Archivi del mese: marzo 2011

Per queste cose… – 3

Inizio questo post con un ringraziamento a Bluescuro, quello non troppo alto e con non troppi capelli.
I ringraziamenti poi si dirigono lesti lesti a coloro che hanno partecipato alla giornata di ieri, la più bella giornata da mesi. Due o tre giorni così all’anno potrebbero bastarmi per ritenermi felice di tutta la mia vita. Ovvio, sono felice lo stesso: la febbre m’è passata.

Posso quindi ringraziare tutti i partecipanti a questa bella giornata e a questa foto…e vabbè che non si vedono, ma dietro ve lo posso assicurare si dovrebbe trovare la gente che m’ha accompagnata in questi tre anni di vita universitaria. Poi c’è Simone che si vede, ma il discorso non cambia. Anche per Duli sotto l’ascella il discorso è analogo. Fra di noi c’è molto affetto, con qualcuno di noi molto di più. Vediamo un paio di esempi:

Siamo andati in giornata nel vicino parco del Ticino. Zona Motta Visconti, città di poche anime ma alcune davvero molto gentili e disponibili. Alle 9 del mattino eravamo già in sella ad una bici, mezzo che avrebbe lasciato segni indelebili nei cuori di qualcuno e altri meno piacevoli nel culo di altri. Alcuni hanno provato entrambe le sensazioni, ed è a questo che il prof. Vecchioni si riferiva quando scrisse “Il tuo culo e il tuo cuore“. Sinceramente neanche io pensavo che il percorso potesse essere tanto lungo e pieno di atmosfere mozzafiato. Quando avevo pensato questa giornata l’avevo costruita considerando il nostro limite superiore: due ragazze al seguito. Ma avrò sbagliato qualcosa: le salite c’erano e il fango non mancava. Eccetto qualche pianto liberatorio e una topless mud-fight (sto scherzando…) le femminucce si sono rivelate abbastanza maschi. Questo il percorso che, eccetto alcune deviazioni, (1. Quando ci siamo ritrovati in mezzo a un campo e nient’altro; 2. quando ci siamo trovati in una distesa di sassi e nient’altro; 3. quando abbiamo lasciato il sentiero per imboccare una provinciale piuttosto trafficata; 4. Nient’altro.) abbiamo percorso:

Non è segnalata la strada che abbiamo dovuto percorrere per raggiungere il sentiero, ma all’incirca saranno stati una ventina di chilometri scarsi.
La bici è un attrezzo fantastico. Il mio utilizzo principale di queste due-ruote è stato come valvola. Di quelle da sfogo. Ho percorso molta “strada” col sellino sotto il culo e spesso con l’incazzatura nel sangue.
Ma ieri era diverso: doveva essere una giornata fantastica, solo divertimento e zero pensieri, una giornata per dimenticare gli esami (…ma abbiamo brindato col Nero d’Avola al nuovo semestre). Ed è stato così, porca puttana ladra, è stato tutto così.

Io poi c’ho aggiunto la mia dose. Anche se Duli ci scherza su, è proprio così: c’ho un modo un poco diverso di intendere il divertimento. L’imprevidibilità, le soluzioni istintive, le salite estreme e i jeans bagnati per aver guadato il fiume con la bici. E il rischio di farci un bagno non proprio gradito. C’ho bisogno di cose un po’ fuori dall’ordinario per far rilasciare quella chimica necessaria che mi faccia sentire il divertimento. Al solito vediamo qualche esempio:


Sono nato in campagna, figlio di contadini, figli di contadini. Non sono un tipo molto “raffinato”. Conosco la buona educazione, non faccio rutti in pubblico se non con gli amici, odio essere diplomatico e quando voglio dico le cose in chiaro, così come sono. Ma è in campagna che riconosco di essere il vero me, quello senza filtri. Soffiarsi il naso “alla contadina”, arrampicarsi sui muri, correre qua e là, usare gli alberi come scale, mangiare con le mani, non curarsi della cenere che svolazza sulla carne. Accontentarsi e adattarsi. Forse niente di tutto questo è frutto dei luoghi della mia nascita e forse queste caratteristiche si adattano più a un porcidduzzu che a un cristiano. Ma semplicemente questo è il mio modo di intendere il divertimento: divertimento, non pagliacceria.
La giornata dopo le fatiche del viaggio è proseguita con la classica grigliata. Dopo qualche problema col fuoco dovuto ai legni umidi e alla non praticità del luogo del focolare, siamo riusciti a pranzare (alle 3 p.m.) pezzi di carne cotta più o meno a puntino.

