Archivi del mese: luglio 2010

Resoconto dettagliatissimo della serata di ieri. E altro.

Ieri ho compiuto un salto nel passato interessante. E c’ho pure guadagnato.
Avevo 13 anni e mezzo, ed era sabato: la prima volta che lavoravo “ufficialmente”. In realtà quel giorno non feci molto, era il mio primo giorno di lavoro in una pizzeria e soprattuto c’era Milan-Inter. Credo che non diedi l’impressione di essere un gran lavoratore quella sera; sarà anche per questo, forse, che il mio primo giorno di lavoro non coincise con il mio primo salario.
Da quel sabato fino ai diciotto anni ho trascorso il sabato sera vicino a un lavandino/friggitrice/forno/motorino per consegne.
Il lavoro è semplice, un quattro-cinque sabati ti permettono di saper cosa fare senza che qualcuno ti dia dritte. La paga è misera e la fatica è troppa. Guadagnavo 25euri a sabato, poi 30. Poi mi licenziai: volevo 35euri e non me li volevano dare. Me ne andai a lavorare dove 35euri me li davano. Dopo un pò non mi bastavano più e ne volevo 40. Poi mi licenziai, ne volevo 45. E il capo era un fottuto stronzo.
10 ore di lavoro, eseguite quasi per intero in piedi-di corsa-a quattro zampe. Non seduto, chiaramente. Quando ti va bene durante tutto l’arco della giornata lavorativa non hai crisi. Altrimenti verso le 11 avverti uno spiacevole senso di morte prossima. E’ ‘nta accianata cà si provunu i scecchi. Io ero solito lavarmi la faccia più volte e prendermi un caffè. E poi pensavo al letto di casa mia, e avevo brividi orgasmici lungo tutto il corpo. Dopodichè ero pronto a concludere la serata.

Cazzo, 4euro l’ora (la mia massima paga mai raggiunta), senza contributi, per 10 ore di lavoro dovrebbero sembrare pochi anche a chi questo lavoro non l’ho mai fatto. E’ il caso di fare una dicotomia: chi ha lavorato in una pizzeria e chi non c’ha mai lavorato ma anche chi ha lavorato nei campi e chi no, chi ha lavorato coi muratori e chi no, chi può comprarsi un motore nuovo e chi ha bisogno dei 25euro del sabato per la benzina, chi ha bisogno di capire cosa è il Lavoro e chi no. Tertium non datur.
Che poi pizzeria (o ristorante che sia) è facile a dirsi: io ho una particolare idea di cosa vuol dire lavorare là dentro, e il più delle volte non coincide con gente che ha lavorato in una qualsiasi pizzeria.
Istituirei un servizio di leva: dai 14 ai 15 anni si lavora in una pizzeria scelta dal sottoscritto tutti i sabati del mese. Portare e farsi portare rispetto, imparare ad aprezzare il denaro, comprendere le dinamiche della vita concreta, interagire con la fatica sono solo alcune delle parole chiave che stamperei nel manifesto di propaganda del mio servizio di leva appena ideato. E mi sa che dovrei metterlo obbligatorio…

Ieri sera è stata una bella giornata di lavoro. A fine serata non strisciavo a terra (ma sarebbe bastata un ora in più e bum!), ricordavo dove erano messi i piatti da primo, con quale sapone pulire la lavastoviglie a fine serata, come tagliare il prezzemolo e come interagire coi tipi che si fanno portare la pizza a casa per farmi riempire le tasche di mance. Erano gesti della mia adolescenza, e ogni movimento di ieri mi ricordava i miei pensieri di anni fa. Quando raccoglievo la legna e vedevo passare la ragazza più bella della classe andare a mare, quando canticchiavo con la testa interamente dedicata alle cose da fare prima di morire mentre preparavo il pomodoro per le pizze, quando attendevo impazientemente un messaggio e intanto lavavo montagne di piatti, quando andavo a fare consegne e al ritorno in pizzeria sfogavo tutto la pressione fra le macchine. Le risate in cucina nei rari momenti di pausa, i racconti dei grandi, gli aneddoti dei consegnatari. A un certo punto ieri mi sono chiesto se non fosse proprio questo il lavoro a cui sono naturalmente destinato. “Piacere, sono Giò il pizzaiolo laureato”. Se non fosse per la paga e per l’impossibilità di installare l’aria condizionata in cucina non suonerebbe proprio malissimo.
Concludo con un aneddoto da consegnatario di ieri sera. Porto queste tre pizze e una patatina (sineddoche) una casa di un tipo (che poi si scopre essere un tipo ricco e quindi la casa era una villa a due piani). Arrivo con la centoventisei, tiro il freno a mano, ripasso il prezzo da comunicargli e mi appresto a suonare al campanello. Solo che nonostante io provi a schiaccare il pulsante adibito ad avvertire la famiglia in questione che è arrivato il tipo delle pizze, nessuno mi risponde. Anzi sento una voce di una bambina provenire dal citofono stesso.

