Archivi del mese: dicembre 2011

I capodanni

Casa di Paolo - Capodanno 2008
Varsavia - Capodanno 2009
Discoteca - Capodanno 2010

Stavo facendo la doccia per i fatti miei quando mi è venuta questa pensata. A breve sarà 2012 e come ogni anno non so che cosa mi aspetterà: capita spesso quando non sai leggere la mano e non credi nel paradiso (Canada a parte). E allora ho pensato al passato che è l’unica che so fare, oltre a vivere il presente. Ma a far quello tutti ci riescono, è lapalissiano.

E allora tre capodanni fa stavo con i miei due migliori amici a casa di un altro mio migliore amico. Era la prima volta che tutti ritornavano dalle rispettive università nel paesino che c’ha dato i natali (e pure Natale). Ricordo quel periodo come un periodo sereno non troppo, spensierato ma con moderazione, in cerca di una vera identità. Nonostante avessi già compiuto diciotto anni.
Due capodanni fa ero a Varsavia. Come e perché abbia scelto la Polonia in inverno non me lo sono mai spiegato. A mio padre dissi che ero andato con i miei amici di Messina. Io lo so che non c’ha mai creduto. Ricordo quel periodo come il periodo più bello, intenso ed emozionante della mia vita: almeno due volte tanto le emozioni che m’hanno “imbrividito” la schiena quando l’aereo di Air Berlin è atterrato a Vancouver.
Un capodanno fa ero in discoteca. Appena sopra il collo di bottiglia del MUUM, un po’ a sinistra poi. Non è stato facile ma avevo un sogno: pagarmi il biglietto per volare qui, in Canada, che avevo acquistato da qualche giorno. Il Canada era ormai una certezza, come lo era la tristezza che mi aveva portato in una discoteca ad affogare il dolore nel…sudore di un lavoro da dodici ore e 100€. Ricordo quel periodo come se un masso si fosse posato in un polmone, come se un tappo di sughero avesse otturato due tre aorte, come se un cacciavite si fosse conficcato in una vertebra.

Stavo solo scalando il muro che m’avrebbe portato qui dove sono adesso con una esperienza in più e tanta forza d’animo tra le costole. E fra un’ora inizia questa sottospecie di festa di capodanno che ho voluto organizzare. Ma non sono sicuro.

