Archivi tag: Soldi

Perché è giusto rubare una bicicletta

La gente è ipocrita. Mica la gente dei film, la gente che definiamo amici, parenti e noi stessi. La gente tutta è ipocrita. E chi tenta di sottrarsi a questa categoria riesce nell’impresa d’esser ancora più ipocrita. Non c’è niente di male nell’essere ipocriti dato che lo siamo tutti. Al più possiamo lottare per definirci meno ipocriti di o un filo più ipocriti di. Ma il punto fermo, oggetto di questo post, è identico. Fornisco qualche argomentazione di importanza a caso e non assolutamente esaustiva per l’argomento. Di certo la cosa non mi verrà difficile considerando che i casi d’ipocrisia non si sprecano nella vita quotidiana. L’amore è ipocrisia, anzitutto questo. Non voglio dar l’impressione dell’uomo ferito che adesso si ritorce e inveisce come un disperato ma l’amore è l’esempio più bello che ho per definire il mio concetto di ipocrisia. Quando si ama lo si fa per se’ stessi. Per appagare un desiderio. Qualcun’altro ha già fatto una scala d’importanza dei desideri, così è che si scopre che dormire o mangiare è molto più importante che amare. Insomma, un’arancina è decisamente meglio che un bel bacio in Via del Vero Amore. Ma questo è assolutamente opinabile. Ciò che ritengo assolutamente non discutibile (ma questo mio parere potrebbe esserlo…) è che l’amore puro non esiste. Si ama sempre per aver qualcosa in cambio e quando le speranze di un ritorno iniziano a mancare l’amore tende a trasformarsi in altri sentimenti. Sentimenti che ancora una volta sono provati per avere un ritorno. Io per esempio non nascondo che ho amato per essere felice. Della felicità altrui mi importava solo perché la cosa mi rendeva ancora più felice. La mia felicità, anche se indirettamente, era sempre davanti a tutto. Per questo amare sé stessi è una malattia.
Nessuno credo che possa ritenere corretto rubare una bicicletta. Ma tutti poi sono il sabato alla fiera di Porta Genova a comprarne una rubata da qualcun’altro. Com’è che era? Direttamente dal produttore al consumatore?
Nessuno ruberebbe un Mac di qualcuno che sbadatamente l’ha dimenticato in aula. Eppure rubiamo ogni volta che acquistiamo un prodotto Apple la dignità di un essere umano, il diritto di una madre di vivere l’infanzia del suo bambino e talvolta la vita di qualche nostro simile. E’ questo che accade nelle fabbriche cinesi che producono i nostri aggeggi elettronici.
E perché studiamo nel mese di luglio? Un ipocrita direbbe per la propria formazione, la propria emancipazione e per aumentare la qualità della vita delle persone che ci circondano. Studiamo per i soldi. Perché vogliamo i soldi che il nostro studio potenzialmente ci fornirà. Soldi per mangiare cibo sano, per dormire con lenzuola di seta e per procreare anime felici. Che ricominceranno il ciclo dell’ipocrisia.
Questo è un post ipocrito? Come potrebbe non esserlo? Forse dicendo che sono incazzato per aver preso un ventitré che per altro meritavo?

