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Di questi giorni silenziosi

In questi giorni scrivo moltissimo. Non sul blog, su un programma che permette di creare cose di questo genere.

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Pur essendo pressato dalla consegna sempre troppo vicina mi diverto molto a far funzionare il codice. Sono estasiato dall’eleganza e della assoluta perfezione che richiede un linguaggio di programmazione affinché esso funzioni. E non ci sono stati di incertezza: o va o ti si pianta. Perciò per adesso non faccio che questo.
Adesso sto a scrivere qui sul blog nuovamente per un motivo particolare. Per la gente che legge. Il blog lo legge la gente, anche gli sconosciuti. La maggior parte dei lettori li conosco perché ho scambiato parti della mia vita con parti delle loro e l’operazione è sempre andata a buon fine. Alcuni mi leggono perché sono incuriositi dai fatti miei. Potrei essere tacciato di esibizionismo effettivamente, chissà se l’avere un account su blogger.com deriva da  una repressa eccitazione sessuale per il voyeurismo. Queste cose io non le posso sapere. Ad ogni modo più gente legge più sono istigato a scrivere. Ovviamente la presenza di visitatori non è  una condizione né necessaria né sufficiente al mio scrivere un blog, ma senza scadere in trappole logiche, se la gente legge (e apprezza = commenta) a me piace.
Ho raggiunto un insperato e improvviso periodo di serenità estrema. Ho avanzato la giustificazione che fosse per via del progetto che mi sta sottraendo ogni briciola di tempo libero, prima destinato alla produzione della scenografia di scontati film mentali.
Sì, mi rendo conto che questa giustificazione è un po’ debole. Forse, come dicevamo col mio amico di dinosauro (Sergiuz), l'”intelligenza” può semplificare le cose. Alcune cose non sono del tutto semplici, sono pregne di dolore come un pan di stelle nel latte alle otto di mattina. Ma se davvero una cosa c’è, ciò che ci distingue dalle mere bestie non è l’istinto (di cui siamo colmi fino all’ultimo bulbo che abbiamo in testa) ma la nostra abilità nel semplificare cose difficili, nel trasformare i problemi e farli diventare a noi familiari.
A dire il vero c’è un’altra cosa che gli uomini fanno e le bestie no. Gli uomini (e pare anche i bonobo) fanno sesso per piacere, per saldare un legame o per saldare dei debiti: procreare è lo scopo più nobile, non l’unico. Ma la stessa chiesa che ha impiegato quattrocento anni a scusarsi con chi aveva compreso la perfetta magia che si cela dietro l’alba e il tramonto può mica essere tanto moderna da includere fra gli atteggiamenti umani il sesso non destinato alla procreazione? Fortuna che la gente se ne fotte e fotte. O per meglio dire, futti futti cà diu pidduna a tutti (futtiri significa anche fregare).
Mi sono preso una pausa col Canada. Per rigore morale voglio prima capire come minchiazza funziona questa storia del visto. In realtà temporeggio, non c’ho voglia di sborsare tutti quei dollari canadesi. Che poi essendo scritti in dollari sembrano tantissimi, già che sono abbastanza.
Per racimolarli sono stato piegato sulle ginocchia per dieci ore al giorno, raccogliendo frutti che avevo fatto cadere dagli alberi nelle dieci ore del giorno precedente. Dopo dieci giorni ero con la schiena a pezzi, che faceva pendant con il core. Poi ho lavorato la notte di natale, quella di capodanno, quella della befana e tutti i fine settimana del periodo natalizio in una discoteca per gente adulta, ho collaborato con tutto quel che il politecnico mi offriva come 150 ore (tranne spiegare le differenziali a quella matricola…), ho fatto il pagliaccio durante una manifestazione locale e lavori saltuari come delivery boy. E tutto questo basta giusto giusto a pagarmi le spese della scuola. Adesso resta da guadagnare il gruzzolo che farà da base per la esosa vita oltreoceano. Ma per quello c’è tutta Agosto Settembre e metà Ottobre, sempre che non riesca a prendere quest’ultimi 25 crediti e quindi laurearmi in tempo.
L’email che è arrivata mentre scrivevo non è il miglior modo per diffondere l’ottimismo a riguardo, ma come c’è scritto nel mio muro…devo pur fregarmi per rialzarmi. C’ho sto vizio.