Canada - Capodanno 2011

Di come ti uccido Duli con un post: il mio capodanno

E adesso duli muore dallo shock.
Per capodanno sto organizzando un party a casa mia. Ci saranno due tedeschi, un sud-coreano, un messicano e ‘na quattrina di brasiliane.
E adesso duli sta pensando male.
E invece no. Nessuno impulso romantico-sessuale, così mi pare dopo aver controllato due volte.
Joanna mi ha detto che sarebbe stata una bella idea invitare i miei compagni di scuola a passare qua la vigilia di fine anno. Diciamolo chiaro, la cosa non mi entusiasmava non mi esalta e non credo che sarà una giornata che passerà alla storia. Ma duli può dirvi quanto sia difficili portarmi ad una festa, quello che manco lei saprà spiegare è cosa mi porta ad organizzarne una. Ma andiamo in ordine.
Non voglio perdere il controllo della casa, perciò ho deciso delle regole ingegneristicamente perfette.
Dieci è il numero massimo di persone che sono in grado di controllare. Più o meno uno è la tolleranza. Preferibilmente sto cercando di mischiare i sessi in un numero equo, si sa…le quote rosa.
No alcolici pesanti. Due bottiglie di vino e birra (quella a volontà) più coca-cola, ginger-ale (‘na specie di sprite), sprite e quello che la casa gentilmente offre. Provvederò a cucinare spaghetti col pomodoro ed è già una delizia per queste povere inesperte bocche. Ma siccome voglio fare il figo Joanna m’aiuta a preparare delle polpette (che gli inglesi hanno ribattezzato “palle di carne”, stupidi…). Gli altri sono benvenuti nel portare qualcosa. Il tedesco porta un alcolico (che credo sarà l’unica presenza di una bevanda sopra al 5%), una brasiliana sta cucinando qualcosa con la cioccolata e le fragole, sembra sia buono. Essendo (tecnicamente) il proprietario del luogo sono responsabile legalmente di due cose (almeno): che i minorenni (sotto i diciannove anni) non tocchino alcool e che nessuno si metta alla guida da ubriaco. Se per caso qualcuno ubriaco lascia casa mia, si mette a guidare e uccide una famiglia io sono colpevole quasi quanto lui. Questo è il Canada, signori.
Adesso non è che posso rinnegare il mio passato di italiano, perciò lascerò bere qualcosa ai minorenni ma non permetterò che qualcuno mi faccia mandare in galera pure qua. Perciò taxi condiviso per tutti al ritorno. Adesso la mia più grande preoccupazione è nel cuore della festa. Come minchia lo passiamo il tempo? Ok possiamo giocare a carte (cribbage e poker texano), possiamo parlare…e poi? La musica proverrà dalla televisione collegata ad un dvd player, qualità e volume ritengo saranno insufficiente. Si fa il trenino in Canada? E come si dice in inglese “Chi scopa il primo dell’anno scopa tutto l’anno”?
E se qualcuno resta disappointed? E se qualcuno ha delle aspettative troppe elevate? E se qualcuno decide di nuovo che il mio letto è un comodo giaciglio per fare all’amore? E se le brasiliane m’attaccano in gruppo (si sa, lo charme dell’uomo che cucina lo spaghetto colle palle è irresistibile)?
Quello che so è che quest’anno è stato un anno davvero difficile, con alti e bassi con salite e discese e poche pianure. Ma da ottobre sto vivendo un sogno e niente sfuggirà alla mia celebre fame. Neanche il dolce della brasiliana.
Un momento di raccoglimento per il mio capodanno scorso verrà celebrato da me durante questo fine anno, come lo deciderò durante. E con questo passo e chiudo.

Di come ti hanno “salvato” il Natale con Skype e cavolfiori

Ero così pronto a scrivere un post sul falso stile di questo, su quanto ipocrita possa essere la gente quando il natale s’avvicina e su quanto io sia infastidito dalla libertà che il natale mi priva di essere triste, solo e incazzato. Badate bene, non ho particolari interessi a essere triste e incazzato (e infatti il Canadox mi sta guarendo) ma appartengo a quel genere di individui che amano la possibilità di essere tristi per poi non sceglierla. E a Natale le convenzioni sociali te lo proibiscono. E forse sarà per il mio spirito ribelle che sussulta quando vede il fiume di tradizioni pieno di natanti, felici di farsi trascinare a valle. Fatto sta che stavo per scrivere un posto intitolato “Buon Natale un cazzo” dato che più della metà dei blog che seguo hanno redatto un posto intitolato “Buon Natale”. Volevo essere pungente e un po’ blasfemo seguendo quella teoria che soltanto scuotendo con molta forza un albero è possibile far cadere i resistenti frutti della routine. Mi sono messo a citare frasi di Ebenezer Scrooge, il tipo che odiava il natale. Nella finzione della fiaba arrivarono tre spiriti e il tipo cambiò idea e iniziò anch’egli a percepire l’atmosfera natalizia (che per quanto mi riguarda significa: scacci, pastizza e baccalà!).
Anche nella mia realtà qualcosa mi ha fatto cambiare idea e quindi son qui a scrivere qualcosa di più moderato, il titolo non conterrà parolacce (ma comunque gli auguri non ve li faccio, tiè!).
E’ successo questo:

I tre spiriti

Quello al centro è mio nonno. Quel nonno che se vuoi vederlo devi farti 14 chilometri di cui 3 di strada non asfaltata a cui a stento può passare una macchina: e una volta arrivata ti aspetta con dei lavoretti da campagna da fare. Quel nonno che avrà detto si e no otto parole in un’ora e mezza di video chiamata, ma lo puoi vedere chiaramente che sta passando un felice momento. Ed è merito mio.
E poi  quello a sinistra è mio fratello. Lo si riconosce dai vestiti che orgogliosamente veste. Anche lui sta passando un felice momento, poggia una spalla su quello del nonno in una fantastica continuità di tradizioni e di sangue familiare che mi mette i brividi. Quel ragazzo a destra è uno dei miei cugini e anche se si sta mangiando le unghie lo vedi che ride sotto il baffo.
Io mica me lo aspettavo che mio nonno, mia nonna, mia madre e mio padre, mio fratello, una zia (che l’altra si scuddau a cù appatteni) e qualche cugino si ritrovassero tutti di fronte a una webcam che implica il dover stare in una stessa stanza con le gambe sotto lo stesso tavolo. Cose che se mi trovavo in Terronia non sarebbero probabilmente accadute. Ma si sa, il Canadox è un farmaco ad ampio spettro.
E così mi sono immerso pure io un poco nella ipocrisia del natale e questo – se voglio conservare un minimo di coerenza – mi vieta di spiegare dettagliatamente (almeno per quest’anno) perché a me le feste comandate non piacciono.
Ieri sera poi si è recuperata la tradizione siciliana e si è fatto la famosa cena all’italo-siculo-canadese. E incredibilmente ho sorriso spontaneamente, immergendomi un pochino in quella ilare serata che la vigilia di natale impone. Bello sto aggettivo, ilare, no?

Dio esiste e si chiama pastizzu chè ciurietti

Voglio ringraziare quella gente che mi ha fatto sentire a casa e in famiglia quando mi trovo a diecimila chilometri da casa e a nove ore indietro dalla mia famiglia. Voglio ringraziare dulietta che ha trovato un po’ di tempo per me (o io ho trovato il tempo per lei?), voglio ringraziare Sergio che non m’ha augurato “Buon Natale” e per questo lo apprezzo più di ogni altra persona. Voglio ringraziare la mamma che ha permesso l’inizio del capovolgimento emotivo del mio natale e voglio ringraziare chi si è fatto i fatti suoi senza inondarmi di messaggi e minchiate caratteristiche del Natale (ma Capodanno sta arrivando, minchia!).
Infine ringrazio chi ha preparato, cucinato e servito il ben di dio che potete vedere qui sopra. Senza scordarci che io ho girato la manovella del macchinario che metteva la salsiccia nel budello e che ho tagliato con precisione e accuratezza il formaggio che è condimento delle focacce col pomodoro. Miiiiiinchia!

Zurigo – Sono un fico – Mi mancate ragazzi

Zurigo mi sta facendo scimunire. Porca vacca se lo fa. Questo fine settimana vado a sciare e Zurigo c’è. Oggi sono stato per 2 ore a scuola e di odiarmi non mi odia, riesco pure a farla ridere senza farle il solletico.
La gente a scuola usa l’aggettivo italiano come se fosse un complimento, ehi ciao, come sei italiano oggi!, ti ho visto quella sera, eri di un italiano che ancora me lo ricordo. Sono l’unico italiano nella scuola e quello che si dice sugli italiani all’estero è vero: c’hanno delle fantasie su di noi. Le asiatiche per prima ma pure le brasiliane. Mi sento osservato fuor d’esagerazione, di certo alcuni aspetti del mio carattere sono di stampo italiano. E non sanno la storia del muro, e non sanno chi sono dentro.

Ma c’è quella di Zurigo, la svizzera, che ha qualcosa di speciale. E’ la prima volta che capita da due anni a questa parte: mi gira la testa come se avessi bevuto una corona sale e limone. Ma cerchiamo di essere razionali. A tette è messa non troppo bene, raggiunge a stento una seconda. I capelli non sono curati ogni giorno e spesso sono raccolti in una coda. Non l’ho mai vista truccata (ma forse questo è un punto a suo favore) e ha buchi da acne nel mento. Quando le donne hanno (avuto) il mento brufoloso significa che hanno un eccesso di ormoni maschili, forse questo è male…(anche se non ha le braccia pelose)! Quando ride è quello che è ma quando è seria è troppo seria. Vuole fare medicina e per adesso aiuto il padre a non so fare cosa. Sembra seria e secondo me non gli piace la discoteca.
Non so cosa pensa di me, fra due settimane torna alla sua reale vita nell’altra parte del mondo (e la mia è troppo vagabonda e responsabile per fossilizzarsi con una sconosciuta) e io non ho che ho una Corona in mano e del Cohen nelle orecchie.
Questa è una di quelle volte che la donna della tua vita ti cammina a fianco e tu non lo sai, e tu non la fermi. Quelle volte che poi ti incontri ancora fra dieci anni e capisci che il mondo è piccolo e il destino è un bastardo. Di certo è la prima volta che la calca (lett.) mi segue pure le notti. Ha qualcosa di speciale e io non s’ho cos’è. Vado a comprare un barattolo di vernice?