“Papà io c’ho fame, AAAAAAAAAAH, C’HO FAMEEE!”
“Stanno arrivando le pizze, ho chiamato più di mezz’ora fa…”

E io ero di fuori con le pizze a cuocermi le mani ad ascoltare questo scorcio di vita familiare…

“Ma quand’è che arrivano? AAAAAAAAARRGH!”
“Adesso provo a chiamare…”

A quel punto allora mi sono messo a suonare il clacson della macchina come se avessimo vinto i mondiali, ho iniziato a suonare tutti i pulsanti che trovavo senza leggere per bene a cosa erano adibiti.
Dopo cinque minuti mi ha aperto qualcuno, è sceso in ciabatte il padre e ho consegnato le pizze. 15euri e neanche uno di mancia. Ma vaffanculo va…a prossima vota a pizza mà manciu iu!

FDC – 5

Neanche adesso so cosa dire, adesso che è passato quasi un anno. La maggior parte dei miei interventi iniziano senza che io sappia cosa raccontare, e finiscono in un modo che io stesso non avevo immaginato.
Sono a casa, e stavolta ci resterò abbastanza da potermi cullare un pò con quest’aria nuova. Fra meno d’una decina di giorni m’appresto a vivere un mese importante, ho una decina di promesse da mantenermi. E mi piace da matti sfidare me stesso. Sono stato dall’orologiaio, dice che probabilmente l’orologio si può buttare. Prova verso fine settembre a portarlo con sè in Svizzera, ma non mi si assicura nulla.
Adesso non so se darei altri pugni, mi sento più mare a mezzanotte che onda da scogliera. Non c’è più bisogno di dover scolpire lo scoglio, e la cosa mi fa stare meglio. Posso cullarmi lento, senza dover necessariamente lottare contro qualcosa e qualcuno.
Ovviamente non mi sono trasformato: mi piace ancora mostrare la lingua a chi crede d’averne di più di me. E ho ancora quel vecchio vizio di giocare a giudicare, ma oggi vedendo quel ragazzo dal ferramenta e vedendo quella figlia di ignoranti siciliani all’aeroporto mi sono reso conto che mi sto salvando.
E’ un mondo pieno d’ignoranza, e io soffro per salvarmi. Certo quando poi gente ignorante prende 30 e lode, io giudico loro, poi giudico me e puoi ricu pacienza.
Non sono affatto perfetto, ma mi piace pensarlo. Di tanto in tanto chiedo scusa per gli sbagli compiuti, e poi torno a giocare a essere perfetto. Perchè la palla arrivi più lontano il cannone deve puntare in alto. E ci vuole anche quella persona che ti ricordi che stai andando troppo in alto, che devi correggere la mira se non vuoi fermarti prima dell’obiettivo.
Piante di basilico, gerani e citronella.
Il letto in ferro battuto, quanta anni sono passati dall’anno scorso ?

