaggio, così scatto sull’attenti ogni volta che suona il cellulare. Spesso è la Tim, e a volte è pubblicità. Oggi è stato questo messaggio inviatomi da mio padre. Ovviamente non è piacevole ritrovarsi a leggere tale notizia sperando che sia una persona x, credendo più realisticamente che sia la tim e ritrovandoti invece a leggere ciò. Faccio qualche passo indietro nel tempo.
Quand’ero piccolo, cinque sei anni non di più, tornavo ogni giorno a casa sognando di trovare una sorpresa: o una scrivania nuova, o un cagnolino. Abitavamo in campagna, la nostra casa poteva con un po’ di immaginazione sembrare un villino, c’era un orto dietro e una specie di giardino davanti casa. Un cane non era un sogno illegittimo, ma non so perché, non ne ho mai avuto uno. O meglio, ne avevamo, ma nella casa dei nonni, casa che in realtà era una fattoria dove i cani erano gli animali più “umani” del posto. Ma in casa nostra non c’erano cani: per questo un giorno comprerò quel villino, diventerà una villa anche senza la mia fervida immaginazione e comprerò a mio figlio un cane. Anche se è allergico!
Un giorno tornai da scuola, mi riaccompagnava a casa il padre di una mia amica. Tornai e mamma o papà mi dissero di andare fuori, che c’era una sorpresa. Poteva essere o un cane o una scrivania, nient’altro. Essere dei bambini è la cosa più grandiosa della nostra vita. Erano due cani. Piccoli, tremanti, impauriti. 
La loro è una storia misteriosa, e io non so perché, ma non c’ho mai creduto fino in fondo. Dice che siano stati trovati nell’immondizia, dice che erano due fratelli e che siano stati salvati col mio sciroppo scaduto: il panacef.
Uno era nero, l’altro marroncino. Erano due bastardi, ma io non ho mai avuto cani di razza. Ed è per questo che ho sempre apprezzato la bontà degli animali, non la loro discendenza nobile. In fondo con le persone è lo stesso, o quasi almeno. Il nero si chiamò Bach, come il musicista. Il marroncino invece prese il nome di Brown, per via del suo colore. Bach&Brown. Bach era il più serio, Brown era il giocherellone. La favola durò poco, dopo qualche settimana andarono in campagna dalla casa dei nonni. Ma ero felice lo stesso. I bimbi sono sempre felici, lo stesso. I cani crescevano, io crescevo e tutto sembrava una storia di quelle che mi leggevano la sera.
Erano uno geloso dell’altro e questo faceva sì che o si giocava con loro allo stesso momento o toccava ignorarli per non scatenare le loro gelosie. Un giorno il nonno picchio Brown, ma la colpa era di Bach. Io piansi, non era stato giusto. Ma ero io a piangere e Brown dopo qualche ora era tornato a girare intorno alle mucche ‘nto baddgiu. C’è chi non ama cani, e io stesso non ne pretendo uno a tutti i costi. Ma ci sono alcune cose che potrebbero spiegarci se solo ci fidassimo di loro.Dopo qualche anno Brown morì. Fu avvelenato, così mi dissero. Mangiò una polpetta di quelle che si preparano per le volpi. Ricordo ch’ero triste, ma non dispiaciuto come lo sono adesso. E sono dieci anni più grande, e vivo a Milano e invece di scrivere a quest’ora della notte dovrei essere già a dormire che domani è giorno di studio.
Sapere che vicino i campi era pieno di polpette avvelenate mi rendeva sicuro che Bach era veramente un cane intelligente, che Brown poveretto non aveva seguito il consiglio del suo fratello maggiore.
Un giorno vidi persino Bach abbaiare dietro una mucca che stava allontanandosi troppo, Bach è sempre stato un cane libero. Sciolto. Non correva mai dietro le galline, non abbaiava ai gatti se non quando i suoi obblighi da cagno non glielo obbligasse strettamente.
E’ sempre stato pulcioso per via del suo pelo folto e non curato. Lui è un cane libero, nessuna spazzola né medicinale contro le zecche. Era uno di quei cani che si grattavano con la zampa, ed è come se niente fosse.
Spesso si faceva trovare con qualcosa in bocca che posava ai nostri piedi quando arrivavamo, dice che fosse un segno di riconoscenza. Non importa se era un pezzo di legno, o un pezzo di sterco di vacca indurito. L’ho sempre accettato prendendolo dalla sua bocca, lui è sempre stato la mia sorpresa di quando avevo sei anni.
Adesso in questa notte in cui sono appena scoppiato a piangere da solo mi accorgo che certe cose non assumano la loro reale importanza fintanto che restano con  noi. E’ un destino strano, ma si piange sempre per le cose che non potranno più tornare indietro. Quando scendono le lacrime è già troppo tardi. Ricordo l’ultima volta che l’ho visto come ricordo te quel giorno in aeroporto. Lui era diventato sordo per via della vecchiaia, tu mi salutavi da lontano agitando la mano e scomparendo dietro il gate8: in entrambi i casi niente sarà come prima, sono obbligato a crescere ancora, non ti vedrò più con quegli occhi innocenti di quand’eri qua. I tuoi occhi, i tuoi occhi marrone chiaro. Chi altri mai li ha guardati così da vicino, così pieni di amore?


