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La presa d’aria, chi sei veramente?

I gotta think, I’ll let the words flow out of my mind. Drinking a beer, per la gioia della mamma. Questo post è mezzo in inglese e mezzo in italiano, lascio che le parole escono dalla testa così come sono. Non è un post smielato, non ancora. Forse lo diventerà ma non sono questo gli intenti iniziali. Sorso di birra dal boccale. Mamma dice che mi diventa la pancia grossa ma io tanto sto andando in palestra. Perché vado in palestra? Tralasciando le balle della salute che non è che me ne sia sbattuto tanto durante l’ultimo anno. Si l’ultimo anno. Un paio di chiodi e anche a volerlo non c’avrei cavato un ragno da un buco. To take a spider out of an hole.

Mi ricordo che quando mi rantolavo nella disperazione del vuoto che mi ero ritrovato mi domandavo come un ossesso: ma chi minchia me l’ha fatto fare, io non m’interesserò mai più a nessuna figliola. Datemi carrube, libri da studiare, bugs da debuggare. Di femmine non ne voglio più sapere. Poi finivo di pensare questo e mi mettevo a ridere: lo sapevo che erano parole dettate dal momento ma io giuro che lo provavo veramente: non avrai mai più guardato il culo di nessuna. Per dirla terra terra che tanto bevo la birra e l’alito già puzza. Quando il 4 settembre ci fu quella telefonata io rinunciai alla mia unica ora di sonno in 14 sotto un albero in agosto. Hai capito cazzo? 14 ore a guardare in alto, 14 ore rannicchiato con le mani fra le spine. Rinunciai a quell’ora, presi il decespugliatore e iniziai a distruggere rovi intorno agli alberi. Poi mi venne da cacare, mi misi vicino a un muro feci il mio e mi asciugai con le foglie di carrubbo. Come mi aveva insegnato papà quando ero piccolo.

Poi venni in Canada e ho passato un anno fra le nuvole. Leggero da poterle sorvolare senza fatica. Leggero che potevo respirarle.

Fino a un paio di settimane fa, che a quanto pare il mio cervello (si è finita la birra) e il mio cuore hanno fatto, ‘mpare deal!, tocca trovarsene un’altra. Tocca fare quello per cui sei nato, trovati una donna e amala finché puoi, fin quando lei ti ridurrà di nuovo a pezzettini. Ci saremo noi, cuore e cervello, a farti uscire le palle di nuovo a quel punto. A farti rinascere un’autostima, a farti credere che non sei la merda ma quello che la spala, a convincerti che sì, si possono avere giorni felice di nuovo.
No in realtà non è stato così. E’ stato che io mi scrivevo i miei post dementi, di quelli che dimostrano quanto sono schietto e me stesso (da qui la diversione di prima sulla cacca nel campo, non posso più nasconderlo: io sono fatto in questo modo e se non sono piaciuto consiglio un decespugliatore e un gigantesco campo…aiuta!). Scrivevo questi post, una serie di fortuiti eventi e bum!

BATAPUM

…cazzo sta succedendo. Sergio mi ha contattato una Tipa, non ci sto capendo un cazzo. Ha gli occhi verdi ed è figa. No che non è un trans. Cioè non lo so. Fatto sta che è da un bel po’ che ho ripreso il viaggio su quella cazzo di montagna russa che ha il nome di romA. O forse è da leggersi al contrario…E la cosa freak me out. Perché? Perché il suddetto Tipo s’è messo in una situazione ben più complessa di quella che può gestire. E pensate un po’ che non c’ho manco una minchia di decespugliatore a portata di mano (anche se le foglie d’acero, ora che ci penso, sono belle più larghe di quelle di carrubbo). C’è l’immigrazione di mezzo, la mia e la tua, un oceano e tutta quella cazzo di incertezza dovuta al fatto che sappiamo noi. Cioè whatsapp è una applicazione spettacolo, skype ancora di più, ma non so neanche se hai una voglia da qualche parte o che odore ti fanno gli ascelle dopo una giornata a spasso.

