Archivi del mese: dicembre 2009

Valigia

Solitamente c’è ci sono due fasi sintetizzabili così: felicità estrema nel preparare le valigie, prima fase – andata. Tristezza cò camion nel prepararle, seconda fase – ritorno.
Stavolta qualcosa è andato diversamente, ed è già la seconda volta di seguito che son felice di preparare le valigie.

Ma chi minchia sta succiriennu ?

“Fora si stapi da diu e intra si mori ro friddu”

Tanto per dir qualcosa:

  • Sto in camicia (senza maglione da fighetto) perchè sento caldo.
  • Abbasso i finestrini (non per sporgere il braccio da fighetto) perchè sento caldo.
  • La sera mi metto il giubbotto di pelle col colletto alzato (non per fare il fighetto) perchè sento caldo.
  • Metterei gli occhiali da sole (non perchè sono fighetto) perchè sento caldo.

Sento caldo, ed è quasi la vigilia di Natale. Prevista passeggiata sulla  spiaggia.


“A quattru cosi crèditu nun dati: amuri di donna e carità di frati, suli di ‘nvernu e nuvuli di stati”

Filtramente

La mia macchina va più veloce perchè c’ho pulito il filtro dell’aria nel motore.
Ma io vado più piano perchè ho pulito il filtro del raziocinio nel cervello.
Solo che, chi ci putiemu fari, entrambi i filtri s’incrostano subito.
Per fortuna che il/la meccanico/a pulisce di tanto in tanto quel filtro.

Però quelle fantasie con la tuta da meccanico non sono da scartare…vero ?

A casa sugnu.

Ho dimenticato tutti quei discorsoni sulla felicità e dintorni.
In realtà sono felice quando quell’aereo fa la curva e dal finestrino vedo esattamente sotto di me i terreni dei massari, che paiono pezze di jeans strazzati. E sono felice quando esco dall’aereo e m’entra nei polmoni ossigeno, azoto, e altre schifezze a 20°. A dicembre. Che poi si sente che quello è ossigeno siculo, minchia se si sente.

Posso parlare quanto voglio, studiare, innamorarmi, dire minchiate e fare tutto ciò che mi è concesso: quando il mio piede poggia sulle spalle di Tifeo, in quel preciso istante, so di essere felice. A casa sugnu.

Come un toro che va fino al macello.

Gli strumenti che ho a disposizione mi informano che non scrivo dal 25 Novembre, ma, fortunatamente, gli attimi che sanciscono gli attimi importanti della mia esistenza è svincolata dagli interventi che vengono pubblicati in tale blog.
Gli strumenti che ho a disposizione, con identica puntualità, mi informano che è giunta l’ora di svuotare il sacco di emozioni che ho ordinatamente accatastato nei pochi angoli vuoti del mio cervello.

Come un toro che va fino al macello. Ecco, è di questo che il cervello straborda, e devo trovare al più presto qualcosa per tappare questa falla. Che bene non fa a nessuno.
Come un toro che va fino al macello.
Non è che sia un tipo di molti ideali, poche sono le bandiere che sventolano dal balcone dei miei pensieri. Giusto quel paio di punti fermi, che talvolta tremano, ma che il più delle volte conducono i miei giorni per mano, verso lidi sempre migliori. Così almeno si spera.
E uno di questi punti fermi – e ne sono abbastanza certo – è il tentativo di allontanarmi/scappare/annientare la mediocrità. In tutte le sue forme, la mediocrità in me è una cosa che ripudio. Meglio essere un abile truffatore che un discreto impiegato, qualcosa del genere ecco. Essere il migliore, in cosa saranno le circostanze a deciderlo.
Ma come quel naufrago che più tenta di sfuggire alla furie delle onde e più viene risucchiato giù, come quella pianta che più mira in alto e più s’affloscia sul fragile gambo così io, scappando dalla mediocrità, mi trovo unito ad essa in un abbraccio ripugnante.