Da qualche mese c’è un nuovo cane in campagna, che prenderà il suo posto nella fattoria. Anche di lui eri geloso, Bach, lui che aveva appena qualche giorno di vita. Riuscivi appena a reggerti in piedi, ti spostavi solo per mangiare. Ma venivi accanto a noi quando giocavamo col piccolo Tex. Adesso le lacrime sono arrivate al naso e ho il sospetto che non piango solo per te. Voglio che tutto torni come prima e tutto come prima non può tornare. E per questo piango, perché non posso far altro che ricordare.
Sei morto che avevi quasi sedici anni, o forse quindici. E’ tantissimo per il tuo essere cane. E’ bellissimo immaginare che tu sei sempre rimasto il solito cane, e io ch’ero un bambino innocente sono diventato prima un adolescente e ora quasi un uomo. E tu hai sempre fatto le solite cose, vissuto sempre gli stessi luoghi. Chissà se i tuoi occhi mi hanno visto crescere, cambiare. Chissà se hai visto i miei momenti di sconforto e li hai distinti dai momenti di allegria. Quest’estate nei campi venivi spesso. Io ero triste, passavo i giorni più difficili dell’ultimo anno e tu eri semplicemente lì. Ti rigiravi intorno due tre volte e poi ti sedevi. Chissà se i cani soffrono le pene d’amore, se piangono quando muoiono i loro simili, chissà se vogliono essere cremati o sepolti. Chissà.
Pensiamo di essere noi a decidere per loro, pensiamo tante cose riguardo i cani. 
L’ultimo ricordo che ho di te è disteso lungo la strada che conduce fuori dalla campagna. Non avevi sentito la macchina, Matti mi ha ricordato che non sentivi e ho rallentato. Mi sono quasi fermato, ti ho guardato e finalmente m’hai visto. Volevi che sapessi che stessi andando via, non dovevi cercarmi mentre io non c’ero più. Ogni volta che andavo via da campagna, negli ultimi tempi, sapevo che poteva essere l’ultima volta. Ma non avrei mai immaginato che io, Lele, che crede poco in dio, che erano mesi che non frignavo, che non vedo l’ora di lasciare l’Italia, io non mi sarei mai immaginato che adesso avrei pianto -nuovamente- per te, Bach. 
Non ti scorderò, non scorderò quel giorno in cui ti conobbi la prima volta. Quant’ero felice quel giorno e quanto sarò felice fantasticando su come potrai conoscere queste mie parole per te. Fra un paio di settimane tornerò a casa e verrò da te e ti porterò io un legnetto, se me lo permetti. Grazie Bach, grazie di avermi fatto uscire queste lacrime che ora si sono fermate. Era tanto che erano chiuse qua dentro, ancora una volta sei stato una sorpresa per me. Abbaiare e mordere. E per le pulci basta una grattata, che non c’è niente che possa farci dimenticare quanto sia meravigliosa la nostra stupenda vita da cani.

Al mio Bach, Lele.

« 
Dall’altra parte della strada sbatté la porta di un negozio vivamente illuminato, e ne uscì un cittadino: “Beh, si: si tratta proprio di un cittadino, non certo di un compagno; anzi, questo qui è addirittura un signore. E non che giudichi dal cappotto -non sono così sciocco-. Oggi il cappotto ce l’hanno anche i proletari, o molti di loro. […] Ma gli occhi: lì non si sbaglia, sia che li guardi da vicino che da lontano. Eh, sì, sono assai importanti gli occhi, sono una specie di barometro. Ci vedi quello dal cuore duro, che può schiaffarti la punta dello stivale nelle costole, senza nessun motivo; e ci vedi quello che ha paura di tutto e di tutti. Ecco, proprio un lacchè come questo tipo qui mi divertirebbe prendere a morsi nelle caviglie –
Hai fifa, eh? Se ce l’hai vuol dire che te la meriti… 
Tiè… grr… rrr… bau, bau!-“
                         »
(Michail Afanas’evič Bulgakov, Cuore di cane, Capitolo I)