  
Spiedini: specialità dell'”Uomo nero”

La fame avanza…
…e le donne!
Gli uomini…

Che spettacolo, che spettacolo. Che giornata. Oggi è un giorno importante, è un 27. Il ventisette c’è da sapere che per la mia esistenza è un giorno potente. Un mucchio di cose sono accadute di 27. Alcune sono belle, altre stupende e purtroppo ce n’è qualcuna che non sono cose piacevoli. E poi ci sono quelle cose che non sai se sono un bene o un male, se portano più problemi o più sollievi. Tutte cose che son successe di 27. Quelle cose su cui sospendi ogni giudizio. Aspetti cosa accadrà, cosa sarebbe cambiato, provi ad andare avanti e intanto organizzi il tuo tempo. E talvolta escono fuori delle giornate meravigliose come quella di ieri.
Che però è caduta di 26, uffa! (Però questo post è stato scritto di 27. Ed è il post con più foto in assoluto)

Per tutte queste cose, insomma.

Lo sbaglio

Capita che passi giorni e giorni a pensare, poi capita che ti ricordi di una canzone che non ascoltavi da anni. Poi capita che ti ammali per un colpo d’aria preso fuori dalla piscina, e capita che non c’è nessuno a infilarti il termometro sotto l’ascella. Capita che tutte queste cose sono capitate questa notte, notte assolutamente insonne (e siamo a due). E la notte non posso fare sport per distrarmi.

Certi problemi non sono un dramma
Perchè è la vita che li programma
E questa vita
Mi ha messo in vita
Forse quel giorno era impazzita

Certi problemi non sono un dramma
Perchè è la vita che li programma
E se lo fa sa quel che fa
E chi lo sa quand’è che sbaglia
Quando ci dona quando ci toglie
E chi lo sa quand’è che sbaglio
Quando son solo o con mia moglie
E chi lo sa quand’è che è meglio
Se per capire cosè uno sbaglio
Nessuno sa qual’e la soglia
Per poter dire diamoci un taglio
Chi lo sa se darci un taglio
Non sia frutto del prorpio orgoglio
Non so più qual’è il mio meglio
Se non si scioglie questo groviglio

Certi problemi non sono un dramma
Perchè è la vita che li programma
E se lo fa sa quel che fa
E chi lo sa quand’è che sbaglia
Quando ci dona quando ci toglie
E chi lo sa quand’è che sbaglio
Quando son solo o con mia moglie
E chi lo sa quand’è che è meglio
Se per capire cosè uno sbaglio
Nessuno sa qual’e la soglia
Per poter dire diamoci un taglio
Chi lo sa se darci un taglio
Non sia frutto del prorpio orgoglio
Non so più qual’è il mio meglio
Se non si scioglie questo groviglio

Non so più qual’è il mio meglio
Se non si scioglie questo groviglio

Tutta apparenza un solo abbaglio
Non c’è canzone senza uno sbaglio

Vecchio post: “In diretta dal GS: Il desiderio di paternità”

A volte torno a leggere cose che avevo scritto anni fa. Questo post è stato scritto il 18 luglio del 2009. Quasi due anni fa dunque, e molte di queste cose sono ancora attualità. Tranne per come le ho scritte, mi sembrano stupende e scritte dieci volte meglio di come ho scritto gli interventi recenti. Di questo post mi piacciono i “colpi di testa”, quelle frasi messe lì che sembra non abbiano senso. Mi piace il ricordo del passato che sembra quasi attuale, dato che tutto ciò mi ricorda le speranze i sogni le sensazioni e le emozioni (tutturututu!!) di quell’estate lì. E poi mi piace la fine, se non l’avessi scritta io la metterei come frase personale su msn e su facebook e se avessi twitter anche su twitter.