Apparenze

Non riesco a stare senza di te per tutti questi giorni, e allora cerco disperatamente con tutti i miei sensi le donne che ti somigliano.
Ne ho trovata una che ha lo stesso colore dei tuoi capelli. Li ha mossi come i tuoi, le toccano leggermente le spalle e perfino il colore sembra essere uguale il tuo. Si chiama Giulia.
Poi c’è Chiara. Ha i tuoi occhi. Non sono neri, non sono castani né verdi. Non ho capito il colore dei suoi occhi ma è esattamente come il tuo.
Francesca invece dorme come te. Ha un sonno profondo, delle volte russa ma lo fa con incredibile discrezione. E’ una ragazza dormigliona ma sa rimanere sveglia se ne vale la pena.
Poi c’è una ragazza che ha un profumo della pelle che mi ha costretto a voltarmi tant’era simile al tuo. Non sono riuscito a capire molto di lei, ma il vostro profumo è identico. Credo si chiamasse Federica.
La conosci Sara? E’ una ragazza discreta, non veste mai fuori luogo e riesce a muoversi con una eleganza unica. Dovreste conoscervi un giorno, vi piacereste.
Martina invece ha la tua risata. Mai eccessiva, non è irritante non è mai fuori luogo. E’ fantastica quando ride, glielo dicono in molti. Ti ricorda, per caso, qualcuno?
C’è Valentina che non è molta alta. Ma è ordinatissima e rasenta la perfezione. Non fa niente se non è necessario, riesce a organizzare il proprio tempo in qualsiasi condizione essa si trovi. Vorrei essere come lei. O come te.
Un’altra ragazza che ti somiglia è Alessia. Respira come te. Si ecco, non tutte le persone respirano alla stessa maniera. Lei ha un respiro perfetto, come te. E quel respiro sembra così tanto prezioso.
Silvia invece parla come te. Quello strano accento, quella voce pacata che m’ha fatto innamorare di te. Quelle parole che sapevano tagliare il ferro quand’era necessario. Quelle parole che non si tiravano indietro, quelle parole che non avevano paura di rompere le catene delle convenzioni.
Infine Elisa. Ha il tuo corpo. Le tue linee leggere, nulla di esagerato. Ma così sinuose che non potrò mai smettere di paragonarle. E quelle di Elisa erano pressoché come le tue, sembravano uguali alle tue.
Dieci ragazze pensavo fossero abbastanza per colmare la tua assenza, per occupare i miei pensieri. Sapevo già che non potevo trovare tutto in una sola persona, ma credevo che se avessi trovato qualcosa di te in dieci di loro allora sarebbe stato un po’ come continuare a vederti. Per un po’ ho voluto credere che poteva andare ma poi davanti all’evidenza mi sono dovuto arrendere.
Nessuna di loro, neanche se provo a fare una stupida somma, riesce a raggiungerti in intelligenza. Nessuna ha la tua arguzia, nessuna ha il tuo spirito. Nessuna di loro può, anche provandoci, assomigliarti. Chissà cosa troverò in Ilaria Eleonora Giorgia Elena o Laura. Ma il fatto che non riuscirò a trovare una donna esattamente come lo eri tu, questo mi stravolge. Questo non mi fa capacitare, non mi da respiro.
Voglio risalire con te sul masso ancora una volta.

Perdonatemi. So che è un po’ da checca questo post. I nomi li ho presi da qui. Il fatto che non verrà letto dalla persona giusta, che mi son finito, scrivendo, il Nero d’Avola, il fatto che non abbia più la lucidità di continuare a scrivere codice e che Sergio probabilmente dirà che ormai il peggio dovrebbe essere passato (e forse così non è)…questi fatti mi fanno sentire un piccolo verme. Per questo chiedo scusa, e mi/vi rimando al prossimo post irriverente. Sperando che il meglio deve ancora venire.
Il martufo.