P.S Se la premessa è falsa non importa il valore della conclusione

Il mio amico Paolo

Sono incazzato quanto un tricheco a cui hanno rubato i calzini profumati. Sono molto incazzato. Ho passeggiato per la residenza e la cosa non mi è passata, sono andato nella stanza in cui ruppi l’orologio, sono andato nelle segrete di questo posto. Ho bevuto un bicchiere di vino da 1,5€ e sto debuggando qualcosa che continua a non funzionare. E sono incazzato quanto un juke-box muto.
Prima mi ha contattato un ragazzo su Facebook, m’aveva aggiunto quest’oggi. Il suo nome è Paolo, abbiamo frequentato insieme le elementari. Ha i genitori divorziati e da piccolo faceva leva su questo fatto.
Sono una persona di merda, ho una morale scarsa e spesso, anche se riesco a camuffarlo per bene, sono un uomo disposto a tutto pur di ottenere ciò che vuole. Per tutto intendo ogni cosa, non una frase fatta.
Alcuni miei pensieri spesso accendano molte discussioni, uno più di tutti: i soldi. E il valore che gli assegno.
Premessa, i soldi causano dipendenza, sono belli e profumati. Ma alla lunga fottono il cervello e causano problemi. Chi ha i soldi ha più problemi di chi ne ha pochi. Chi non ne ha abbastanza è già morto, i suoi problemi sono ormai in un’altra vita.
Paolo, quello di facebook, è sempre stato ricchissimo. E tutte le ragazzine alle elementari pendevano dalle sue labbra, persino la mia prima fidanzata (era stato una cosa di un giorno soltanto, ma era la mia prima storia seria!). Quello di facebook, Paolo appunto, oggi mi contatta. Dice che lavora per il sindaco e che l’anno prossimo si scriverà a medicina omeopatica. Giuro che non l’ho fatto apposta: io mi sto per laureare in ing.Informatica a Milano. Lui lavora per il sindaco e forse passerà i test per un corso di Omeopatia, che a scriverlo con la o maiuscola sembra uno spreco.
Paolo è stato quel ragazzo che mi ha pagato i panini che mangiavo durante la ricreazione per tutti gli ultimi tre anni delle elementari. Lui era ricco e io no. Così rubavo i doppioni delle schede telefoniche a mio cugino più grande, le portavo a scuola e le vendevo a mille lire a lui, a Paolo. Con quelle con tiratura limitata riuscivo a tirare su anche duemilalire, quella banconota giallognola ormai estinta. E con quel millelire il giorno dopo mi comperavo un panino con la crema al cioccolato. Non con la nutella, quello costava milleecinquecento lire. E a me Paolo le schede telefoniche me le pagava solo mille. I miei ricordo che mi davano qualcosa per il panino. Non era moltissimo ma io li nascondevo da parte perché avevo un sogno. Volevo comprare la prima playstation, quella che aveva un vicino di casa. Costava duecento mila lire e conoscevo a memoria la brochure della sony, con tutti i joystick e i videogiochi. Babbo Natale non voleva saperne di portarne una e allora pensavo ingenuamente che potessi risparmiare per comprarne una da me, con i miei soldi. Conservavo tutti i cento lire che mamma mi dava dopo averli estratti dal carrello della spesa, conservavo anche i cinquanta lire quelli piccolini, che avevo già capito che è dalla merda che nascono i fiori.
Ricordo che alla fine riuscì a mettere da lato un poco più di duecentomila lire, sicuramente rimpinguati da qualche regalo di compleanno.
Una sera ebbi l’idea di dire a babbo che volevo comprare la playstation. Avrei messo io i soldi, soldi che conservavo in un salvadanaio di latta riposto nel bianco armadio centrale della mia stanza. Un bimbo vede le cose semplici, non pensavo potessero esserci troppi problemi dato che i soldi erano i miei.
Ma non fu così.
Qualche tempo dopo mio padre mi chiese se potessi prestare quei soldi alla famiglia intera. Non so bene a cosa sarebbero serviti, molto probabilmente a comprare del cibo per mangiare un giorno in più. Un bimbo è facile da convincere, prestai i miei soldi alla famiglia.
Anni dopo, ormai da adolescente, mia madre mi ha restituito metà della somma. L’altra metà non l’ho ancora ricevuta.
Io mangiavo i panini con la crema al cioccolato, io rubavo le schede telefoniche a mio cugino, io conservavo anche i soldi più piccolini, io ho prestato tutti i miei soldi ai miei genitori a sette anni.
E adesso studio per i soldi, e adesso mi dispero perché il lavoro che avevo trovato ad Agosto forse non me lo danno più dato che cercano un tipo anche per luglio, e io in quel mese sarò ancora a sgobbare sui libri. Io che l’estate scorsa ho sputato il sangue in un campo per raccogliere duecento quintali di carrubbe, io che le ultime parole che ho rivolto alla mia fidanzata sono state delle urla convulse che spiegavano che non so a chi appartengono originariamente i miei pinocchietto preferiti, io che i soldi sono fondamentali. Io che i soldi m’han fatto diventare questo, questo che adesso cerca di capire che in realtà duecentomila lire sono una schifezza, che c’è gente che muore di malaria e scabbia.
Ma oggi sono incazzato e ricordare la merda da cui esco mi fa incazzare ancora di più. E questo potrebbe essere molto bello se riuscissi a produrre cose buone di questa rabbia. Che se adesso la vendessi al chilo allora sì che sarei un uomo pieno di soldi, chissà se anche ricco…

I cinque euro

Per cinque euro stamattina mi sono alzato alle sette anziché le nove. Mi sono fatto la doccia un po’ perché ieri m’ero coricato alle una, un po’ perché puzzavo come un tricheco coi calzini sporchi.
Per cinque euro sono andato al politecnico quando ancora i senzatetto dormono dietro le statue del politecnico.
Per cinque euro sono entrato in un’aula e ho tentato di fare quello per cui il politecnico mi da cinque euro: spargere in modo ordinato fra gli studenti dei moduli per conto dell’Osservatorio della Didattica.
Ma stamattina, alle otto di mattina, in aula non c’erano gli studenti e non c’era il professore.
E’ incredibile cosa la gente possa fare per cinque miseri euri.
Ma sulla strada del ritorno ho pensato che per l’amore e per il sesso c’è bisogno solo di salute e soldi. Rispettivamente, di solito. In questo momento il mio portafoglio scoppia di…salute!
Ma capitemi, ero stanco e frustrato. E con cinque euro non è che si può andare tanto lontano…

Di questi giorni silenziosi

In questi giorni scrivo moltissimo. Non sul blog, su un programma che permette di creare cose di questo genere.