Fino alla fine della strada

Quando non c’ho tempo, come in questi giorni, di scrivere post su post penso ai post che potrei scrivere. Come detto più volte le cose migliori ti vengono in mente nei momenti più inaspettati. Ad esempio salire le scale(salire regge l’accusativo o è un sicilianismo?), non so bene il perché, è un momento molto prolifico per le mie opinioni. E poi in ordine sparso, mentre mi lavo la faccia quando inizio ad assopirmi quando faccio finta di far shopping.
E allora dopo la teoria del budino, le premonizioni del mio muro ho pensato che sarebbe un bello amarcord ritornare a parlare ancora una volta del muro, quello vero.
Il Muro è una cosa così importante che esiste un prima del muro e un dopo muro. Ci sarà un prima del Canada e un dopo Canada. E mille altri prima e dopo che segmentano la mia vita. Ma il muro segna il passaggio all’età quasi adulta, l’inizio della fase occhi cattivi e muso lungo e la fine della fase le femmine sono tutte buttane. Le femmine, infatti, sono tutte molto più puttane more&more. Poi anche quella fase è passata ma c’è voluto un pò, c’è voluto una cosa importante. Così adesso c’è anche un altre fase prima e dopo. Ma queste sono altre storie. Story of my life.
Duli dice che il mio vezzo a raccontare storie l’abbia preso da mio nonno. Macchè io mi sto esercitando per quando sono papà, che poi dirò a mio figlio cose del genere “…io alla tua età già[cosa a caso anche finta]!”.
Sergio invece, fra i nostri discorsi mentre copiamo noiose tabelle (che rappresenteranno -si spera per lei- il futuro di tutta la vita della Duli suddetta), dice che siamo uomini profondi. Nel senso che di maschi come noi sono rari, e lui pensa di essere il principe azzurro di qualcunA. La bestia del mio amico è il quasi principe azzurro di una donna che ha gli occhi chiari, i capelli rossi, una tenuta coi cavalli e una barca a vela. Io non l’ho vista ancora di persona quindi non posso ancora dire se è bella anche se so già che ha i capelli rossi. Dato che non l’ho ancora vista Sergio non è ancora del tutto il suo principino, avete presente che casino che sarebbe uscire con la zita e gli amici che odiano la zita? Ecco…
Io intanto ho l’umore che si sta facendo un giro su una sinusoide avente un periodo p brevissimo (una onda che va su e giù tantissime volte in un breve periodo di tempo, in non-ingegnerese). Ieri ho avuto uno scatto d’ira ma ho giusto spezzato un paio di fogli (sapete che in inglese “foglio di merda” si pronuncia scit sciit?) e non ho distrutto nessun orologio. La cosa è meno grave ma mica troppo, ma comunque ammetto di essermi sentito meglio dopo. Oggi invece è tutto il giorno che corro. Per i corridoi, per andare da Duli, per prendermi i biscotti a cui tolgo la muffa ma che sono buoni lo stesso. Salto sulla scrivania e canto una canzone di Antonacci. E m’è preso di pensare a quella frase di un film arcinoto:

Quel giorno, non so proprio perché decisi di andare a correre un po’, perciò corsi fino alla fine della strada, e una volta lì pensai di correre fino la fine della città, e una volta lì pensai di correre attraverso la contea di Greenbow. Poi mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui tanto vale correre attraverso il bellissimo stato dell’ Alabama, e cosi feci. Corsi attraverso tutta l’Alabama, e non so perché continuai ad andare. Corsi fino all’oceano e, una volta lì mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui tanto vale girarmi e continuare a correre. Quando arrivai a un altro oceano, mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui, tanto vale girarmi di nuovo e continuare a correre; quando ero stanco dormivo, quando avevo fame mangiavo, quando dovevo fare… insomma, la facevo! 

Pare che abbiamo oltrepassato in un modo impeccabile la curva cieca del nostro destino. Sembravamo Rossi in quel sorpasso mozzafiato all’ultima curva su Lorenzo, solo che nel fare tutto questo eravamo in una sala operatoria. Adesso aldilà della curva compare una salita, una lunga salita. Si vede la fine e allora sembrerà tutto più facile. Le cose più difficili da fare sono quelle di cui non si capisce il senso, ma in fin dei conti è come risolvere un tema d’esame senza guardare le soluzioni. Poi le guardi ed è tutto banale, ma prima erano tutte banane.
Ho disattivato la You&me. A quanto pare non è servita, dovrebbe essere una bella notizia. Ma è una di quelle curve cieche che non capisco dove mi porteranno, Sergio dice che “…aspettare e finire l’esercizio intanto!” potrebbe essere una buona idea.
Il primo esame è andato abbastanza male, e questo è un bene. Io c’ho un modo tutto mio di motivarmi. Mi faccio sentire una merda e poi mi sfido a dimostrare il contrario. Non so bene come funziona questo gioco delle parti ma alla fine della fiera non ho ancora capito se sono ‘na mezzasega molto motivata o un quasi-genio  senza autostima. L’importante è correre, fino alla fine della strada.