Fino alla fine della strada

Quando non c’ho tempo, come in questi giorni, di scrivere post su post penso ai post che potrei scrivere. Come detto più volte le cose migliori ti vengono in mente nei momenti più inaspettati. Ad esempio salire le scale(salire regge l’accusativo o è un sicilianismo?), non so bene il perché, è un momento molto prolifico per le mie opinioni. E poi in ordine sparso, mentre mi lavo la faccia quando inizio ad assopirmi quando faccio finta di far shopping.
E allora dopo la teoria del budino, le premonizioni del mio muro ho pensato che sarebbe un bello amarcord ritornare a parlare ancora una volta del muro, quello vero.
Il Muro è una cosa così importante che esiste un prima del muro e un dopo muro. Ci sarà un prima del Canada e un dopo Canada. E mille altri prima e dopo che segmentano la mia vita. Ma il muro segna il passaggio all’età quasi adulta, l’inizio della fase occhi cattivi e muso lungo e la fine della fase le femmine sono tutte buttane. Le femmine, infatti, sono tutte molto più puttane more&more. Poi anche quella fase è passata ma c’è voluto un pò, c’è voluto una cosa importante. Così adesso c’è anche un altre fase prima e dopo. Ma queste sono altre storie. Story of my life.
Duli dice che il mio vezzo a raccontare storie l’abbia preso da mio nonno. Macchè io mi sto esercitando per quando sono papà, che poi dirò a mio figlio cose del genere “…io alla tua età già[cosa a caso anche finta]!”.
Sergio invece, fra i nostri discorsi mentre copiamo noiose tabelle (che rappresenteranno -si spera per lei- il futuro di tutta la vita della Duli suddetta), dice che siamo uomini profondi. Nel senso che di maschi come noi sono rari, e lui pensa di essere il principe azzurro di qualcunA. La bestia del mio amico è il quasi principe azzurro di una donna che ha gli occhi chiari, i capelli rossi, una tenuta coi cavalli e una barca a vela. Io non l’ho vista ancora di persona quindi non posso ancora dire se è bella anche se so già che ha i capelli rossi. Dato che non l’ho ancora vista Sergio non è ancora del tutto il suo principino, avete presente che casino che sarebbe uscire con la zita e gli amici che odiano la zita? Ecco…
Io intanto ho l’umore che si sta facendo un giro su una sinusoide avente un periodo p brevissimo (una onda che va su e giù tantissime volte in un breve periodo di tempo, in non-ingegnerese). Ieri ho avuto uno scatto d’ira ma ho giusto spezzato un paio di fogli (sapete che in inglese “foglio di merda” si pronuncia scit sciit?) e non ho distrutto nessun orologio. La cosa è meno grave ma mica troppo, ma comunque ammetto di essermi sentito meglio dopo. Oggi invece è tutto il giorno che corro. Per i corridoi, per andare da Duli, per prendermi i biscotti a cui tolgo la muffa ma che sono buoni lo stesso. Salto sulla scrivania e canto una canzone di Antonacci. E m’è preso di pensare a quella frase di un film arcinoto:

Quel giorno, non so proprio perché decisi di andare a correre un po’, perciò corsi fino alla fine della strada, e una volta lì pensai di correre fino la fine della città, e una volta lì pensai di correre attraverso la contea di Greenbow. Poi mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui tanto vale correre attraverso il bellissimo stato dell’ Alabama, e cosi feci. Corsi attraverso tutta l’Alabama, e non so perché continuai ad andare. Corsi fino all’oceano e, una volta lì mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui tanto vale girarmi e continuare a correre. Quando arrivai a un altro oceano, mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui, tanto vale girarmi di nuovo e continuare a correre; quando ero stanco dormivo, quando avevo fame mangiavo, quando dovevo fare… insomma, la facevo! 

Pare che abbiamo oltrepassato in un modo impeccabile la curva cieca del nostro destino. Sembravamo Rossi in quel sorpasso mozzafiato all’ultima curva su Lorenzo, solo che nel fare tutto questo eravamo in una sala operatoria. Adesso aldilà della curva compare una salita, una lunga salita. Si vede la fine e allora sembrerà tutto più facile. Le cose più difficili da fare sono quelle di cui non si capisce il senso, ma in fin dei conti è come risolvere un tema d’esame senza guardare le soluzioni. Poi le guardi ed è tutto banale, ma prima erano tutte banane.
Ho disattivato la You&me. A quanto pare non è servita, dovrebbe essere una bella notizia. Ma è una di quelle curve cieche che non capisco dove mi porteranno, Sergio dice che “…aspettare e finire l’esercizio intanto!” potrebbe essere una buona idea.
Il primo esame è andato abbastanza male, e questo è un bene. Io c’ho un modo tutto mio di motivarmi. Mi faccio sentire una merda e poi mi sfido a dimostrare il contrario. Non so bene come funziona questo gioco delle parti ma alla fine della fiera non ho ancora capito se sono ‘na mezzasega molto motivata o un quasi-genio  senza autostima. L’importante è correre, fino alla fine della strada.