Oggi sono uscito dallo studentato.Bene il post è finito.
…nono sarebbe troppo comodo…ho scritto due cazzate in croce, un pò misteriose un pò inutili, e poi potrei terminare con un “…trafitto da un raggio di sole ed..ehm..e..tutti a letto che è tardi”.…Diciamo che il post potrebbe essere giunto già alla fine.Ci sta l’effetto sorpresa, l’eccezionalità di un evento e l’ansia del finale aperto (sequel del tipo “Riuscirà il nostro eroe a ritrovare la strada di casa ?” oppure “Riuscirà a sconfiggere i mostri del mondo esterno?” ).Beh no invece continua.Ho consegnato dei libri in biblioteca, ben 4 libri di Fisica, ho saputo di essere stato multato per 24 giorni perchè ho tardato di ben 4 giorni la consegna. E’ giusto è giusto, quel libro avrebbe potuto salvare il destino di decine di studenti e non avevo nessun diritto di avere la Scienza tutta per me (risata diabolica).E così mi sono trovato nel parco di fronte al politecnico..ecco..avevo fame, ero fuori. La luce era così accecante, l’aria così rarefatta ed ero abituato alla gravità della Stanza dello spirito e del tempo (solo un paio di persone capiranno questo, il resto andrà oltre…ah non c’è un resto? beh perfetto!).Ma avevo fame, e mi son chiesto quando mai sarei riuscito dalla mia cara stanzetta, quando mai si sarebbe ripresentata questa occasione. Fortunatamente la risposta è stata elaborata velocemente. MAI. Avrei potuto aspettare molto, titubare tanto, restare fisso a guardare i piccioni per ore. Ma, fiùù, tutto ciò è stato scongiurato. Il GS mi attendeva.Mi avviai così verso sto famigerato GS, fonte di libagioni per orde di studenti affamati.Faccio la mia bella spesa di porcherie da mangiare prima d’iniziare a studiare, e procedo a passi lenti e decisi (il nostro eroe è determinato a liberare il GS dal male che lo avvolge) verso la cassa.Ecco ora la scelta della cassa è cruciale.La gente non ha capito nulla. Saremo andati sulla luna, saremo tornati dalla luna, sapremo saltare su un piede, cantare “Jingle Bell” e fare le capriole…ma non sappiamo scegliere con criterio e ponderatezza la cassa idonea.Non bisogna mai e poi mai scegliere la cassa con meno fila. ERRORE ERRORE ERRORE. Meno fila vuol dire che il Cassiere c’ha i coglioni che descrivono un moto circolare uniforme (n.d.r incazzato). Cassiere incazzato vuol dire che passerà la tua Bonnut tre volte, la tua misera cassa d’acqua misteriosamente (e lautamente) diventerà pari ad una riserva acquifera per l’intero Casalpusterlengo, e ti darà i sacchetti di plastica geneticamente modificati cosicché ti si “sbracano” il passo prima di inserire la chiave nella toppa con conseguente moto circolare uniformemente accelerato dei tuoi zibibbi. Si sa, i cassieri sono gente cattiva.Così scelsi la cassa con la fila più lunga, quella in cui c’è sempre la naughty cassiera, e iniziai a farmi i cazzi degli altri. Si sa la fila è lunga, il paesaggio è privo di amene attrattive (se trascuriamo il reparto ortofrutta), io sono cazzino (ma nel senso buono) e l’unica cosa interessante è il messaggio che sta scrivendo sull’iphone “cool” la tipa dark-emo-techno davanti a me. Dice che lascia il suo ragazzo perchè è troppo assillante. Dico che sono tutte (quasi) uguali, e dico che è una goduria leggere i messaggi. Soprattutto quando non sono i tuoi.
Davanti a me una lunga fila, la ragazza finì di scrivere il messaggio e nascose da occhi cazzini quell’iphone. Ero nuovamente senza far nulla, e le porcherie da mangiare prima d’iniziare a studiare si facevano pesanti (non avete idea quanto possano pesare i tuc col sale).Così delle urla di bambini attirarono la mia attenzione, in realtà poteva essere qualsiasi cosa in quell’istante..ma furono dei bambini.Due bambini, uno avrà avuto 3 anni l’altro circa 5. Un bambino, quello piccolo, nel vano portabambini del carrello, l’altro giù per terra. Entrambi col caschetto (la mia uniformità