Il ritorno del muro – parte tre

Ci vogliono quasi tre anni per fare tutto ciò, e i ricordi che si accumulano nei momenti passati potrebbero fare del  male nei giorni del presente. Ma io sono lele. Devo ricominciare a prendermi i miei ricordi, che questi anni milanesi sono stati i più intensi. E’ da due anni che ho un muro che mi tiene compagnia; quest’anno non era ancora tornato al suo legittimo posto per paura che potesse fare anche del male.In questo muro c’è la mia prima dichiarazione, i miei pensieri e tutto quello che stravolge la quotidianità dei giorni. Ma c’è una frase che sembra una profezia che m’è balzato all’occhio quasi trafiggendolo.

Resterò solo fin quando non avrò capito a pieno ciò che io ho

Ricomincio da qui.

Quello sulla testa del letto è un muro ingegneristico. Ci sono scritti tutti i conti fatti nel corso dello scorso anno, è fantastico ritrovarci conti di probabilità misti a un disegno di un mos. E poi reti di Petri insieme a come funziona uno stack, che anni meravigliosi cazzo!
Potete trovare lo stesso muro in un altro post. Ve lo segnalo.
http://gas12n.blogspot.com/2009/07/e-finito-e-tutto-finito.html
Dicevo ch’era tutto finito, che cosa ne potevo sapere povero me. Lo faccio ancora, è tutto finito! Finitissimo.

[Il post continua nel privè]

Latin Lover – parte 2 (pure lui)

Premessa: quando vedevo i video su youtube ero veloce a dire che fosse una cosa facile. Domandatelo al mio gluteo xs, quant’è facile restare in piedi su uno snowboard e vi farà una pernacchia. Ma posso capire che la parabola sia un format di gesù cristo, e che le mie metafore possono essere troppo sottili perchè si capiscano subito. Vorrei essere però presente quando è evidente che avevo ragione. L’equilibrista ce lo insegna attimo per attimo.

[Adesso possiamo proseguire col secondo capitolo. Il primo lo si può leggere qui: http://gas12n.blogspot.com/2010/11/latin-lover-parte-1-torna-laltro.html]

Ho voluto bene a troppe persone nella mia vita. Più di quanto loro abbiano voluto bene a me, e questa non è che una mia colpa. A più di quelle che han voluto bene, e anche questa è una mia colpa. Ma ognuna di queste mi ha insegnato qualcosa e se ragiono con uno spirito egoistico (alzi la mano chi non lo fa) voglio voler bene ancora a un qualche migliaio di persone. Due migliaia, che tanto è tutto gratis.
Capitò che mi piaceva una certa ragazza, si chiamava Nicol. Non ho mai scoperto se ci volesse la e alla fine del suo nome o no, ma per il resto sapevo praticamente tutto di lei (indirizzo della casa in città e di quella a mare, numero di telefono, targa della macchina dello zio e del padre, mestiere della madre, gli orari dei bus che prendeva e i nomi delle amiche preferite). E lei non sapeva niente di me, praticamente neanche la mia esistenza gli era nota. Fu questo il problema, bisogna che ci sia un interesse reciproco perchè si finisca a soffrire entrambi. Così dopo qualche ricarica al cellulare e qualche messaggio struggente mi ritrovai a piagnucolare da solo. Quantomeno lei era un pò spensierata, e allora mi venne molto facile etichettarla come una puttana. Quando riesci a chiamare una donna puttana o sei molto arrabbiato (ma molto moltissimo) o ti fa schifo sinceramente. Via Roma 13, ricordo ancora dove abita ma per il resto ho dimenticato tutto di lei: anche perchè mi piaceva, ma almeno so ancora che è ancora una puttanella…
Ero ancora assettato, volevo ancora imparare qualcosa. No in realtà non sapevo che fare, o forse ritenevo sprecate le mie risorse se le avessi spese in birra, serate in discoteca e sigarette. Come la quasi totalità dei miei illustri coetanei fanno beatamente.
E fu così che arrivò questa donzella bionda. Occhi chiari e pelle chiara. E studiavo Guinizzelli e Cavalcanti in quei giorni. Come potevo ignorarla? Erano gli stilnovisti che m’avevano inculcato questa idea di bellezza, e io c’avevo l’esempio lì davanti (in realtà era nel banco dietro a me). Lo feci per la scienza. Non è colpa mia se nelle ore di italiano io stavo con la schiena verso la lavagna col collo torciuto (battuta) all’indietro e adesso sbaglio tutti i congiuntivi.
Cominciai a sapere tutto di lei, e questa volta avevo capito cosa doveva accadere: anche lei doveva sapere qualcosa di me. La inondai di informazioni, sai io abito qua e qua, ah guarda bella, questo è il mio numero…non ti interessa poi così tanto, dai prendilo magari un giorno ti si ferma il motorino e hai bisogno di me. Ah scordavo…a me il caffè la mattina fa acidità, però il caffèlatte mi piace. E non metterci lo zucchero sul pomodoro della pasta che mi fa schifo.
La tipa bionda disse che non voleva impegnarsi, che mi voleva bene ma che non era pronta per una cosa seria. Prima però volle essere corteggiata per mesi (puttana). Io però preferivo la compagnia di Peppe e della playstation per svagarmi, niente salsiccia lungo il corridoio per usare un modo di dire.
Avevo studiato bene però: il mito della donna-angelo che ferisce ma deve essere comunque assecondata era la parte che avevo capito meglio. Feci di tutto per farle capire le mie intenzioni serissime, e se adesso le rose blu sono appassite vorrei quantomeno indietro quel ciondolo della Kris. Andavo a letto convinto d’essere nato nell’epoca sbagliata, nel mondo sbagliato; e comunque ogni giorno che passava mi faceva capire che ero io quello che sbagliavo. Restava da capire cosa, e questo è un mistero su cui ancora stiamo lavorando.
Ma in fondo cosa ci sarebbe stato di male, valeva la pena provare l’ultima cosa: e andai a comprare della vernice blu, perchè nera non l’avevano. Io ancora non mi capacito, ma sì pare che l’abbia fatto davvero. Parlo dell’estate duemilaessei, e se non avete capito a cosa mi riferisco è inutile che rileggete su: non c’è scritto. Capì anch’io come funzionava: pure quest’altra era una buttana! E allora pensai, ma vuoi vedere che sono tutte buttane…per forza tutte buttane devono essere, non ci può essere spiegazione più convincente. Certo, c’è da considerare che se dovessi continuare col racconto delle altre femmine passatemi davanti nessuno potrebbe biasimarmi se allora pensavo che di fimmini dgiuriziusi non ce n’è poi tante!