L’invincibile

« Dalla notte che mi avvolge,
nera come la fossa dell’inferno,
rendo grazie a qualunque dio ci sia
per la mia anima invincibile.
La morsa feroce degli eventi
non m’ha tratto smorfia o grido.
Sferzata a sangue dalla sorte
non s’è piegata la mia testa.
Di là da questo luogo d’ira e di lacrime
si staglia solo … l’orrore della fine,
ma in faccia agli anni che minacciano
sono e sarò sempre imperturbato;
non importa quanto angusta sia la porta,
quanto impietosa la sentenza:
sono il padrone del mio destino,
il capitano della mia anima »

“Pronto!? ciao Ivan , stasera che hai da fare ?”

Se dopo la seconda o terza lezione non lo ricordo più, ma questo post è stato ripromesso tempo fa. Qualsiasi sia stato l’esito io avrei scritto quello che segue.
Salve prof, sono lo studente che oggi le ha scritto due email, che l’ha chiamata al telefono come si fa con un amico, che poi è venuta a trovarla in ufficio ed ha assistito come studente alla riunione per decidere la frequenza del Tac (che ho scoperto oggi non essere solo quella pratica più o meno fastidiosa a cui ci si sottopone quando si sbatte la testa). Sono quello studente che sbaglia i conti banali, e quelli difficili non li fa o li da per scontati. Si sono io, quello studente che le assomiglia fisicamente. M’hanno soprannominato suo figlio o suo fratello (a seconda delle versioni che circolano) (ad avercelo un padre così).
Nella seconda o terza lezione – adesso proprio non ricordo – mi sono promesso che a fine corso t’avrei detto che io da grande sarei voluto essere esattamente come te (basta formalismi, ormai il voto me l’hai messo).
Per tutto quelle cose per cui non ci si può far niente siamo già apposto, fisicamente c’assomigliamo. Per le altre siamo ancora ammenzu na strata, ma su questo ci possiamo quantomento impegnare. Non sono un istruttore di apnea, riesco a resistere un minuto e qualcosina ma solo nella vasca da bagno; un annetto fa ho smontato il gruppo termico del mio F15 (che nonostante il nome altisonante non è che un 49cc (era)). L’ho rimontato scordandomi di rimettere al suo posto la gabbia a rulli nella biella e senza guarnizione tra il blocco e il cilindro. Risultato: il pistone giocava pericolamente mentre sbatteva in testa (diciamo che lo squish tendeva asintoticamente a zero). Nessun danno però, era in ghisa e adesso dopo una rettifica fa ancora il suo dovere. Ma nonostante tutto ciò il controllo di trazione era sul mio polso destro, non ho mai avuto le possibilità di andare in pista e così mi sono sempre accontentato delle strade comunali (ma con il casco indossato contro ogni pregiudizio). In piscina poi ci sono stato un paio di mesi, e le due vasche non le ho mai cronometrate: un giorno mi buttarono a mare e mi dissero che dovevo saper galleggiare prima, nuotare poi. E io c’ho creduto. E non ho neanche il costume intero, che in fin dei conti fa tanto figo.
Non ho mai fatto free-climbing e non sono mai stato in America, nè per lavoro nè per svago.
Ma io voglio diventare come te, da grande.
Avere una lavagnetta in un ufficio con annotati gli articoli da dover scrivere e sbarrati quelli già scritti. Chiamare un LaBanca per controllare di non aver sbagliato i conti (e a me questo servirebbe). Una moto di quelle che puoi aprire senza stare attento che ti si stacchi la serpentina del carburatore (ma che se succede comunque a terra non ci finisci), una pista dietro casa dove fomentarmi la domenica mattina, un’auto abbastanza bella (anche se la tua non mi esalta) che porti la moto nella pista dietro casa. Avere un lavoro che mi eccita al solo entrare in ufficio, e dire a un citofono agli amici di munirsi di pass per salire. Comprare una casa mentre tutto il resto della gente intorno a te sta cercando di capire che minchia vuol dire dimensionare R4…, sposare una donna che si chiama Marta, avere tutti i bianconi, avere ancora tutti i capelli (e quasi tutti neri) a 34 anni e farmi le foto cogli amici sui tetti del politecnico senza necessariamente essere arrestato.
Quei suoi (o tuoi) discorsi su come va il mondo fuori da quest’edificio chiamato Politecnico durante la seconda o terza lezione mi hanno fatto riflettere, hanno alimentato dibattiti e discussioni tra i miei amici (quello che disgraziatamente ha sempre il tram rotto, la ragazza della seconda fila e il tipo appassionato di fotografia). Non mi laureerò (ma come minchia si scrive sta parola, boh!) con i suoi 110 e lode, e la mia media non è invidiabile. Queste parole m’ero ripromesso di dirgliele in faccia, che è assai più interessante osservare la reazione della gente negli occhi. Ma oggi quando quasi elemosinavo un 23, ho avuto vergogna di me. Potevo dirle che volevo diventare come lei? Non ho mica scordato la sua attenta analisi (peraltro assolutamente veritiera) quest’oggi sul mio 24 e poi 23. Insomma non sembro esattamente il tipo che può seguire le sue orme. Ma è un pò come quando m’hanno buttato in mare dicendomi che dovevo saper galleggiare, così adesso. Voglio avere una vita come la sua, e io di ciò ne sono abbastanza convinto (magari cercherò di non puntare troppo sui convertitori analogici-digitali). Si, proprio abbastanza convinto.