cromatica mi suggerisce che il colore dei loro capelli fosse biondo), entrambi con gli occhi chiari.Avranno preso molto dal padre, perchè la madre era lì che spingeva faticosamente il carrello, lì in fila davanti la ragazza dark-emo-techno-lascioilmioragazzoquindisonodepressa.Il bambino di 5 anni stava piagnucolando, implorava la madre di comprargli quei dolcetti che di solito stanno vicino alla casa affinchè scoppino lite inter-familiari (maledetti ovetti kinder).La madre di tutta risposta lo zittiva, quasi gentilmente, dicendo che “se avesse fatto il bravo invece di correre col fratellino per tutto il santuario (n.d.r GS) ora forse gl’avrebbe comprato il dolciume”.Il bambino più piccolo era distratto, c’era qualcosa che gli infastidiva il nasino. E così tentava di esorcizzare il fastidio prendendosi a pugni sul volto, finchè la madre sostituì quel metodo barbaro con un fazzolettino.Nel contempo il bambino più grande s’era già preso/aperto/mangiato un ovetto, e aveva messo i resti sul “tapirulan”. Non si può dire che non sia onesto.“Mamma, mamma…questo lo posso pagare io ? daidaidai!”“Buongiooorno, io pa…go.. con il bancoo..mà”E se ne ritorno a giocare col fratellino.La madre aveva concesso le richieste del figlio, gli aveva consegnato il bancomat e aveva suggerito di avvertire la cassiera di dover pagare con la carta.
Niente, non riesco a ricreare quella scena..Quello che voglio dire…è..tutti parlano di “voglia di maternità”, quasi che solo le donne provano amore per i figli (beh talvolta è così). Si so, che è troppo presto e che forse prima dovrei trovare la donna della vita con cui condividere quei momenti in un supermercato in giro per il mondo. E devo scegliere per bene, perchè la madre dei miei figli dovrà comprare l’ovetto kinder anche se i figli fanno i crash test col carrello, anche se si mettono le dita del naso in pubblico, anche se abbandonano il bancomà alla cassiera.Si so che è presto per pensarci, che in fondo devo ancora darmi Algebra e finire il primo anno. E poi il secondoterzoquartoquinto e poi trovare un posto di lavoro che garantisca milioni di ovetti kinder, e poi una casa che garantisca lo spazio per un milione di..ehm..nono..diciamo che 2 figli sono sufficienti.2+1, 2 maschietti con l’opzione su una terza…femminuccia.Li voglio col caschetto, come lo avevo io e come quei bambini del gs. Capelli neri e occhi chiari ( ma su questi non ti preoccupare, di solito il color degli occhi salta una generazione, prendono dai nonni ).Si so che è presto per pensarci, almeno per altri 10 anni dovrò guardare col sorriso queste scene al GS.Una volta una persona mi disse che sarei stato un buon padre. Io comprerò gli ovetti kinder, io gli spiegherò tutto le parole che non capisce alla tv, io gli farò guardare Lupin (o chi per lui) sacrificando il mio telegiornale del mezzogiorno, io dormirò scomodo perchè si corichi vicino la mammina nel lettone, io sentirò freddo d’inverno perchè lui ha caldo e sentirò caldo d’estate perchè lui ha freddo. Io gli farò mangiare le patatine untuose nella macchina nuova, e poi ogni venerdì lo porterò al cinema. Farò la guerra coi cuscini e gli racconterò storie noiose sulla mia vita. Io lo porterò sulla mia spalle a fine turno di lavoro, e gli lascerò il posto migliore per guardare la tv. Io gli permetterò di fare il bagno con noi, gli rimboccherò le coperte quando dorme e lo porterò nel suo letto, in braccio, quando farà finta di dormire.E io sarò geloso di mia moglie, che la mamma è sempre la mamma.Sarò due padri, che in fondo tocca a me recuperare ciò che è stato, ciò che non è stato.E così penserò a tutto ciò che farò, e aspetto qualche altre anno e aspetto che si presenti la madre giusta.Curioso sarà il corso degli eventi, impreviste saranno le coincidenze della vita. Non resta che aspettare.Aspetterò.(Chi di voi vorrebbe sostituire un vostro pensiero con questo mio ?)