Io mi descrivo come una pagina di un atlante, quella pagina dove sono separate le varie ere che si sono succedute fino ai giorni nostri. Le mie ere. Una era finisce intorno agli 8 anni, e quella è n’altra cosa che con questo post non ci ficca (tecnicismo) proprio niente. Poi ne inizia un’altra che dura fino all’estate del duemilaesei, e da qui ne segue un’altrancora che termina un annetto fa. E oggi tocca ricominciare una nuova era, chissà cosa mi aspetta.
E’ sempre così difficile iniziare una nuova era: si ricorda tutto di quella precedente che s’è dovuto abbandonare e non si sa nulla di quel che accadrà. E quale sarà l’evento che terminerà questo nuovo periodo.
Ma mentre si pensa a tutto questo si fa tardi, ci si ritrova già immersi fino al collo di merda, carte da sbrigare e viaggi da affrontare. Che tanto faccio spallucce, in fin dei conti non si finisce mai di imparare…
Minchiate.

A volte ritornano – Amarcord

Direttamente dal diario di mia madre sulla mia infanzia:

14 Agosto 1996:


…ti sei ricordato che papà ti aveva promesso che potevi farti il giro in bici nella strada di Busita. io t’ho fatto scendere e subito dopo una vigorosa pedalata…al solito sei sempre “furioso”..è iniziata una discesa, non sei riuscito a controllare la bici e dopo poco sei caduto a capofitto, ho sterzato subito a sinistra e t’ho preso per portarti in ospedale, dove ti hanno dato due punti al sopracciglio sinistro e ho visto che ti sei ridotto la faccia malissimo..”
[…]

“Dopo 48 ore ti abbiamo fatto la T.A.C e abbiamo visto che tutto andava bene.
Tu dopo hai fatto il primo giro in bici


Oggi: sono a casa, beh sono da solo. mamma è al lavoro e mio fratello è ancora uno studente “di quelli forzati”. Ho la musica forte, che la sente tutto il palazzo e oltre. fra meno di una settimana ritorno a milano, dovrò fare la strada inversa e non sono tanto sicuro che adesso i cata-siciliani siano disposti a spingersi per oltrepassare quel gate. del resto anch’io tenterò di prolungare il più possibile la mia permanenza al di qua, io su quel coso pilotato da Caronte nun ci voglio proprio andare.
Beh dai iniziamo, vi devo raccontare di come sono arrivato ad oggi, ad essere quello che sono: sicuro ho sbattuto molte volte la testa.
Beh si, dopo esser nato, aver tentato di sfondare ogni cosa che si intromettesse tra me e i cassetti della cucina pieni di oggetti tanto inutili quanto buoni d’assaggiare..ecco sono cresciuto. Beh cresciuto è una parola un pochino grossa, diciamo che mi son nati i dentini e tante nuovi pensieri per conquistare il mondo: ecco ora se trascuriamo i denti del giudizio (che chissà per quale misterioso motivo tardano a nascere), solo i dentini si sono “realizzati”.