E’ tutto perfetto

Cosa separa un giorno importante da uno insignificante? Chi è il giudice di competenza per tale decisione? Siamo noi stessi o è il risultato di ciò che si è fatto durante l’intero percorso del sole a decretare l’importanza di un giorno? Ci sono quelli che non vorresti ricordare come importanti, altri giorni invece in cui per quanto tu ti sforzi non accade nulla di significativo. Almeno all’apparenza. Quando si ritornerà di nuovo a casa, ogni giorno trascorso sarà importante e non ci sarà mai più un giorno che verrà considerato insignificante. Talvolta il destino traccia delle curve cieche sul nostro cammino, e spesso ci sentiamo minacciati di ciò che ci attende aldilà del tornante. E’ questo il momento di piegarsi come fa il giunco all’arrivo della piena del fiume; soltanto affidandoci all’elasticità del coraggio che si può ammirare ciò che ci sarà dietro la curva.
Piegati giunco, lasciati flettere dalla piena, tieni le radici saldamente piantate e rialzati più snello di prima quando smetterà di piovere. E poi questo cazzo di campionato lo vinciamo ancora noi, che oggi il Milan ha pure pareggiato (e lo zingaro ha preso due pali con un tiro)! Hanno pure spostato la partita alla sera del giovedì, è tutto perfetto! E’ tutto perfetto!

…e siamo in duecento!

E’ da un pò che non scrivo. C’ho avuto il blocco dello scrittore, anche se non sono uno scrittore. Ma c’ho avuto il blocco lo stesso. Questo è il duecentesimo post che sta scritto qua. Se, duecento. Ricordo ancora quando iniziai col primo: venivo dalla geniale invenzione della metafora dell’equilibrista, e bisognava fare sul serio. Così iniziai a parlare di cose a caso, poi di caso a cose e poi ho iniziato a raccontarmi. E così è stato che questo blog ha attraversato tutte le fasi dell’amore, tutti gli alti e i bassi della mia breve carriera di aspirante ingegnere e tutti i flussi di coscienza che soltanto chi vive può raccontare senza inventare.

Allora ho pensato che questo duecentesimo post doveva essere importante, parlare di argomenti considerevoli con un italiano quanto mai perfetto. Ma poi il tempo è venuto a mancare, gli esami stanno sfondando le porte e io mi sono bloccato. E poi ho detto, se voglio continuare a scrivere devo fare un altro post. Non c’è modo. Centonovantanove sono pubblicati, uno rimarrà per sempre una bozza. Diciamo che questo è il centonovantanovesimo-post-più-uno.
Riassunto: sono ancora un quasi-ingegnere: sto studiando come ordinare le cose (Algoritmi e principi dell’informatica), come fare in modo che tante cose entrino in poco spazio e riuscire a far funzionare il tutto decentemente (Reti logiche). Studio come funziona la rete, non quella per pescare (Reti di Telecomunicazioni e Internet) e l.b.n.l Basi di Dati: il corso che dovrebbe spiegarci come e perchè sono importanti le tabelle. 
Sto iniziando a guarire (no in realtà ho ancora la tosse, ma non mi riferivo a quello). Il mio prof di Teoria dei Sistemi (esame già svolto, non so come, chiedete a duli per queste cose) dice che i ricordi di ogni uomo tendono asintoticamente a zero col passare del tempo.
Questo blog è seguito sempre dalle solite persone, più qualcuna in più. Questo mi fa piacere, quando si è troppi a mangiare poi c’è troppo poco da mangiare. E a me piace mangiare, da matti. Mamma ha finalmente rinunciato all’utopia di farmi superare i 60 chili, e io quasi quasi per dispetto sono tentato di superarli.
Doveva parlare di cose insignificanti (Minciati cù l’uossi aruci è giusto un paradosso: non esistono ossa dolci, le minchiate più minchiate che esistono insomma) ma poi mi sono innamorato. E m’è presa la sindrome di Ivan (appena definita così) e tutto il mondo ha iniziato ad assumere un aspetto meraviglioso. E anche adesso è ancora così, come essere ubriachi anche senza bere. 
Sto leggendo un libro che tratta di numeri primi, quel tipo di numero che può essere diviso solo per sè stesso e naturalmente per uno. C’è molta magia nel campo della matematica dietro questi numeri, e le persone che nel passato hanno studiato tali numeri sono anch’esse magiche, talvolta bizzarre ma sempre uniche. E una frase mi ha così tanto colpito che in realtà è stata lei, la frase, a convincermi che fosse ora di scrivere.
“Ci sono un sacco di cose che giacciono sulla spiaggia e che non vediamo finchè qualcuno non ne raccoglia una. Allora, quella, la vediamo tutti”