Curioso sarà il corso degli eventi, impreviste saranno le coincidenze della vita. Non resta che aspettare.Aspetterò. 

Ancora il muro

I ricordi hanno sempre camminato al mio seguito ed ecco che torno a parlare del muro. Quello grosso, quello che avevo solo sedici anni, quello che avevo già sedici anni e potevo far tutto da solo. Quello che mi fa alzare ogni notte dal 2006 il 27 luglio alle 04:27 soltanto per far uno squillo. Non sono quel tipo di colla che va via con l’acqua, non mi stacco col tempo.
Quel muro è soltanto frutto del mio egoismo. Della mia giovinezza e della mia innocente stupidità. Questo muro mi ha sbattuto come un calzino girato al contrario in una centrifuga, mi ha rivoltato come si fa con la testa dei polpi. Questo muro l’ho fatto per me, per dimenticare. C’è chi si ubriaca e chi va a pagarsi una massaggiatrice cinese. Io ho deciso di commettere il delitto p. e p. degli artt. 81 e 639 1° e 2° co c.p. Questo muro l’ho fatto per sfidare me stesso, era la cosa più grande che pensavo potessi fare. L’obiettivo con cui ogni giorno mi svegliavo in piena notte per farlo era già fallito prima di entrare nel negozio delle vernici. Ma questo muro era un discorso solo con me. Era amore, ma per me. E mi ha fatto male alla fine, come l’amore del resto. Come il cetriolo, comincia dolce e finisce amaro.
Questo muro mi ha fatto litigare con le persone, mi ha fatto capire il vero valore di alcune di esse e mi ha fatto capire che a un certo punto bisogna prendersi le dovute responsabilità. Ho fatto cose che nessuno mai si sognerebbe fare, di alcune me ne vergogno. Ad ogni modo ho fatto esperienze che pochi hanno fatto, e alcune lo ammetto, sono state anche eccessive. Di quei giorni ho conservato la maglietta che indossavo, i bermuda che indossavo. Sono le pasticche dei ricordi, quelle cose materiali che da sole sono tutto quello che il muro significa. Questo muro non è servito a nessuno, solo a me. L’obiettivo come dicevo era già svanito, e poi non è stato neanche osservato bene. Giusto una sera gli ho dato giustizia, costringendolo a guardarla negli occhi. Questo è il muro che vado a trovare ogni volta che torno in Sicilia, scendo lì sotto, mi siedo lì e penso a cosa è successo da quel luglio. E ogni volta ci sono nuove storie da raccontargli.
Il mio muro adesso è un po’ sbiadito. Proprio come i ricordi, sbiadiscono. Il tempo o qualcun’altro gli fa questo effetto. Ho paura di scordare le cose belle, ma a differenza del cetriolo i ricordi bisogna prenderli tutti. Non si può decidere semplicemente di tagliare il culo, di togliere la parte amara. E così corro il rischio. A volte finisce male e bisogna mangiare anche la parte amara.
Anche se è sbiadito però io non l’ho scordato, rappresenta tanto per me. Non so se è una cosa di cui andar fiero o una cosa da nascondere. Anche il muro, ancora lui, fa parte di me e delle mia descrizione. Gioele, riccio, con la barbetta, ingegneria informatica e una volta ha “fatto” il muro. E questo post è ancora un altro post dedicato al mio muro, che dopotutto se non risulta essere chiaro, resta comunque il mio muro.