Clicca qui per vedere a tutto schermo

Pur essendo pressato dalla consegna sempre troppo vicina mi diverto molto a far funzionare il codice. Sono estasiato dall’eleganza e della assoluta perfezione che richiede un linguaggio di programmazione affinché esso funzioni. E non ci sono stati di incertezza: o va o ti si pianta. Perciò per adesso non faccio che questo.
Adesso sto a scrivere qui sul blog nuovamente per un motivo particolare. Per la gente che legge. Il blog lo legge la gente, anche gli sconosciuti. La maggior parte dei lettori li conosco perché ho scambiato parti della mia vita con parti delle loro e l’operazione è sempre andata a buon fine. Alcuni mi leggono perché sono incuriositi dai fatti miei. Potrei essere tacciato di esibizionismo effettivamente, chissà se l’avere un account su blogger.com deriva da  una repressa eccitazione sessuale per il voyeurismo. Queste cose io non le posso sapere. Ad ogni modo più gente legge più sono istigato a scrivere. Ovviamente la presenza di visitatori non è  una condizione né necessaria né sufficiente al mio scrivere un blog, ma senza scadere in trappole logiche, se la gente legge (e apprezza = commenta) a me piace.
Ho raggiunto un insperato e improvviso periodo di serenità estrema. Ho avanzato la giustificazione che fosse per via del progetto che mi sta sottraendo ogni briciola di tempo libero, prima destinato alla produzione della scenografia di scontati film mentali.
Sì, mi rendo conto che questa giustificazione è un po’ debole. Forse, come dicevamo col mio amico di dinosauro (Sergiuz), l'”intelligenza” può semplificare le cose. Alcune cose non sono del tutto semplici, sono pregne di dolore come un pan di stelle nel latte alle otto di mattina. Ma se davvero una cosa c’è, ciò che ci distingue dalle mere bestie non è l’istinto (di cui siamo colmi fino all’ultimo bulbo che abbiamo in testa) ma la nostra abilità nel semplificare cose difficili, nel trasformare i problemi e farli diventare a noi familiari.
A dire il vero c’è un’altra cosa che gli uomini fanno e le bestie no. Gli uomini (e pare anche i bonobo) fanno sesso per piacere, per saldare un legame o per saldare dei debiti: procreare è lo scopo più nobile, non l’unico. Ma la stessa chiesa che ha impiegato quattrocento anni a scusarsi con chi aveva compreso la perfetta magia che si cela dietro l’alba e il tramonto può mica essere tanto moderna da includere fra gli atteggiamenti umani il sesso non destinato alla procreazione? Fortuna che la gente se ne fotte e fotte. O per meglio dire, futti futti cà diu pidduna a tutti (futtiri significa anche fregare).
Mi sono preso una pausa col Canada. Per rigore morale voglio prima capire come minchiazza funziona questa storia del visto. In realtà temporeggio, non c’ho voglia di sborsare tutti quei dollari canadesi. Che poi essendo scritti in dollari sembrano tantissimi, già che sono abbastanza.
Per racimolarli sono stato piegato sulle ginocchia per dieci ore al giorno, raccogliendo frutti che avevo fatto cadere dagli alberi nelle dieci ore del giorno precedente. Dopo dieci giorni ero con la schiena a pezzi, che faceva pendant con il core. Poi ho lavorato la notte di natale, quella di capodanno, quella della befana e tutti i fine settimana del periodo natalizio in una discoteca per gente adulta, ho collaborato con tutto quel che il politecnico mi offriva come 150 ore (tranne spiegare le differenziali a quella matricola…), ho fatto il pagliaccio durante una manifestazione locale e lavori saltuari come delivery boy. E tutto questo basta giusto giusto a pagarmi le spese della scuola. Adesso resta da guadagnare il gruzzolo che farà da base per la esosa vita oltreoceano. Ma per quello c’è tutta Agosto Settembre e metà Ottobre, sempre che non riesca a prendere quest’ultimi 25 crediti e quindi laurearmi in tempo.
L’email che è arrivata mentre scrivevo non è il miglior modo per diffondere l’ottimismo a riguardo, ma come c’è scritto nel mio muro…devo pur fregarmi per rialzarmi. C’ho sto vizio.

La vita non è una tragedia in primo piano, ma una commedia in campo lungo.