I miei miglioramenti in inglese stanno seguendo la successione di Fibonacci: in altre parole va sempre meglio e sempre più rapidamente imparo nuove strutture grammaticali e nuove parole. Solo la pronuncia migliora linearmente, senza troppi sussulti. Oltre a fare fatica a mettere la lingua fra i denti e a sputacchiare alla gente dicendo “think” quando parlo non faccio abbastanza attenzione alle acche aspirate, diciamo che le butto fuori belle e impolverate. Ma come dico io questo è il prossimo livello, per adesso vediamo di parlare come dio comanda.

Alla fiera della tecnologia di Victoria un datore di lavoro mi ha detto che il mio inglese è molto buono, abbastanza per essere idoneo al lavoro (employable). Devo solo conservare il mio divertente accento per il dating (gli appuntamenti romantici) (Sta cazzo di acca la devo aspirare o no?) . E poi mi ha detto che, è vero, a volte avere un master non è un vantaggio. Anzi!

L’istituto di bruttezza

Per la serie In solitaria, ho una ennesima stomatite. Non lo so mica perché gli argomenti degli ultimi articoli sono così schifosi. Sarà mica colpa mia? Quando ho provato a spiegarlo a Joanna mi mancava questa parola, stomachite (che fra l’altro mi provoca una irritazione della gola, della parte terminale della lingua e un paio di afta sulle labbra). L’ho quindi cercata su internet ma ho scoperto -come sospettavo- che non esiste in inglese. In merito per chi può e per chi non lo ha ancora fatto consiglio la lettura di questo divertente articolo: http://www.bbc.co.uk/news/magazine-15987082.

Dicevo, dato che me lo posso permettere, ho deciso di combattere la stomatite in maniera naturale. Ho preso uno spicchio d’aglio e ho iniziato a rosicchiarlo mentre mi guardava quel che si potrebbe tranquillamente definire un b-movie: Eat, Pray, Love. Il listerin mi fa una pippa: cazzo se brucia l’aglio, ci credo che i vampiri sò ‘mpauriti! Alla fine c’ho messo il carico: una bella corona sale e limone.
Adesso anche se fossi l’ultimo uomo sulla faccia della terra non credo che una donna abbia il coraggio di avvicinarmi: aglio e birra birra e aglio aglio e birra. E non m’importa niente: né della stomatite né dell’alito a prova di vampiro.
Tanto la chat con gli odori non è stata ancora inventata!

L’importanza d’avere due piedi e dieci dita

Piede sinistro
Piede destro

Li vedete questi? Questi sono i miei piedi. Vi fanno schifo? A me no. Mi permettono di correre, saltare di cadere e rialzarmi. Dite che non ve ne importa, che non sono i vostri? E il blog mio è, che facciamo…mettiamo su un concorso per feticisti con i vostri piedi? E poi voglio dire una cosa riguardo i piedi, i miei di piedi.
Effettivamente sono un po’ bruttini, tutti rotti e callosi. Ma è questo il punto. Vedete, io adesso sono in Canada e mi c’hanno portato i miei piedi. Vedete, tocca andare oltre l’interpretazione letterale di quest’ultima frase. Se ho potuto affrontare le spese non indifferenti che si devono sostenere quando vai a vivere dall’altre parte del mondo per otto mesi qualcuno si deve sacrificare (in verità bisogna dire che mi ritrovo essere uno dei più fortunati dato che adesso ho il supporto pieno della mia famiglia). A sacrificarsi sono stati loro, i miei piedi. Che adesso li guardate e gli dite brutti siete! ma quando c’era da fare il loro dovere – correre – lo hanno fatto egregiamente. Correre non per vincere una gara (non in quel senso almeno), correre per guadagnare soldi e speranze che adesso galoppano nelle lande canadesi (e no cazzo, orsi non ce n’è!).
Ogni volta che ne ho avuto il tempo, ogni volta che ne ho avuto l’opportunità i miei piedi erano con me nel lavorare senza sosta. L’ultima vigilia di natale, l’ultimo capodanno, l’ultima estate e fino a qualche giorno prima della partenza i miei piedi hanno onorato il loro compito senza preoccuparsi se sarebbero diventati brutti e rotti (a onore del vero anche i miei piedi hanno patito le pene d’amore e hanno cercato di dimenticare facendo l’unica cosa che sapevano fare: camminando passo dopo passo).