Credo d’aver finito le cose che dovevo dirle, o forse s’è solo esaurita la vena di follia che m’è pigliata durante la seconda o terza lezione, quando ho deciso di dirle tutto ciò.
Se posso, però, avrei ancora delle ultime domande:

  • Cosa si prova ad aver tutto ciò che si vuole ? E se non è così, cosa vuole ?
  • Si è mai accorto che m’assomiglia ?
  • Non è che alla luce di tutto ciò, possiamo rivalutare (occhiolino) quel “±2V” ? 

(Scherzo eh). Accetto il 23, ho un fratello, una mamma e tutta la mia isola che non mi vedono da 4 mesi. Sto tornando a casa finalmente.

RingraziandoLa anticipatamente,
Distinti Saluti.

Cento impervie e uno scoglio – 4

Mesi e mesi erano trascorsi. Tutti uguali, tutti apparentemente inutili. Matteo era stanco, Emanuela la mattina faceva sempre più fatica ad alzarsi e anche la loro vivace figlia pareva accorgersi di quell’anno estenuante.
Matteo pian piano era riuscito ad affermarsi sul posto di lavoro e adesso aveva finalmente a disposizione qualche settimana di ferie. Emanuela aveva già superato questi problemi, e la piccola era stato promessa a pieni voti: aveva portato la pagella a casa urlando come la mamma!!.
Matteo e Emanuela stavano ormai pensando da giorni a una vacanza, ad un viaggio che avrebbe risollevato le forze dell’intera famiglia.

La spiaggia era sempre piaciuta alle due donne della famiglia, Emanuela amava prendere il sole e fare lunghe nuotate in solitaria. Ognuno di noi è destinato a saltare gli ostacoli prima del lungo tratto rettilineo. La piccola amava farsi sommergere dalla sabbia calda, scavare dei fossi e costruire fragili castelli. Lui, Matteo, preferiva sedersi sotto l’ombrellone e osservare col suo binocolo ciò che accadeva sulle navi al largo. Restava seduto a fissare sua figlia e sua moglie: niente di quello che stava vivendo lo aveva immaginato, la realtà talvolta è più lesta dei sogni.
La sera erano soliti andare in un parco; Matteo e Emanuela si siedevano in una panchina verde e si abbandonavano fra i loro lunghi discorsi e le lente onde del mare. La loro figlia sedeva ad ascoltare quei discorsi forse troppo grandi sulle gambe del padre, fintanto che qualche altro piccolo uomo non salisse sui giochi del parco. In quell’unico momento mostrava realmente gli anni che aveva, ma durava poco. Già simile alla mamma, sbuffava al solo vedere gli atteggiamenti dei suoi coetanei.

Trascorrevono belli e veloci i giorni di quella vacanza. Emanuela non credeva a quello che stava vivendo. Ed era scettica di tutto ciò anche prima di partire, affrontando – come al solito suo – i draghi quando ancora erano lucertole. Fortuna che c’era chi, al suo fianco, riconduceva a fatica ogni problema alla sua reale dimensione.
Tutto andava come doveva andare, nella migliore dei modi possibili.