E’ appena successo questo fatto. Ero a Parigi (è una metafora) e squilla al telefono. E che palle, mi alzo e vado a rispondere. E’ un numero strano, sono quelli di wired. E che palle, “le offriamo un rinnovo – il suo abbonamento sta scadendo – le regaliamo pure una maglietta perché ci segue sin dall’inizio – solo per lei uno sconto del 60% – altre leccate di culo varie ed eventuali.
Lo interrompo nel bel mezzo del suo messaggio quasi automatizzato sa, non rinnoverò l’abbonamento…molto presto [ma perché non ho detto prestissimo?] andrò all’estero e quindi non avrò un recapito dove farmi consegnare la rivista. E non avrò il tempo di leggerla. Ah ok ho capito, allora la ringrazio e sinceri auguri di buon viaggio. Grazie a lei, arrivederci[ma se non ci siamo mai visti…].
Chissà cosa fanno le persone quando le chiamo al telefono, sarà successo a qualcuno che ho chiamato di trovarsi nelle mie condizioni. Spero che non inventeranno mai i telefoni che diffondono gli odori.
Ad ogni modo oggi ha chiamato di nuovo il politecnico. E’ in vena di darmi dei soldi per ora, mi hanno offerto una nuova collaborazione di circa quaranta ore che porterebbero a sessanta delle centocinquanta ore che posso svolgere in un anno accademico. Questa volta dovrò distribuire dei moduli per l’Osservatorio della Didattica. Che poi è un modo fico per dire che è come gli studenti possono finalmente valutare i loro professori.
Quando ho staccato dalla chiamata, la prima cosa che ho pensato a come poter introdurre questa collaborazione nel mio résumé che dovrò allegare al modulo d’iscrizione della scuola del Canada.
Canada: adesso si va sul concreto. Sto compilando i moduli, impegno che mi terrà occupato per il fine settimana. Molto presto (o prestissimo che dir si voglia) dovrò sborsare il danaro, che è un attività che non mi riesce molto bene. C’ho quell’ansia da senzatetto, di quella persona che ha appena la moneta per sfamarsi e che deve scegliere bene fra i cibi che più lo sazieranno. Ad ogni modo ieri ho fatto 35€ di spesa, stasera andrò al cinema e probabilmente comprerò un paio di cuffie come auto-regalo. E poi basta, stiamo rientrando in periodo d’esame e quindi le mie finanze cresceranno proporzionalmente col diminuire del tempo libero.
Col telefono ho ancora un rapporto difficile, l’altra notte ho dovuto spegnerlo per evitare che facessi minchiate. E lei di tutta risposta non ha suonato la mattina, quando c’era da svegliarmi.
Ho deciso che sarà questo il blog che mi seguirà in Canada, non ne farò uno nuovo. Ser Sergio m’ha aiutato nel decidere, diciamo pure che m’ha detto o così o niente. Cambierò qualcosa nella grafica, forse nel titolo. E vedrò di archiviare in una sorte di package i post ante-Canada.
Ho deciso che voglio farmi i capelli come due anni fa, sento che è l’ultima possibilità prima che inizieranno a fare la fine delle gocce d’acqua in prossimità delle famose Niagara Falls (tanto per rimanere in tema).
In piscina va sempre meglio, se trascuriamo il fatto che ho un po’ i postumi di un crampo da ultima vasca. Ho imparato a respirare correttamente, lo spero almeno, e adesso recupero prima il fiato. Sento sempre più forza dappertutto e mi sento sempre meglio quando esco dalla piscina per tornare a casa.
Lo sport è una cosa meravigliosa, lo avevo scordato.
La vita è una cosa meravigliosa, spero di non dimenticarlo. E poi mi sa che sta tornando la febbre, perciò ho bisogno di karma positivo.
Karma positivo, quello che ti fa prendere il 33 senza anni di attesa, e poi che fa trovarmi l’ascensore al mio piano e che fa apparire l’Alba quando più ce n’è bisogno.

La frase nel titolo è di Sir Charles Spencer Chaplin, 122° anniversario della sua nascita.

Capacità di sintesi

Tornato a Milano, piove. Stamattina mi sono alzato tardi, ho mangiato ‘mpanatiddghi ancora nel letto, mi sono alzato alle 12. E’ uno degli ultimi giorni di ozio, dopo ricomincia la scalata. Ho ascoltato una canzone che dice che se veramente Dio esisti, se sei quello dei giorni tristi oppure quello degli inni alla gioia, fai che sia vita la nostra, una vita senza la noia.


Tecnicamente quindi la mia è la vita perfetta, una vita senza la noia. Beh non mi lamento, quantomeno ho sempre qualcosa a cui pensare. Che siano cose belle o no, forse non importa. E comunque importa, e come.

Fronte Canada: ho appena chiamato oltreoceano. Se per il biglietto è ormai tutto definito resta da scegliere la scuola, e i criteri di scelta si intrecciano fra l’economicità e la qualità, e districarsi lungo la burocrazia dei visti e dei permessi di studio all’estero. Ed è un intreccio ingarbugliatissimo, ho qualche mese per sbrogliarlo con la calma che non mi contraddistingue. Signore mio, dacci un parere per quando ci vogliono interrogare in tempo di pace e di sonno, che ci faccia star bene e per continuare in tempo di guerra magari a campare. Ho quasi pensato al titolo, ma non so se cambiare questo o farne il titolo di un nuovo blog: quello che inizierà a raccontare il Gioele post-Canada.

Infine oggi ho resistito abbastanza bene a due attacchi, ma il pensiero della telefonata che avrei dovuto fare m’ha un poco aiutato. Difatti adesso che la chiamata l’ho fatta mi sento un poco svuotato sicché inizierò a guardarmi puntate di How i met your mother. 