Quest’estate i miei piedi piangevano come mai avevano fatto. Il lavoro che avevo consisteva nel correre da un tavolo ad un altro, nel macinare chilometri sulla spiaggia e nel fermarsi solo quando si scriveva la comanda: dalle 10 alle 12 ore al giorno per 20 giorni, lavorare là dove la gente si ubriacava sudare là dove la gente vomitava l’alcool in eccesso. Ma i miei piedi il loro lavoro lo hanno fatto come due piccole trottole: sono stati egregi e l’intero Canada adesso gli è grato. Purtroppo fuor di dolce racconto loro hanno sofferto assai. Lo sa mia mamma che, mentre io provavo a dormire ormai giorno, continuava a sistemarsi la borsa col ghiaccio sulla pianta dei miei piedi per accelerare il loro ristoro (che -ahimè- risultava insufficiente). Lo so io che guidavo lungo i venti chilometri che separavano la spiaggia dalla mia casa a piedi nudi, che almeno mi facevano meno male. E quanta Lasonil c’ho spalmato e quante scarpe diverse ho provato. E quando la pelle era così consumata che ormai usciva il sangue dalle vene e quando la pelle è iniziata a morire ed erano ancora più indifesi. In quei momenti sapevo che lo stavo facendo per un motivo (anzi due) e non ho mai desiderato realmente di trovarmi in un luogo diverso dal mio posto di lavoro: sotto il sole prima e sotto la luna poi, quel lavoro l’ho scelto senza nessuna forzatura. E i piedi lo sapevano. E’ per questo che dopo tre mesi stanno ancora tentando di guarire da quelle settimane di straordinari, è per questo che s’incazzavano quando la gente si lamentava che non c’era niente da fare in spiaggia, è per questo che sono così orgogliosi di prendersi questo “anno sabbatico”.
Sono sempre loro che m’hanno portato lassù dove ho cercato di ritrovarmi prima d’andarmene, dove ho fatto la mia minciata “che sennò-chi-sono-io-senza?”. Sono loro i miei migliori amici e sono loro l’oggetto della risposta quando una professoressa mi ha chiesto di cosa ho più paura: di perdere l’indipendenza.
I miei piedi, che adesso toccano le Indie con orgoglio e rispetto. E a voi che facevano schifo…

Dove si torna punto e a capo.

Aggiornamento generale ma comunque Canada

  • Domani invio le cartoline.
  • Vi piace la nuova favicon? Almeno riuscite a vederla?
  • Oggi ho portato a lavare per la prima volta una macchina qui, in Canada. E’ come nei film, ho assistito dietro ai vetri al lavaggio. Spettacolare anche in questo.
  • Ma puoi mai essere che il cielo di mattina è così rosso? Non accade sempre ma quando accade la cosa mi terrorizza (dalla bellezza)!

  • Ho aggiunto un nuovo panorama. Lo potete vedere qui: http://www.minciati.eu/panoramas-beta/
  • Ho aggiunto un nuovo video della giornata di caccia, niente di che. Ma è pur sempre cronaca! Eccolo: http://youtu.be/lywSOcuWt3E
  • Ho aggiunto un nuovo album. C’è qualche foto interessante sulla parata delle barche mentre le foto sulle parata dei trucks (camion) non sono altrettanto efficaci a causa della scarsità di luce e dell’obiettivo inadeguato. Ma -come dicevo prima- è cronaca. Ormai sapete dove si trovano gli album, no?
  • Ho aggiunto un altro album (sempre lì sta) delle foto dell’ultimo giorno, di oggi cioè. Questo è veramente bello, c’è pure un matrimonio sugli scogli. Alternativo e fico!
  • Il 16 e 17 dicembre andrò sui monti Washington per una giornata sulla neve. E’ il mio regalo di natale!
  • Sono ancora felice e non sento alcuna “malattia di casa”. Vedremo che combinerò!