Le palle

Devo, lo devo fare. Usare una espressione colorita, abusata dagli autoctoni di Grezzaland e che provoca e ilarità e disgusto nel resto della gente civilizzata:

Me ne sto andando a sciacquarami i baddi!

Si, sto soltanto andando in piscina. Ma io in questa frase così intensa ci leggo la tensione accumulata in una sessione d’esame che pare essersi finita, ma che potrebbe nascondere ancora qualche insidia deplorevole. Ci si (Pardon: si ci!) legge l’ansia di uno studente serio, rispettoso dei principi che stanno alla base del far ingegneria (uno solo in realtà: interrompere i contatti col mondo esterno == abbrutirsi).
Tornando alla nostra immagine pittoresca io l’ho sempre immaginata così.
Una fila di uomini, di quelli con le palle (non quelli particolarmente impavidi, quelli proprio con le sfere) sul bagnasciuga di una spiaggia. Quell’uomini pelosi, che non c’hanno (quanto mi piace usare questi dialettismi) bisogno di mettere la crema, che comunque resterebbe solamente al primo stadio, al pellicciotto.
Lì, con le gambe leggermente divaricate a lasciare che le onde accarezzino sinuosamente (e qui gli ingegneri potrebbero iniziare lunghe discussioni…) quegli attributi, oramai note come palle (che poi tale appellattivo potrebbe essere fuorviante date le indiscusse qualità ellittiche di quest’ultime).

Ci sono giorni che cambiano interi mesi di studio, giorni che cambiano anni e anni di vita e di quest’ultimi ne ho ancora ricordi tanto vivi da provare brividi fra i capelli, giorni che finiscono rantolandosi in un letto, apparentemente solo.

Restiamo allegri quest’oggi, quest’oggi sarà un giorno con le palle (pardon, con le ellissi!).

Ferro ignique

Ferro ignique

Adesso è così: col ferro e il fuoco. Non ce ne fotte a nessuno (sic) chi sei, perchè stai barcollando sotto i colpi impietosi della vita. Là fuori sei solo, davanti quel foglio interamente bianco ognuno esprime il suo istinto primordiale. Ferro ignique, bisogna stringere un cuscino fra i denti quando ti spezzano le speranze e mordere. E mordere più forte che puoi.
Di tutto ho timore e di poche cose ho certezze. Che io i denti li so stringere meglio di tutti gli altri è una di queste. E’ una cosa così che sento, sento di essere il migliore in questo. Cederei tutto il corso della mia restante vita a chi ha voglia di rovinarla senza nessuna paura di ripensamenti, non prima però d’aver posseduto fra le mie mani l’intera realizzazione di ciò che voglio.
L’altro giorno, che poi sarebbe ieri ma sempre d’un altro giorno trattasi, avevo mal di testa, caldo e un puttusu nello stomaco, dato che la nausea pre durante e post esame m’hanno alterato il normale ciclo biologico cibo-cacca (adesso sto tentando di porre rimedio, ho comprato la frutta). Mentre tentavo di tornare a casa, mi sono chiesto il perchè di tutto questo: “che sballo sarà essere una farfalla” ho pensato. Ma poi, ho riso, e tutto mi è sembrato più facile: io sono il migliore a stringere i denti, non ho nessun problema.
Credo d’aver perso un paio di chili, e se penso a cosa avrebbe da dirmi mia madre se mi vedesse in questo momento, mi viene da guardare i fossi che ormai hanno preso il sopravvento sulle mie guance. Il problema non si pone: una cura massiccia di tacchino al forno per un paio di giorni e tornerò al mio peso forma: sessantre chili scarsetti.

Adesso ho voglia di tornare a casa, e quest’evento potrebbe non essere troppo lontano. Di passare la più bella estate della mia vita, coronando quindi il quasi anno più bello della mia vita (che è diverso dell’anno quasi più bello della mia vita). Per il resto, esami a carriolate e 21 che escono fuori come vermi impazziti, sono solo tappe obbligate che devo superare.
Datemi un altro cuscino, il mio l’ho appeno distrutto.