“Come voi avete occhi per vedere la luce, e orecchie per sentire i suoni, così avete un cuore per percepire il tempo. E tutto il tempo che il cuore non percepisce è perduto, come i colori dell’arcobaleno per un cieco o il canto dell’usignolo per un sordo”
[Michael Ende]

Compito per casa: leggere e capire

Io i miei ricordi li ho conservati. Sono dentro una carpetta blu nel primo cassetto dell’unico comodino di cui dispongo, sono dentro la cantina di Sergio, un po’ sono appesi al muro ma sono veramente pochi. Ne ho alcuni in una scatola sopra l’armadio, dentro un cartone riparato con della carta gommata. I miei ricordi ho cercato di intrappolarli come ho potuto. Non voglio che scappano via, non voglio dimenticarli ma adesso averli sotto gli occhi è pericoloso. E non so se fra sei anni andranno via dai miei comodini, non so se è come dice Khadir. Ieri mi ha detto che when you break-up you break-up. Logicamente ineccepibile, attualmente irrealizzabile. Gli ho detto che è semplice a dire e difficile a fare. E lui come on man, you are 20. cooome on! e mi ha offerto della vodka con un succo di frutta rosso.
A volte riesco a pensare ai miei ricordi, a riderne, a parlarne. Ma è pericoloso, sento che una sola parola potrebbe essere eccessiva. Per questo parlo io, perché posso decidere quando fermarmi.
E’ tutto intrappolato, per adesso non devono andar via non devono farsi vedere. Sono come l’olio buono: al buio; sono come i vini pregiati: potrebbero diventare aceto se lasciati sparsi senza criterio. Non voglio rovinare il vino pregiato e ad ogni modo non metterò più un contratto quasi importantissimo nella carpetta dei ricordi, quel giorno è stato un brutto giorno.
Ecco, è come un libro. Si gira una pagina, se ne girano due. Poi si cambia paragrafo e poi anche capitolo. Ma quanto è stato scritto prima, anche nella pagina numero uno, niente viene dimenticato. E non posso leggere la fine se non ho letto tutte le pagine. Lette e capite, lo giuro.

FDC – 8

Sono immerso nel ricordare vocaboli inglesi.
Oggi il cuore mi ha battuto forte come non mai. L’inter ha passato il turno, non è un motivo altrettanto nobile ma era tanto che non avevo un picco di felicità. M’accontento di questo.
La cura Milano aiuta, partire serve. Ancora un’altra dimostrazione.
Domani sono diciannove mesi, continuo comunque a ricordarlo.
Oggi ho imparato le parole: lice[pidocchi], wonder[miracolo, bellezza], dry-humping[“simulare” il sesso da vestiti], garbage[rifiuti, immondizia], rusty[arrugginito].
Poi ho capito che were è il passato di to be, ma può forse essere anche il congiuntivo sempre del verbo essere.
Aspetto una email di risposta da una scuola d’inglese che cito dicono we’ll contact you within one business day. Sono passati due giorni e ancora niente, forse le mie domande erano troppo difficili.
Sono un ingegnere, quasi almeno.

Capacità di sintesi

Tornato a Milano, piove. Stamattina mi sono alzato tardi, ho mangiato ‘mpanatiddghi ancora nel letto, mi sono alzato alle 12. E’ uno degli ultimi giorni di ozio, dopo ricomincia la scalata. Ho ascoltato una canzone che dice che se veramente Dio esisti, se sei quello dei giorni tristi oppure quello degli inni alla gioia, fai che sia vita la nostra, una vita senza la noia.


Tecnicamente quindi la mia è la vita perfetta, una vita senza la noia. Beh non mi lamento, quantomeno ho sempre qualcosa a cui pensare. Che siano cose belle o no, forse non importa. E comunque importa, e come.