Problemi di lingua

Succede che la lingua inglese a volte trama divertentissimi scherzetti. E in questa soleggiata mattina di un sabato dicembroso (o si dice dicembrile?) ne racconto un paio.

Si da il caso che ad un cugino del mio cugino di qua gli avevano scoperto il diabete a nove anni. Fatto insolito per un bambino così giovane e così ad una cena, tutti seduti a tavola, Joanna (parlando del nipote) dice: “It must be gene’s fault!” (Deve essere colpa dei geni). Da quel momento fino ai 20 anni circa il figlio di Joanna non ha mai più voluto indossare jeans. Perché si da il caso che la pronuncia inglese di geni è pressoché identica alla pronuncia dei blue jeans. E quel figlioletto -mischinieddu- pensava che i jeans facessero venire il diabete. Questo in italiano non sarebbe accaduto.

Si da il caso (e qui tocca tornare indietro di una quarantina d’anni) che il mio zio (in realtà è zio di mamma), l’uomo che diede inizio al mio ramo familiare che adesso vive in Canada, parlava tedesco, fiammingo, inglese e italiano. Oltre al siciliano s’intende. Ma come ogni persona che ha imparato l’inglese parlando peccava nello scritto. Così quando si trovò ad attraversare da costa a costa il Canada in treno accadde un evento memorabile. Doveva andare a Parigi, cioè mi spiego meglio: doveva pisciare. Arrivato nel corridoio di bagni, oltrepassava puntualmente il bagno degli uomini ed entrava in quello delle donne. Quando ne usciva la gente lo guardava con gli occhi storti. Lo zio non riusciva a capire cosa ci fosse di sbagliato in lui e spesso si domandava se i pantaloni erano in regola e si meravigliava dato che s’era lavato pure le mani. Come poteva immaginare che uomen (women) non significasse uomini bensì donne. Questo in Italia non sarebbe successo.

Ieri a tavola si parlava, si faceva small talk, si dicevano minchiate insomma. “Joanna, in una decina di giorni devo tagliarmi i capelli. Non tanto, solo un po’ qua dietro”. E allora la zia (la moglie dello zio col problema del bagno che parla inglese e siciliano) mi domanda: “Dove ti li voi a-ccattari?”. No nona, me li devo tagliare non accattari (accattare in siciliano significa comprare). E lei imperterrita: “Pì chistu ti spiu: vuoi iri ‘nto barberi o ‘nto stilisci?” (Vuoi andare dal barbiere o dallo stylish salon?).
A quel punto ho capito il problema. To cut significa tagliare e si pronuncia qualcosa di simile a cat. Perciò la zia ha quasi giustamente pensato che in siciliano a-cattari deve significare nient’altro che comprare!
Questo accade solo tra noi, siculi-americani! Quelli che hanno inventato Nova Iorchi e Brucculino. Rispettivamente New York e Brooklin!

Vecchio: Ingegneria? Tosto!

Preso da qui.
Ho appena installato Eclipse e sto cercando di metterci su svn per scaricare il progetto dei dinosauri. Non sono riuscito a vedere più di 20 secondi di questo video altrimenti mi rovino la serata. E’ una delle poche volte che rischio di essere triste e non è colpa di una donna. Ed e assume il significato logico in questo caso. Mi mancate ragazzi, ci vediamo domani su skype! :)