E’ una frase di una donna, una delle uniche (favoloso errore, una delle uniche) donne matematiche riconosciute: Julia Robinson.
Non so perchè ma questa frase è magica, come il mistero dietro i numeri primi. Ogni discorso potrebbe iniziare con questa frase, e proseguire in modi variegati. Io non ho ancora deciso quale discorso della mia vita far iniziare con questa frase, ma ho in mente qualcosa. Come la foto che appare in alto.
Si sono io, anche se il mio culo sembra più grosso. Sergio dice che me l’ha pompato con qualche sua diavoleria. Ma oltre a questi discorsi anatomici mi piace l’idea di essere su dei binari. Con un piede, con l’altro faccio quel che voglio. Scarpe di ginnastica, jeans e capelli sparpagliati. Come vorrei essere per tutta la mia vita. Culo rivolto al passato e un infinità di futuro davanti a me. Chissà cosa c’è alla fine di quei binari, se incontrerò tram guastati o se ci saranno altri controllori a farmi le multe per eccesso di furbizia. Il passato è così vicino (il pezzettino di rotaia dietro il mio culo), non scordo quello che ho fatto: sono un flip-flop insomma. E c’ho molto pane e cipolla da mangiare, per diventare grande grandissimo. E chiaramente sono ben disposto a smentire i teoremi dell’ordinario. Un flip-flop ribelle che mangia la cipolla (questo è un flip-flop).
Vi hanno mai detto che due rette parallele non si incontreranno mai? Che due persone apparentemente inconciliabili non si uniranno mai? Perchè allora quei binari lì, alla fine della loro strada, si sfiorano, non vedete anche voi come danzano felici? E duecento post in questo piccolo blog non potranno mai bastare per spiegare la vita di quei due binari, del perché poi hanno deciso di unirsi a ballare all’infinito è meglio non provare neanche a parlarne. Ci sono momenti in cui si deve finire di raccontare, momenti in cui bisogna solo ascoltare.

231.584.178.474.632.390.847.141.970.017.375.815.706.539.969.331.281.128.078.915.826.259.279.871 è il più grande numero primo che si conosca. Non ha saputo dire su due piedi a chi importasse.

…come questi duecento interventi. Al prossimo racconto allora, per chi importa :)
P.S In realtà era divisibile per 47, ma è così importante dirlo dopo per chissà quanto tempo avranno calcolato quel numerone?

Come la sorpresa dell’uovo di pasqua

E’ successo, ed è stato tutto meraviglioso. Iniziano a tremare le gambe, guardo il cellulare e poi la guardo. E’ proprio lei, e inizio a pensare che il teletrasporto allora esiste davvero.

Come la sorpresa dell’uovo di pasqua come
se d’inverno uscisse una giornata di sole come
se domani gli esami fossero già finiti come
quando trovi due tuorli in un solo unico uovo come
quando apri il kinder bueno e finalmente trovi la scritta “Hai vinto!” come
quel giorno che mi dissero che avrei avuto un fratello come
quella volta che vinsi una gara quando io neanche volevo partire come
il mio primo trenta, in Analisi1 poi…come
quando trovi un biglietto della lotteria vincente e non ancora giocato come
quella volta che mia madre mi regalo il Gameboy giallo come
la prima volta che riuscivo a mantenere l’equilibrio su i miei piedi e come
quella volta che prima su di una bici e poi su di un motore e come
quel giorno in cui presi la patente.

Come quando c’abbracciammo per la prima volta sulla spiaggia gelata come
quando qualche giorno dopo c’abbracciammo sotto una tenda vicino ad un falò come
poi su quello scoglio che ogni giorno ricordo e ogni giorno ringrazio. Come
quando ci dicemmo “proviamoci…” e poi tutto andò bene e come
il nostro primo appuntamento ufficiale.