Il primo incidente che ricordo è stato il più stupido, ma che m’ha procurato un 2/3 punti di sutura dietro nella nuca: sotto il tavolo di calcestruzzo m’era caduta na biglia, mi chino la prendo m’alzo sbatto piango. e così adesso, ogni volta che voglio tagliarmi i capelli corti devo raccomandare al barbiere di nascondere quella cicatrice, beh si sulle cicatrici non ricrescono più i capelli.
Altro incidente insanguinato: m’avevano regalato il super liquidatore nuovo, beh non datemi mai una cosa che spruzza acqua nelle mani ( niente riferimenti eh ), dopo mio fratello e mio padre toccava a mia madre: ma ho calcolato male le distanze e sono finito dritto dritto nel cancello ferrato: e così c’ho na cicatrice pure sulla tempia e anche lì devo stare attento dal barbiere: 3 punti di sutura e siamo a 6. promemoria: buttare acqua addosso alla gente può arrecare seri danni alla salute. buon risultato ma è ancora poco. possiamo migliorare.
Casa di mia nonna, ero più piccolino. meno di 6 anni. na volta sbatto sulla spalliera di una sedia, 2 punti al naso. quella volta non lo ricordo.
Sempre da mia nonna, questo è uno dei più significativi…
preparo con cura la scenografia, un cuscino a terra e uno fra le mani: mi metto sul divano, m’alzo prendo la mira e mi butto di testa. dovevo prendere il cuscino…e se non l’avessi preso avevo quello nelle mani..beh..adesso so che sotto il mento non mi cresce più la barba. e che l’attrazione gravitazionale è più giusta di quanto pensassi. e altri 2 punti s’aggiungono alla mia collezione. 8 punti. sto migliorando sempre più.
Ancora più piccolo, avrò avuto 4 anni. Veglia di pasqua: io dico..ma perchè cavolo torturare i bambini e portarli in una chiesa dove tutti hanno sonno, anche il prete ne ha, se poi puoi andare in momenti più tranquilli dal prete e chiedere “scusascusascusa ho dimenticato di santificare le feste, e chiedo perdono anche per gli altri peccati già che sono qua. grazie.cià” ? bah, io dovevo andarci e dovevo pure impegnarmi: dovevo pur far capire a mia madre che non volevo stare lì. Vi siete mai chiesti perchè i bambini quando li portati in chiesa piangono a dirotto ? beh cazzo non è che le presentazioni d’apertura fra bebè-sacerdote siano delle migliori.. “senti bello mio, tu ora entri a far parte della nostra cricca, ma prima ti devo buttare un pò d’acqua qua e qua e qua. “
partiamo dal presupposto che nessuno m’ha chiesto se volevo essere lì e se volevo entrare a far parte di partiti,associazioni e fan club.. poi ok..mi devi buttare anche l’acqua sulla testa..almeno abbi il buon senso di accendere lo scaldabagno no ? e poi che cazzo mi fai i flash in faccia che sto dormendo…e mamma e papà che cazzo c’hanno da essere felici ? bah…
si ecco, così è capitato che quando s’è finita quella messa siamo tornati a casa e io ero felice, d’esser tornato a casa. pensavo pure fosse mattina data la lunga e santa runfata. Così mi sono messo a saltare sul lettone (saltare sul lettone è una delle gioie della vita che mai dovrebbero esser private ai bambini), e saltachetisaltasaltapiùinalto son caduto. ma non per terra, banale. con la fronte sulla sponda del letto. cazzo che male..stavolta nessun punto di sutura, solo qualche cerotto traente. adesso in piena fronte ho un taglio neanche tanto orizzontale che mi ricorda che anche le cose più belle possono far male a volte. ( beh in realtà mi ricorda anche che devo migliorare la mia tecnica di salto sul lettone ).
Beh arriviamo all’ultima, che poi sarebbe la prima per coefficiente di avvicinamento alla morte. mia madre credo che lo ricordi tutt’ora quell’attimo. si mi riferisco all’incidente descritto nel mio/suo diario…io ricordo che dopo il patatrack lei scese dall’auto e mi alzò da terra e mi urlò: “riesci a star in piedi dieci secondi..prendo le scarpe ( ch’erano disperse sull’asfalto ) e metto di lato la bici (ch’era spalmata sull’asfalto) ok??”
io annuì, lei mi lasciò e io precipitai al suolo. lei mi riprese, corsa all’ospedale e due punti di sutura al sopracciglio: ora ho un sopracciglio leggermente storto e il ricordo che il freno davanti NON si deve usare neanche nelle emergenze. e non si deve correre troppo coi pedali se sotto il culo non c’hai almeno una cosa che abbia 26” di diametro.
In realtà ho capito che talvolta è meglio non frenarsi, che se magari non frenavo non cadevo. che prima di gettarsi a capofitto in un sogno, beh è meglio calcolare bene le distanze (non per niente mi sono iscritto ad ingegneria -LL). che anche troppa felicità fa male, così come troppa cocacola o troppa cioccolata..o saltare troppo in alto sul lettone!
…che non conta quanto sangue ti manca in circolo, quanto forte sia stata la botta, se c’avevi ragione o torto, se è colpa del tavolino troppo basso o del cuscino troppo piccolo..
48 ore sono un tempo sufficiente per rifarti un giro in bici: che t’abbia tradito o meno poco importa.