Anche gli ingegneri si divertono. Quando decisi di fare il politecnico ero spaventatissimo. Qualche giorno prima del viaggio verso Milano mi misi pure a piangere perché mi avevano detto che al politecnico gli esami erano tutti scritti, o quasi. Al liceo il voto più alto che avevo mai preso in matematica era stato sette, in un compito sulle matrici. E poi un sei e mezzo negli insiemi e il resto erano dei quattro e cinque. Arrivai perfino a scappare da casa. Ritornai a casa ormai di notte, avevo bucato con la bici ed ero dovuto tornare nella mia città a piedi. Si capisce il motivo, avevo preso un ennesimo quattro e mezzo in un compito di matematica.
Poi venni al politecnico e le cose iniziarono a sembrare fattibili, crebbe l’autostima (soprattutto il tempo dedicato allo studio) e adesso mi manca poco a laurearmi (anche se adesso sto panicando, non mi laureerò mai in tempo cazzo).
Quando vai a dire in giro che fai ingegneria la gente sgrana gli occhi e ti dice: “ingegneria..?Tosto!”. E pretendono che tu sappia tutto quel che ha un meccanismo, dal fainculor della mia stanza (successo cinque minuti fa) all’appartamento in cui presto andremo ad abitare. Non è tollerabile che un ingegnere sia leggermente incompetente, un ingegnere informatico deve sapere ciò che sa un edile, perché siamo entrambi ingegneri. Ma non lamentiamoci troppo, che i filosofi stanno peggio di noi. Quando vanno a dire in giro che studiano filosofia la gente gli risponde: “Si, ma ora seriamente, cos’è studi quindi?” o l’alternativo “Ma precisamente cos’è che fai nella vita?
Ingegneria non è facile, non ho voluto dirlo subito metti che passava di qua un’ aspirante matricola d’ingegneria, non potevo scoraggiarla oltre misura. Ma se viene presa con lo spirito giusto, ogni cosa può assumere una prospettiva insolita. Basta pensare al solletico, una delle torture più usate dai servizi segreti (c’è gente che c’è morta col solletico). E così capita che noi ingegneri, che facciamo le cose toste!, capita che ce la spassiamo alla grande.
Nel video potete vedere il progetto di Ingegneria Informatica di Daniele. Si tratta di un quadricottero che spara alle cose vestite di blu, che in quel caso sarei io (sì, sembro una madonna è vero…). Queste cose blu, cioè io, si devono difendere ponendo fra il drone e sé stessi la spada rossa. Sergiuz è quello accovacciato in fondo allo schermo, vedeva incuriosito i parametri del drone . Accanto a lui c’è Dani, il proprietario dell’algoritmo che permette a questo coso di fare queste cose. Sembrano cose facili, ma ci sono dietro circa tre mesi di programmazione (se non cogliete ancora la difficoltà tocca ricorrere al luogo comune: è molto tosto!). Poi c’è Duli che fa il filmato perciò non dovrebbe vedersi (in realtà se guardate con gli occhi del drone la si vede qualche volta…). Non si vede, ma la si sente a un certo punto. E come promesso ecco il post sulla voce di duli, che peraltro si dulietta in una battuta molto da nerd (ma non diteglielo perché negherà tutto, perfino di esistere!), ispirata al nostro progetto di laurea: la realizzazione di un videogioco sui dinosauri
A tal proposito sono lieto di annunciarvi due video: il primo è il trailer della versione del gioco mia e di Sergio. Nel secondo potete vedere gli effetti permanenti che la programmazione di questo gioco ci causa.
Buona Visione.

Duli, per vostra (s)fortuna non c’è, era andata a giocare nel laboratorio degli elettronici. Non ho ancora capito bene in cosa consiste il loro gioco, ma pare debbano accendere dei led e poi instaurare un protocollo da spiegare ai professori che le hanno commissionato tale progetto. A me non mi sembra molto divertente (si tratta pur sempre di elettronici…), però c’è Ivan e gli altri dottorandi che rendono piacevole il tutto.
Sergio, beh lui lo riconoscete dal famoso “balletto del drago Yoshi”, che esegue sotto mia richiesta. E io sono il cameraman, quello che si diverte di più di tutti e che adesso sta qua a raccontarvi ‘sta storietta sul piacere d’avere amici ingegneri (coinvolgeteli se ne avete, sono molto timidi e riservati solitamente).
Siamo dei veri ingegneri, toast!

BNG: Matti, mio fratello, ha passato la prima selezione al concorso della marina. E bravo il fratellino!