Le lacrime di un uomo

Oggi è un giorno assolutamente da festeggiare. Il miglior giorno di questo 2011, il miglior giorno da molto tempo a dire il vero. Le lacrime di questo giorno sono della stessa natura di quelle del lontano 26 agosto, su un letto con delle rose affilate lo ricordo come fosse ora. Tante cose sono differenti da quel giorno ma le mie lacrime sono rimaste identiche. Stavolta come allora non c’è stato uomo in me. Due sani lacrimoni e pure le tirate di naso comprese nel prezzo. E le risate. Dopo la presenza improvvisa di un letto quando hai sonno, di un cesso quando hai bisogno e di una bottiglia d’acqua quando hai sete, nella top list delle cose più belle del momento le lacrime condite con risa si conquistano la loro porca(!) posizione.
Ma io sono un uomo, tutto questo non è mai successo. Un uomo non piange e se piange è solo un sogno (o era solo per amore?). Macché sogno!

Sogni in ordine sparso

Oggi ho sognato. Oramai ho imparato come si fa: la mattina ricordo la sintesi del sogno, so chi erano i personaggi principali e chi gli antagonisti ma non ricordo le loro facce, il loro profumo e tutto il resto.
Sveglia puntata alle nove, sveglia effettiva alle nove e un quarto. La solita mezz’oretta di pc a letto prima di iniziare a studiare; e alle dieci ero già sui libri. Non ho studiato molto oggi, pago un pò di flessione. Niente di preoccupante: sento che sono in ritardo, non mi sento molto preparato. Gli esami sono fissati alla finestra su un post-it. Ogni volta che alzo lo sguardo vedo quel susseguirsi di date che mi impongono di tornare a chinare la testa sul foglio. Sotto quel foglio in rigoroso ordine temporale c’è un altro post-it. Su questo ci sono dei conti a matita, la somma che la scuola d’inglese pretenderà per i miei studi. C’è scritto l’orario delle lezioni, i giorni di vacanza in Canada, il costo per settimana, date di inizio e di fine. E poi c’è il totale, che sembra scomparire fra la miriade di numeri e lettere che popolano il foglietto. Eppure è il totale quello che conta. E’ pur vero che lungo i fianchi si provano emozioni indescrivibili, le migliori, ma è soltanto se si raggiunge in cima e se questa è veramente imponente che la missione può ritenersi davvero compiuta.
Studiare per un esame potrebbe essere avvincente, a tratti piacevole. Ma se tutto non si conclude con un voto l’importanza dello studio improvvisamente diventa relativa, sicuramente opinabile.
Oggi ho visualizzato online il saldo del mio conto dedicato alla missione dell’anno venturo. Oggi ho sognato un’altra volta, ma questa volta sentivo il profumo dei soldi ed ero sul sito di unicreditBanca.
C’è un proverbio siciliano che dice che tri sunu li putenti: ‘u papa, ‘u re e cu nun avi nenti.
E per questo che, una volta deciso ad abbandonare la carriera religiosa, sto facendo di tutto per diventare un re. Non potrei di certo tollerare di diventare un debole, ora che sono un putenti.
Cerco un lavoro per l’estate, per tutto il mese d’agosto. Sono tentato dallo spiegare la mia situazione al presidente, nel caso dovesse concedermi per pietà settemila€. Per il resto ho trovato un posto che paga cinquanta€ a sera, ma i turni sono lunghi e il lavoro è più pesante della media. La figa che se la spassa a spasso mi ha detto che “…sì, è vero, si lavora tanto ma che in fondo alla fine ci si diverte tanto”. Lei che ha fatto un mese di università, un anno da apprendista commessa e ora è disoccupata cosa ne sa del lavoro?
Anche le puttane sanno che non è divertente, anche se il loro lavoro consiste nel fare la cosa più bella del mondo.
Per adesso non c’è molto di nuovo in giro, m’aspettano alcuni mesi di fatica e poi altri di molta fatica. Per i prossimi due anni la mia vita sembra già tutta programmata, sarebbe un peccato se tutto andasse in questo modo.
Non giocherà a dadi, ma spero che giochi con me a monopoli.

L’ultimo giorno di lavoro

Ieri ultimo giorno di lavoro. Ed è stato più sconvolgente del primo, più “raccontabile” di tutto gli altri giorni di lavoro di queste due settimane. Sembrerebbe tutto normale, inizio alle 22-stiramento della colonna vertebrale su un letto per le 6:30 (dopo aver fatto colazione con latte e biscotti chiaramente).
Le cose importanti sono tutte successe in quelle 8 ore di estenuante lavoro.
A inizio serata finito il mio lavoro in sala mi sono prodigato ad aiutare la povera Michela, cambusiera. Mentre stavo togliendo il bianco dagli spicchi di mandarino Antonella, l’accompagnatrice ai tavoli (e non solo…), raccontava come s’era fatta regalare per il suo anniversario di fidanzamento un paio di scarpe. Seguiva una digressione con l’altra cameriera sui metodi per far capire al compagno come e cosa farsi regalare. Io al solito mio ascoltavo, non annuivo nè sorridevo: sbucciavo i miei mandarini per i fatti miei. Ma quando il cane non abbaia è il padrone a infastidirlo, così Antonella mi rivolge la parola:

Lei: “Zittu zittu Gioele è un fimminaru…vero?  Mio nonno lo dice sempre: t’ha scantari ri chiddi cà nun parranu”
Io: “Uhm…eh..si, coff coff (sono raffreddato da giorni)”
Lei: “Ce l’hai la zita Gioele?”
Io: “Si” [No, ho detto si? Perchè cazzo ho detto si? Ma che…cosa? spero non domandi altro..]
Lei: “E’ modicana?”
Io: “Nono, non è siciliana” [Ma cazzo continuo. Muto muto! Pipa Pipa, ma che minchia m’è preso…c’ho la bocca che ha problemi di connessione? Mah…speriamo si fermi qua!]
Lei: “Hai visto Gioele zittu zittu…”

Fortunatamente i mandarini si esaurirono e io scappai da quell’interrogatorio che stava mettendo in crisi cervello cuore e bocca in un sol colpo.
La capo del mio capo ci convoca tutti in sala, il locale sta aprendo. Vuole cambiare le coppie di lavoro per variare un pò e poi non vorrei che l’ultimo giorno Gioele…
Cosa Cosa? cosa potrebbe capitarmi l’ultimo giorno? Non lo sapremo mai perchè non terminerà la frase.
Le ore scorrono veloci, all’una la pista è ancora deserta mentre i tavoli iniziano a riempirsi. Al privè si accomodano i soliti figli di papà, quelli che per l’epifania in dieci hanno speso circa 700€ a vodka e champagne. All’una e mezza già non si può più passare, la gente si è scatenata al ritmo di musica. Musica che a me fa giusto muovere il ginocchio a ritmo, magari con qualche consumazione muoverei anche l’altro.
Dalle 2 alle 3 è l’orario critico. La gente ha solitamente già preso la prima bottiglia e adesso ne vuole ancora. A me e al mio primo capo spettano 5 tavoli. Non sono molti, ma bisogna considerare che per raggiungerli bisogna attraversare per intero la pista da ballo e che oltre al servizio ai tavoli ho la responsabilità di raccogliere i bicchieri che la gente sparge per il locale.
Ecco puntualmente in queste ore il mio capo cameriere (che tengo a dirlo ha il mio stesso ruolo) inizia a fare il pagliaccio, scrocca un bicchiere di ogni bottiglia che stappa e inizia a scherzare con le signorine. Ieri a un certo punto l’ho visto in ordine in consolle che ballava-in cucina con il rossetto di qualcuna stampato ovunque sulle sue labbra (sembrava il suo…)-seduto su un divano dicendo di non farcela più. In più ho trovato un altro ragazzo addetto alla pulizia del locale (i bicchieri sono molto fragili, figuriamoci in mano agli ubriachi che pretendono di ballare) che si era nascosto dietro un divano, seduto fumandosi una sigaretta. E io ignaro di tutto questo chiamavo la capo del mio capo (che si strusciava con le femmine) chiedendole di mandarmi aiuto, che c’era da sparecchiare il 4 il 5 e il 6 e che il 7 lamentava una bottiglia di vodka mai arrivata. E il mio capo toccava le tette a qualche troia. Quando poi un mio ex compagno delle elementari con cui ho sempre litigato per la contesa di una ragazza (e poi è un figlio di papà, che non studia e non lavora=merda) mi ha fatto inzuppare tutto il cravattino in un bicchiere di champagne non c’ho più visto. Ho richiamato la capo del mio capo e le ho detto che a fine serata dovevo parlarle. Mezz’ora dopo la situazione era invariata, io sembravo la pallina in un incontro Nadal-Federer e il mio capo per rimanere nelle similitudine era l’attore protagonista di “Tutti gli uomini preferiscono Selen”.
A un certo punto sarà il maledetto raffreddore che mi fa tossire come un vecchio da tre giorni, sarà che non si respira con tutto quel caldo e sarà quel fumo che usano nei concerti che rendeva l’aria irrespirabile…sarà come sarà ma sono dovuto uscire fuori per non tramortire al suolo con una crisi respiratoria. Mentre ero intento a tossire tutta l’aria che avevo nei polmoni la capa mi vede, mi dice che adesso è lei che mi deve parlare e mi toglie il vassoio dalle mani. Licenziato per qualche colpo di tosse?
Ci sediamo in un divanetto e allora senza che lei apra bocca le dico ciò che ho meditato in tutta quella sera. Zittu zittu fino a un certo punto, buono si babbu no. Le dico che non mi sono fermato un attimo, che “c’è gente che fuma, gente che s’imbosca e gente che balla”. Le dico che io sto facendo la mia ultima giornata di lavoro in quel posto, ma che questo non cambia il motivo della mia collera. Non si prendono dei soldi per ballare, o per stare seduti. I soldi li metto in tasca se sudo, se quando torno a casa ho le gambe doloranti e la coscienza pulita avendo dato il massimo.
Lei mi risponderà che vede tutto, sa chi non lavora e chi lavora. Mi ha visto che “ho spinto tutta la serata”, che non mi sono fermato e che “forse faccio troppo”. Che purtroppo alcuni ragazzi le sono stati imposti dai suoi superiori, e che conosce i limiti del suo personale. Parliamo per un venti minuti buoni, lei mi dice come la pensa riguardo il modo di lavorare. Le racconto delle mie esperienze lavorative precedenti, quando prendevo a quattordici anni 25€ per lavorare 11ore consecutive (senza pause neanche per la tosse: epica quella volta nel 2006 che lavorai con la colite), quando il mio datore di lavoro si nascondeva dietro la porta per trovare il pretesto per sbraitarci. Le dico che io voglio dar il massimo di me, voglio lasciare la migliore impressione possibile e che non riesco a stare seduto se c’è del lavoro da fare. E se sono pagato bene, e se ne ho necessità non mi fermerò finchè il lavoro non si sarà esaurito.
Finita la chiaccherata mi sento più sollevato: mi ha detto che sa quanto lavoro, l’ha visto, m’ha visto spingere ininterrottamente dall’una fino alle quattro. Mi stanno riconoscendo i miei meriti, e non c’è combinazione di oki e RedBull che possa farmi sentire meglio. Anche se per la tosse mi sono dovuto ingoiare una quantità schifosa di caramelle alla menta.
A fine serata, le 6 del mattino, dopo aver preso la mia paga e aver messo la firma faccio il giro di saluti. In realtà solo il proprietario e la capa del mio capo sa che sarà l’ultimo giorno di lavoro lì. La mia capa mi abbraccia sinceramente, non me l’aspettavo, mi dice che le ha fatto piacere lavorare con me, che andrò lontano e che queste situazioni lei le ha vissute prima di me e sa cosa si prova.
Ma è il proprietario, nonchè capo della mia capo del mio capo, che mi lascia di stucco. E’ un maschio quindi mi stringe la mano, senza abbracci. E mi dice hai fatto davvero un ottimo lavoro. Hai lavorato in una maniera ottima, quando tornerai passaci a trovare, ci sarà sempre lavoro per uno come te. Veramente complimenti, hai fatto un lavoro eccellente. 