Latin Lover – parte 1 (torna l’altro)

La prima volta che ho avuto conferma del fatto che mi piacciono le donne credo sia stata all’asilo. Mi piaceva una, cioè io le piacevo: le ragazze – si sa – sono sempre qualche passo avanti agli uomini. Io ancora stavo cercando di costruirmi una casa sull’albero, volevo fare le sgommate col mio trattore di plastica e cercavo di capire cosa ci fosse di così interessante sotto un automobile che giustificasse tutto quel tempo trascorso da mio padre lassotto. Insomma questa mi sa che un giorno mi disse ciao quando stava andando via, e io pensai che forse non sarebbe stata male come mia ragazza. Poi il giorno dopo giocò con me ad acchiapparello, e quello era un preciso segnale – almeno così pensavo – del fatto che io le piacessi da morire. Così mi fidanzai con lei, ma poi, dopo qualche giorno, me ne scordai. Allora sì che ero allegro e spensierato, hakuna matata!
Poi alle medie voci di corridoio mi dissero che quella stessa ragazza si stava rifacendo avanti, ma non mi ha mai detto ciao nè ha iniziato a scappare pianificando che io la rincorressi.
Poi in primina arrivò Federica. Non ricordo il cognome, nè com’era fatta. Piaceva anche a Federico, ma io ero in vantaggio. Su tutti gli altri maschi. Già questo bastava, quella doveva essere mia. Non credo sia una questione di ormoni, passavo ancora il mio tempo sugli alberi e sotto le macchine. E’ sopravvivenza, affermazione di sè nel branco. Diventammo fidanzati: e questa volta lo sapeva anche lei. Fu veramente bello. Il Pensare di essere fidanzati anche a cinque anni distribuisce nel sangue una immensa carica di ottimismo e voglia di vivere. L’episodio che ho stampato nella memoria è una gran sudata, nella pizzeria dello zio. Era il compleanno di qualcuno, forse proprio il suo. Non ricordo esattamente il perchè ma iniziammo a rincorrerci intorno ai tavoli, non c’era poi così tanta gente. La pizzeria dello zio la conoscevo bene, e così riuscivo a essere sempre davanti a Federico, che d’accettare la sconfitta in amore non ne voleva sapere proprio. A quei tempi ancora Federica non aveva sviluppato quel sesto senso, che alcune donne hanno, che le indirizza dritti dritti verso i facoltosi (e intendo economicamente). Qualche anno più avanti e Federica sarebbe stata di Federico e non avrebbe mai corso intorno ai tavoli di una pizzeria con me.
A un certo punto non so come ma qualcuno mi sollevo da terra, e io pensai cazzo federico se la piglierà (data l’età e la mia buona educazione – checchè se ne dica – a quei tempi avrò pensato acciderbolina maledetta al posto dell’epiteto “cazzo”). Era mio zio, pare che stavo facendo troppa baldoria (avevo una carriera d’avanti…). Mi mise seduto, mi diede La Sicilia e mi disse: “Stai un pò qua adesso, leggi un pò invece di rovesciare tutte le sedie”. Ero ben educato e restai seduto. Di questa Federica non ne seppi più nulla, ma di sicuro avrà sviluppato quel sesto senso: niente più corse quindi.
Di queste due storie capisco una cosa: se non corro non c’ho gusto. Acchiaparello, nascondino. Le cose facili non fanno per me, sbucciarmi le ginocchia è un rischio che mi piace correre. Quando cado penso al peggio, che il sangue non si fermerà mai più, che non correrò mai più, che in fondo potevo rallentare un attimo prima. Là davanti c’è ancora tanta strada da correre, guardare le ferita non aiuterà nessuno. Neanche me stesso.