Intensi, unici, indescrivibili. Attimi della mia vita che non scorderò, sorprese che si schiudono e istanti da immortalare con la macchina fotografica dei ricordi.
Ma tu adesso sei lì, davanti a me. Butto il cellulare, dove non lo so, e ti corro incontro. Ti schiaccio un piede e l’altra gamba non se la passa bene. Ma la gioia è tanta: ho pure dimenticato che sono stato raggirato da una decina di persone, conosciute e fidate.
E’ tanto che non festeggiavo il mio compleanno con le persone importanti: prima la maturità, poi Fisica e adesso Automatica ed Elettronica. Ma oggi è stato un giorno che non avre immaginato neanche sotto tortura mentale, neanche nei miei viaggi ultra-sensoriali in cui sono solito immergermi.
Tutto è più facile quando si ha qualcuno disposto a mentirti per giorni pur di renderti un uomo felice.

P.S Anche se non l’ho fatto esplicitamente, è chiaro che fra i ringraziamenti è coinvolta in primo piano la cognata piccola, che in fondo è un pò come la nutella.

Di quella volta che avevo l’acne

Adesso tocca a me. Parlo di ciò che mi è familiare, della mia adolescenza. Sono mediocre in molte delle qualità che un uomo definito come essere vivente dovrebbe possedere, ma se è vero che essere adoloscenti è una fase che ognuno di noi deve attraversare almeno una volta nella propria vita allora non sbaglio se affermerò di esser certo che io sono l’adolescente modello, una sorta di stereotipo per l’adolescente umano.
Nel senso che mia mamma potrebbe scrivere il manuale “Non sopprimere tuo figlio con età compresa fra i tredici e i venti anni: ecco come!“. Nel senso che ho tutti i requisiti necessari per partecipare al concorso universale che premia l’adolescente perfetto.
A 13 anni ho tediato (che goduria questa parola partorita da non so chi, ma presente nelle ricerche su goooogle e quindi usabile per ogni scopo immaginabile) mia madre perchè affittasse nel mese d’agosto una casa sulla spiaggia del mio paese: del mare non me ne fregava più di tanto, era della ragazzina “dai capelli neri con mesh colore oro, corti con le punte all’insù” per cui credevo di provare Amore che m’importava (mia madre che legge, lo scopre solo adesso che sono passati sette anni). Non so se piangevo più io o lei, ma in qualche modo quello era l’inizio della mia adolescenza: femmina, fu colpa di una femmina che io e mia mamma iniziammo a litigare. Passò un anno, e s’avvicinivano i miei attesi quattordici anni: volevo un motore (metonimia) ed ero disposto a tutto per ottenerlo. Lo ottenni, e di questo ringrazio mia madre (e siamo a due). Cosa facevo su quel motore è inenarrabile, quanti rischi si possono correre su due ruote invece mi è noto, più che quotidiano in quei giorni. Avevo bisogno di provare i rischi della vita. C’ero abbastanza affiatamento tra me e la mia vita, ma qualcosa non andava per il verso giusto, come per ogni uomo credo. E io solitamente pareggiavo i conti in sospeso che avevo con la mia vita fornendole la possibilità di riscattarsi, salvandomi in svariate occasioni. Adesso ci amiamo alla follia e abbiamo smesso di stuzzicarci, penso che ci siamo stancati di giocare, si fa sul serio da grandi.
Intanto avevo iniziato a credere che fosse un’altra la femmina della mia vita – e come un corridore che prima si misura con una campestre, dopo con il mezzofondo e infine vuole correre la più nobile della corsa, la maratona, – così io credevo di dover fare il massimo per riuscire nei miei sforzi. Cazzo ne so io cosa può un adolescente. Dicono che sia colpa degli ormoni, questa ribellione infinita, la mia cara vicina di casa dice che è la mancanza di sfuocu: ma è solo una fase della perfezione dell’uomo. Io nella mia perfetta adolescenza avevo visto crescere i peli un pò dovunque, era cambiato il mio tono della voce e mi radevo facendo lo slalom fra le pustole d’acne. Acne, bella storia quella. Inizialmente passavo delle creme (magari se avessi speso tutti quei soldi seguendo il consiglio della vicina di casa avrei ottenuto risultanti migliori), dopo ribellandomi ancora una volta non facevo più niente. Ma soffrivo a vedere che l’unica persona che avesse il coraggio di accarezzarmi fosse mia madre, e di questo ti chiedo scusa. Tre.