I love shopping

Oggi giornata di shopping. Eh? Io shopping? No beh c’era anche la mamma, che m’accompagnerà da contratto fin quando non passerà il testimone a un’altra donna (qualità da inserire nella lista della “Donna per me, how to”).
Si è stato così, e sono pure alquanto soddisfatto di ciò che ho comprato. C’era questa opportunità, un negozio che faceva gli sconti. Uno di quei negozi che per entrare devi suonare (e chissà se ti apriranno…) manco fosse una gioielleria, manco fosse una banca. Quando mia mamma ha preso a casa un maglione da 400€ abbiamo capito l’andazzo.
Alla fine per meno della metà del valore di quel maglioncino (che io avevo impunemente etichettato da vecchio (cazzo era marrone chiaro e marrone scuro, coi rombi dappertutto)) ho acquistato un completo di Enrico Coveri ( l’ho appena cercato su google a testimoniare la mia familiarità con questi cosi) e un maglioncino rosso di Rodrigo o qualcosa di molto simile.
La novità è che ho comprato un pantalone invece che un jeans, sto proprio diventando un vecchio. Altra novità è che non è colore jeans ma questo credo sia giusto dato che non è un jeans.
Il commesso dice che c’ho le cosce piccole. Dammi sei mesi e tutti mi diranno quanto ce l’ho grosse, le cosce.
Il tutto in meno di un’ora, con tanti cambi quanti capi acquistati, indolore. Lo shopping dovrebbe essere così: guardi quello che vuoi, se ti piace tantissimi provi la tua taglia, se ti continua a piacere anche su di te allo specchio allora acquisti. Ed esci dal negozio. Tutto il resto è soltanto del tempo violentato e sottratto ad altre attività più interessanti, meno scomode e sicuramente più economiche. Cazzo tre giorni di lavoro per due maglioni e un pantalone. Però sono belli.

Un feroce bandito

Stanotte ho pensato tanto e poi ho sognato tanto.
Stamattina mi sono svegliato e sembra che sia tutto normale. Oggi l’ultimo giorno di lavoro e poi si viaggia per le vie di Milano, peccato qua in terronia avanzata c’è tanto sole e l’inverno pare si sia fermato a Reggio.
Poi mi sono ricordato di cosa avevo pensato ieri.
Pensavo a una canzone di Vecchioni, canzone che però non è possibile neanche nominare. E’ così importate il ricordo che ne ho che rimarrà nascosta nella coscienza di solo due persone.
Poi ne ho pensata n’altra che ascoltavo ieri mentre mi vestivo di tutto punto. Un verso di quella canzone fa così:

“…fu antica miseria o un torto subito a fare del ragazzo un feroce bandito…”
Ho pensato a delle importanti parole che riguardano me, il mio carattere e di come l’ho costruito.
Forse è così che mi faccio forza, ricordando da dove sono partito, che cosa ho vissuto. 
E’ un gioco pericoloso, a volte rischio di restare schiacciato dai miei stessi incitamenti. Ed è questo che talvolta mi dicono, che la mia rabbia è pericolosa innanzitutto per me stesso. Ma tutti abbiamo dei giorni tristi in cui riusciamo solo a buttarci giù. E io in quei momenti mi ripeto che ho avuto il vento contrario, che ce l’ho ancora e che sarà sempre così. Magari non è del tutto vero ma stranamente la cosa mi da la forza di reagire. Non nei modi corretti talvolta ma del resto quali sono i modi corretti?
Feroce bandito, mi piacerebbe che mi calzasse a pennello. Per il resto nessun problema.
Poi ho pensato ad altre due o tre cose, e infine mi sono addormentato.

Di questi giorni – Racconti Sparsi

Riesco a non cambiare stazione quando ci sta una canzone smielata alla radio. Se questo non lo chiamate un piccolo passo avanti allora la prima piedata di Armstrong era aria fritta.
Di contro un giudizio obiettivo non nasconderebbe che non riesco ancora a indossare il maglione blu, e altre decine di cose che è meglio far girovagare un pò nella mia testolina. Che in fin dei conti è tutto così meraviglioso, anche quando le cose vanno a rotoli. Ci vogliono mesi a tirarsi su le maniche ma sembra che ce la sto facendo. Inciampo ancora di tanto in tanto ma non commetto più stupidaggini.
Per il resto sono reduce da due giorni nella discoteca gioiosa. Reduce nel senso che ho ancora dolori ai polpacci e forse è stato lì che mi sono beccato il mio primo raffreddore dell’anno. Mi c’è voluto una ventina di ore di lavoro per guadagnare l’equivalente di quanti ne avrebbe presi qualcun’altra (colpo di tosse accusatoria) per meno della metà del tempo. Evabbè le occasioni della vita torneranno, spero che passano da qui qualche volta.
Per il resto ho parzialmente assistito a uno spettacolo burlesque (un semplice spogliarello a cui han cambiato nome), ho scoperto che esistono madri che portano in discoteca i propri figli, e la cosa bizzarra è come l’ho scoperto. Il vocalist ha urlato mentre le tipe si spogliavano sul palco che c’era una bambina che piangeva in consolle perché cercava la sua mamma. Il tutto è impreziosito dal fatto che una delle due spogliarelliste era un trans.
Bimba di quattro anni si perde in una discoteca mentre la madre guarda spogliarello di un trans
Qualsiasi giornale farebbe uno scoop con una notizia del genere. E qualsiasi assistente sociale toglierebbe quella figlia dalla “protezione” della madre. Ma questo è un giudizio affrettato e allora non chiamerò il telefono azzurro.
Gli ultimi due giorni di lavoro sono stati veramente massacranti. Ho un’alta sopportazione della fatica, capita dopo che l’hai provata a lungo. Ma sono state diverse le volte in queste due sere che mi sono chiesto se stavo davvero lavorando in quei giorni che sarebbero di vacanza; in realtà il lato ludico di questi giorni era stato già violato dagli obblighi universitari, che adesso sono a sua volta naufragati fra le banconote arancioni. Non c’è cosa più energetica – e la RedBull è una puttanata – di una motivazione salda per sconfiggere il dolore alle caviglie (e avevo le scarpe di ginnastica). Io devo pagarmi un volo transeoceanico, devo pagarmi per quanto mi è possibile una scuola che m’insegni questa astrusa lingua che mi è necessaria. Necessaria per studiare ancora e ancora, per acquisire altri titoli e trovare lavori sempre più remunerativi. Per soddisfare quei piccoli sogni che mi porto appresso, e che m’aiutano a sopportare la fatica. Che pregare non serve a un emerito cazzo, solo come palliativo (con l’ipotesi del dubbio, non lo nego…) per sconfiggere le fatiche del lavoro.
Quello che m’aspetta sono dei mesi d’in(f || v)erno. Tutti in salita, con tornanti in salita, e la neve in salita. E niente catene a bordo. Due mesi effettivi di sessione d’esame, poi ci vuole la volata finale per laurearsi in tempo. E poi il mese d’agosto in cui devo dimostare che non è da tutti ma che io 2000€ li tiro su solo in quel mese, a costo di impararmi finalmente l’Ave Maria. Non vedo l’ora di volare sull’atlantico, di trovarmi su quell’aereo vicino a un giapponese con la cravatta. Chissà come sono gli aerei intercontinentali, chissà se hanno i sedili reclinabili, chissà se il cibo è buono e chissà se mi danno quel coso da mettere sugli occhi per dormire. Chissà se anch’io soffrirò del jet lag, chissà se mi verranno a prendere all’aeroporto come si usa qui, con quei cartelli con su scritto Sicilian guy here! C’ho un pò di sogni da esaudire, e spero che non ne produrrò più. Almeno per qualche giorno dai…

:)