Avrò avuto 10 anni, o forse più (conosco l’età “esatta” degli eventi della mia vita perchè ho un termine di paragone fisso fra gli 8 e i 9 anni, e divido la mia vita in prima e dopo). I miei divertimenti erano compresi tutti fra un PentiumIII con 800Mhz di processore e 512mb di Ram e la strada. Mediocre. Il pc era un buon pc, ma non il massimo. In strada ricordo esattamente di non essere il leader, mi facevo rispettare ma non ero un leader. Funzionava così: se eri bravo col pallone eri il capo del gruppo. Se non lo eri al massimo bussavano alla tua porta quando mancava un portiere o quando nessuno voleva contare a nascondino.
E io potevo contare solo sulla agile corsa e la forza nel tiro. Niente eleganza, solo furbizia e potenza fisica.
Dopo un paio d’anni, in strada non scesi più. Niente più calci ad un pallone sotto il sole d’estate, in mezzo ad una strada dove anche le auto non riuscivano a capirci. Niente più fughe a casa col cuore in gola perchè avevi tirato forte contro l’auto nuova del vicino. E i segni del pallone erano rimasti indelebili su quello sportello. Scappa, scappa: e se il pallone è il tuo inizia a pregare.
A scuola il migliore lo sono stato raramente. Così urlava la pagella a fine quadrimestre. “Il ragazzo è intelligente, è che non si impegna” erano le parole che mia madre era costretta a subire durante i colloqui. Nè il migliore, nè il peggiore. ‘Nto mienzu.
Non ho voglia continuare a raccontare episodi, storielle. Solo vecchie storielle, che conservo per i figli e i nipoti.
E adesso mi ritrovo qua a scrivere su un mediocre letto, conducendo una vita (ancora) ignota, sanza ‘nfamia e sanza lodo.
Quando ho iniziato a scrivere questo intervento (e quindi prima che mi venisse in mente il vortice di pensieri che conduce alla scrittura) mi chiedevo come accade che colui che fugge l’ignavia, ci si ritrova invischiato come una mosca in una tela. E la mosca in quella tela ci lascia l’ultimo sospiro.
Ma alla fine qualcosa l’ho trovata, non sono mediocre in tutto. Almeno così il mio cervello suggerisce.
Ambizione. Sfrenata ambizione. Brama d’assalto ai miei sogni. Senza riscontri effettivi per adesso, ma nella mia testa ho tutta una vita. Disposto a sacrificarmi, a sacrificare per ottenere ciò che voglio. Come quando correvo più veloce degli altri per sfuggire dalla morsa del vicino con l’auto impallonata, correvo per arrivare per primo nel nascondiglio migliore.
Farsi il culo (non ho trovato espressione equivalente) per sfondare di soldi, per poter far ciò che si vuole quindi.
Sono il migliore, si chè lo sono. Le migliori ambizioni stanno dentro di me, e di questo ne sono certo quanto la mia mediocrità nelle restanti abilità.
Come un toro che va fino al macello.
Ecco, si è vero. Un’altra cosa che mi distingue. Impulsività. Come un toro, che purtroppo, va fino a questo macello. C’è poco da vantarsene, ma è così che son fatto ed è così che dico.
E lele ci prova a mettere i paletti, ci provo a non dare calci agli agrumi e pure a comprendere come sui tram tutti ascoltino le tue parole. Bisogna stare attenti, devo stare attento. Ma pare che non mi sia concesso sbagliare, che tutti lo sanno:
Come un toro che va fino al macello.
Io al macello non è che voglio andarci, anzi. Sono un toro gentile, educato e rispettoso della brava gente. Quella gente che è totalmente diversa dai piccoli e grandi bovini intorno a cui sono cresciuto.

Come un toro che va fino al macello.
E’ il Sacro Libro che dice ciò: un toro da monta che va fino al macello. Qualcosa continuo a non capirla, qualcosa tento di comprenderla, e qualcos’altro non lo capirò mai.

“Ditemi una cosa: non è vero che io vi sembro molto brutto?”
“Vero, sì”, rispose “perché io non sono avvezza di dire una cosa per un’altra; peraltro vi credo buonissimo di cuore.”
“Avete ragione”, disse il mostro, “ma oltre all’essere brutto io non ho punto spirito, e so benissimo d’essere una Bestia.”
“Non è mai una Bestia”, rispose, “colui che crede di non avere spirito. Gl’imbecilli non arriveranno mai a capire questa cosa.”
“Se avessi un po’ di spirito”, disse la Bestia, “farei un complimento per ringraziarvi: ma io sono uno stupido; e tutto quel che posso dirvi è che vi sono obbligato.”