L’acne ci riconduce al nodo cruciale della mia adolescenza: la femmina. Un adolescente con dei nobili prìncipi, con le bolle in faccia, con un rapporto controverso con la propria vita non ha vita facile con le femmine. Non l’avrebbe neanche un non-adolescente. Quindi ho creduto opportuno trasformare un muro della mia città per tre metri d’altezza e una trentina di lunghezza in una straziante lettera d’amore. Beh, un uomo con degli occhiali non dovrebbe essere picchiato, così dice il codice d’onore. Ed a un sedicenne innamorato non si dovrebbe puntare una pistola alla tempia mentre scrive sentimenti, uomo della legge, solo perchè non ti fa dormire da notti e notti. Ma così è stato, e adesso ho da raccontare una storia in più ai miei nipoti adolescenti. Di quella volta che ho scoperto che la macchina della polizia non ha la leva per abbassare il finestrino, e che i sedili sono di dura plastica, di quella volta quando ho chiamato mia madre alle cinque di notte da un telefono del comando di polizia quando lei sapeva ch’io ero a letto nell’altra stanza. Potevo forse dirle ch’era colpa di una femmina quando invece di darmi uno schiaffo mi guardò quasi con le lacrime agli occhi chiedendomi perchè, perchè le facevo questo? L’ho fatto già diverse volte, ma le chiedo scusa ancora per la quarta volta.
Io poi ho vissuto, essendo l’adolescente perfetto, anche l’esperienza scappare da casa. Due volte l’ho fatto. In una occasione ho rubato arance per due giorni per sfamarmi, e ho bevuto dalla benevolenza delle signore anziane, ho fatto più di duecento chilometri in bici e sono tornato a casa a piedi dopo aver scoppiato una ruota. Nell’altra avventura lontano da casa mi sono solo lavato col sapone da bucato e studiato Cicerone per l’interrogazione in classico latino. In fondo si sa, sono un bravo ragazzo; e poi prendere otto e mezzo al ritorno da una fuga di tre giorni è una esperienza emozionante. La scusa che mi davo delle mie fughe convergevono tutte su quella femmina che m’aveva annebbiato la percezione della realtà ma in realtà stavo pareggiando i conti con la vita, chiedendole solo cosa sarei diventato. Avevo bisogno di puzzare di Aiax per poter apprezzare fino in fondo lo shampoo che mia madre con premura acquistava. In quei giorni ho visitato più volte la caserma della polizia, ma questo non lo racconterò ai miei nipoti. Vorrei che mantenessero la loro particolarissima originalità. Ovviamente non so esattamente con quale spirito mia mamma abbia passato quelle notte in cui io dormivo in chissà quale giaciglio, pensando chissà cosa. Sarei un ipocrita se dicessi che mio figlio così come me non deve fare, ma sono altrettanto certo che quando mio figlio vivrà la sua fuga da casa io fuggirò “con lui”, trascorrendo la notte a cercarlo.
Ho rotto porte, sfondato lavatrici e vetri delle finestre perchè ero un pò arrabbiato, ho nascosto l’uso della parola a mia madre perchè era in leggero disaccordo con le mie opinioni, ho fatto soffrire mio fratello per i miei capricci. E io lo so adesso, e lo sapevo allora: ho sbagliato. E adesso bisognerebbe chiedere scusa ancora, ma le scuse purtroppo tendono a ridurre la proprio efficacia se ripetute eccessivamente.
Ed è così che adesso io, dal mio letto di Milano credo di poter affermare con sufficiente certezza che la mia adolescenza è destinata a concludersi presto. Ancora una volta io sono rimasto ad osservare i miei cambiamenti, e se è così che è finisce devo ringraziare una donna, quella che adesso mi ascolta quando le mie ribellioni iniziano a ritornare e che, con la sua voce pacata, mi riporta alla calma tipica delle persone adulte. Quella donna che non è scappata dopo aver ascoltato la storia della mia perfetta adolescenza e quell’altra donna che non mi ha mai lasciato vivere da solo la mia adolescenza, queste due donne sono le uniche che devo veramente ringraziare. E le uniche con cui dovrò scusarmi quando inciamperò nelle trappole della mia vita che vorrà tornare a giocare con me.
Ma io sto diventando grande e non ho più tempo per i suoi giochi, adesso bisogna iniziare a far capire alle mie due donne che la loro pazienza non è stata vana.

“Tototo”