Fronte Canada: ho appena chiamato oltreoceano. Se per il biglietto è ormai tutto definito resta da scegliere la scuola, e i criteri di scelta si intrecciano fra l’economicità e la qualità, e districarsi lungo la burocrazia dei visti e dei permessi di studio all’estero. Ed è un intreccio ingarbugliatissimo, ho qualche mese per sbrogliarlo con la calma che non mi contraddistingue. Signore mio, dacci un parere per quando ci vogliono interrogare in tempo di pace e di sonno, che ci faccia star bene e per continuare in tempo di guerra magari a campare. Ho quasi pensato al titolo, ma non so se cambiare questo o farne il titolo di un nuovo blog: quello che inizierà a raccontare il Gioele post-Canada.

Infine oggi ho resistito abbastanza bene a due attacchi, ma il pensiero della telefonata che avrei dovuto fare m’ha un poco aiutato. Difatti adesso che la chiamata l’ho fatta mi sento un poco svuotato sicché inizierò a guardarmi puntate di How i met your mother. 

Sono quello che parte

Nella mia vita, e forse in quella di tutti, ci sono solo due fasi: una, quando desidero nuove cose e l’altra, quando ne godo. Queste talvolta si intrecciano, altre camminano come binari di un treno. Ogni volta non è facile ricominciare a sognare, ma è l’unica cosa che so fare quando in qualche modo e per qualche motivo devo desiderare nuovamente.
Che io ricordi c’è stato solo un periodo, per’altro durato solo qualche giorno, in cui mi sono trovato senza sogni nuovi. Avevo appena ottenuto Internet a casa ed era stata una cosa così voluta che mi sono ritrovato per qualche giorno spaesato: senza nuovi desideri. Poi ho sognato una ragazza che mi piaceva molti anni prima e ho ricominciato a desiderare.
Da poco ho dovuto ricominciare a sognare. E’ difficile ripartire, eri così felice e adesso non hai niente. Passi interi giorni a capire cosa potrebbe essere successo, come potevi cambiare qualcosa e se fosse stata la cosa giusta. Cambiare qualcosa. In ogni caso per il principio del chiodo a restare appeso soltanto ai ricordi si rischia di continuare a rovinare giù. E di farsi male, molto più male. Ed è così che negli ultimi mesi ho avuto solo un sogno per i giorni che verranno, ed è stato questo sogno ad aiutarmi nei peggiori giorni d’inverno.
Mi ritrovavo a pensare a quando ho aggiustato il sifone del lavandino e per distrarmi cercavo informazioni sul sito dell’immigrazione canadese. Poi pensavo al lungo discorso con le gambe a mollo sulle carceri italiane e mi apprestavo a cercare il miglior volo per il nuovo continente. Ricordavo tutte quelle riviste lette sotto il sole che m’ha bruciato le mie forti spalle e cercavo la migliore combinazione per pagare il meno possibile nelle varie scuole.
Mi sono buttato nel Canada quando il mio umore si buttava giù. Non sono ancora l’uomo di un anno fa, Sergio dice che un anno dovrebbe essere abbastanza ma che quella sensazione che ho la mattina e la sera prima di dormire, quella non passerà facilmente. Ma il Canada m’ha già fatto bene, la prima volta che sono stato davvero ri-felice è stato ieri, o l’altroieri, quando ho comprato il biglietto che mi porterà dall’altra parte del mondo.
Partire è facile, lo so. I problemi maggiore non salgono su quell’aereo, i problemi restano a chi resta. Chi parte è stravolto dalle novità, ha poco tempo per riflettere all’ombrellone a strisce rosse e bianche. Spero sia così.
A chi resta invece restano la nostalgia e i ricordi, non ci sono novità che impregnano le membra, è più difficile per chi resta. Ma in realtà niente cambia: i momenti felici piovono dappertutto nel mondo e i momenti di silenzio c’inseguono continuamente. Solo che adesso ci stanno diecimila chilometri a scoraggiarmi, diecimila sono troppi anche per uno come me, diecimila sono abbastanza. Non vedo l’ora sia ottobre, io sono quello che parte.