Il vento che soffia forte

Ho passato molto tempo a pensare. Poco a scrivere e molto a pensare. A cosa serve questo blog, a cosa è servito realmente, a tutto quanto di bello e buono c’è scritto qua dentro. Adesso ho in mente quel post sulla porta del paradiso, ma tanto non se lo ricorderà nessuno. Me, mi basta che sia io a ricordarlo.
Dopo ogni fallimento che si perda un pò di autostima ritengo sia una cosa piuttosto normale, e tutti i miei sforzi adesso sono concentrati a non farla calare sotto quella soglia che ritengo pericolosa. Poi se consideriamo che volevo essere l’uomo perfetto e la concreta consapevolezza che non lo sono affatto, tutto quello che ne è conseguito e che sta per accadere attimo per attimo, tutto ciò non m’aiuta neanche un pò.
Così mentre pensavo mi viene in mente un motivetto, una canzoncina. Provo a ricordare qualche parola, la cerco su google e riesco a trovarla. Mi sembra carino raccontare anche l’aneddoto che c’è dietro.
Ero piccolo, sui 5 anni scarsi, avevo iniziato da poco la primina. E non sapevo disegnare. Cavolo, adesso che ci penso è proprio una cosa buffa. Si, non sapevo designare e mio cugino Davide ci riusciva benissimo. Io non sapevo disegnare gli uomini, non sapevo disegnare le case. L’unica cosa che mi riusciva piuttosto bene erano gli alberi e le nuvole. Soprattutto gli alberi, ero bravo a fare gli alberi.
Però per un bambino saper disegnare solo gli alberi è un pò poco, così passavo triste intere giornate e spesso piangevo. Chissà cosa pensava di me mia madre in quei momenti: abusi da parti dei preti, maestre violente, nonnismo o forse bullismo. Affatto, io non sapevo disegnare le persone e le case, solo gli alberi; a lei dicevo che niente, non era successo niente. Ma in quei giorni non era così per me. E cominciai a dire per casa che io non sapevo fare niente, e avevo pure ragione: per me disegnare gli uomini e le case come sapeva farlo mio cugino era tutto! Ero assolutamente convinto che non sapevo far niente, non sapevo neanche disegnare. Ancora oggi disegno le persone esattamente come lo facevo allora, ma ora questo non è molto importante per me, perciò non mi dispero.
Se mai mio figlio dovesse incominciare a piangere dicendo che non sa fare niente io so cosa dovrò fare, quello che non so è come venne in mente a mia madre la soluzione alla mia disperazione.
Un giorno vidi un foglio proprio dietro la porta della mia stanza, la mia bellissima stanza. Lo aveva attaccato lei, lo capì subito e mi misi lì a leggerlo: era una canzone, forse una canzone scout. Non l’avevo mai sentita prima, eppure ne conoscevo tante di canzoni scout. Faceva così:

Rit. Dove troveremo tutto il pane
per sfamare tanta gente,
dove troveremo tutto il pane
se non abbiamo niente.
1. Io possiedo solo cinque pani,
io possiedo solo due pesci,
io possiedo un soldo soltanto…
io non possiedo niente. Rit.
2. Io so suonare la chitarra,
io so dipingere, fare poesie,
io so scrivere e penso molto…
io non so fare niente. Rit.
3. Io sono un tipo molto bello,
io sono intelligente,
io sono molto furbo…
io non sono niente.
Dio ci ha dato tutto il pane
per sfamare tanta gente,
Dio ci ha dato tutto il pane
anche se non abbiamo niente.

Qua ( Dove troveremo tutto il pane) potete pure ascoltarla, lo consiglio fortemente: io la ascolto da tre giorni un attimo prima di studiare, un attimo prima di essere triste, e un attimo prima di addormentarmi.

A me sta storia del Dio non mi convinceva tanto neanche allora, e di per sè tutto il testo non mi consolava tanto. Ma se me lo ricordo adesso dopo quindici lunghi e travagliati anni vuol dire che allora fu davvero una cosa importante.
Prima di tornare qui a Milano ho rivisto alcuni dei posti più significativi che mi legano alla mia terra. Non sono andato a vedere il muro questa volta, ma sono andato nella casa dov’era attaccata quella canzone. C’era una bici da bambina davanti alla porta, una automobile, l’albero di fico. Mancava qualcosa, le persiane sono state cambiate: ma quella resta la mia casa che riavrò indietro.
Adesso me lo ripeto da un pò: qualsiasi cosa io so fare, e qualcosa so fare, sarà quel che farò. Non m’interessa di non saper disegnare, non m’interessa più. Che quello mi sia di esempio per le difficoltà che tocca scalare oggi. Devo preoccuparmi di quello che so fare, e farlo sempre meglio. Sempre meglio.

Gli alberi, erano il mio disegno preferito. Stanno in tutti i miei disegni da piccolo. Ma mi venivano tutti con la chioma storta, sporgeva a sinistra. Per quanto mi sforzassi quest’albero era sempre piegato verso sinistra (solo adesso però posso dire che non era un bug, era una feature). E allora decisi che era giusto così, era giusto che ogni mio albero era spostato tutto a sinistra. Quando mi chiedevano perchè erano tutti storti io rispondevo: “Non vedi che c’è il vento che soffia forte?” 
Del resto per quale altra ragione quell’albero tende a sinistra ?

“Les grandes personnes ne comprennent jamais rien toutes seules, et c’est fatigant, pour les enfants, de toujours et toujours leur donner des explications.”
[Antoine de Saint-Exupéry,Il piccolo principe]