E nel frattempo io te lo dico: questa è la mia tattica. Perché su di me non mi posso fidare neanche io (ed è inutile che dico a Sergio tutti i giorni, no no tanto io ci vado piano che io non la voglio pigliare nel culo), io faccio in modo che tu non ti fidi di me. Ed è così che me ne esco con la puzza delle ascelle, la cacca nei campi e qualsiasi altro abominio che io possa suscitarti.
Che tattico che sono, che tattico! Dovevo fare lo stratega o l’ingegnere. O cazzo io sono un ingegnere!

Inizia a girarmi la testa, ci credo la birra l’ho bevuta in 3 sorsi.

I tell ya. I am screwed up, my mind is messed up, my family is fucking broken. E’ tutto un up, c’è qualcosa di diverso in me che non so controllare neanche io. Quando sono felice mi faccio mille domande di cui la prima è: ma sono sicuro che mi merito questa dose di felicità? Nel passato ogni volta che me la sono posta è andata a finire maluccio.

Adesso queste sono le clausole, le ho scritte da mezzo brillo ma me ne assumo le responsabilità. Leggile e capiscile, compito per casa. Prima che parte l’aereo pensace, dopo non mi fare dire uomo avvisato mezzo salvato (tutto intero diciamo, dato la statura in questione (ho fatto la battuta cattiva pure!)). Io provo a dare il meglio di me ogni fucking day che dio ha fatto ma talvolta I gotta be different. It’s who I am, available to improve, not willing to change.

Per chi non ha capito niente, non so che dirvi, non ho capito niente neanche io. Chiedete a Sergio, lui magari ha un consiglio anche per voi. Per la mamma, no, niente di serio. Lo sai com’è, uno si beve una birra e finisce in giro per il Canada a bucarsi ubriaco e con la pancia tutta grossa e gonfia (e i capelli gli diventano lisci e corti tutti di un colpo). No scherzo. L’unica cosa che c’ho bucata è il pigiama, mi serve un ritapunto sotto l’ascella che c’ho la presa d’aria.

La presa d’aria, chi sei veramente?

I due fratelli – Aggiornamenti al mese di giugno (Inizi)

Questo è quello che succede in Canada, tra farfugliamenti vari. Non parlo, farfuglio con le sillabe. Non rido, sbellico. Non penso, trottorello coi sogni.

Ma nel frattempo, in Italia (chi si ricorda di BNG?)…

Piazza S.Marco
Festa della Marina Militare - 1
Festa della Marina Militare - 2
Festa della Marina Militare - 3
Festa della Marina Militare - 4
Festa della Marina Militare - 5

Questo è mio fratello. Spero avete cliccato sul link associato alla parola BNG (Buona.Notizia.del.Giorno). Di tanto in tanto, mentre raccontavo ciò che mi succedeva con l’università e i preparativi delle partenze, raccontavo dei suoi test, di come fosse faticoso andare ad Ancona per fare test ed esami che non sono obbligatori. Aveva 15 anni all’epoca, 16 adesso. Ma sono assolutamente certo che questo anno sia stato assai più lungo di quello che il calendario asserisce. Ci sono anni che durano molto più di quanto promesso, ci sono anni che non si scorderanno mai.

Una dedica infine. Alla gentilissima faccia buttana di chi adesso ha invidia di noi. Quando eravamo due bestie da nutrire, da crescere con buoni principi e da assistere, la gente tutta era impegnata altrove. E se adesso, gente buttana, spendete un solo secondo a desiderare di trovarvi dove adesso noi siamo, che quel secondo di invidia vi paia un anno, che non passi mai e che vi renda mutilati dalla vostra ignoranza. Gente buttana.
Per tutti gli altri, ma come cazzo ha fatto l’Olanda a perdere con la Danimarca?

Ritorno a casa

Consigliato l’ascolto durante la lettura:

Cara Duli,
questo post non è indirizzato specificamente a te. Ma come non sai ho bisogno di parlare con qualcuno o con qualcosa per schiarirmi le idee. E se adesso ti starai chiedendo perché io abbia scelto te, beh sappi che stavo facendo la doccia e mi sei venuta in mente. Lo vedi qui sopra, lo vedi col tuo ipad? La vedi, cazzo la vedi? Quella alla sinistra del cancello verde, in fondo, quella è una cisterna. Io su quella cisterna c’ho passato parte della mia infanzia. Quella era la mia navicella aerospaziale, quella era la mia macchina, quella era la mia moto col coso affianco, che quando ero piccolo non sapevo si chiamasse “sidecar”. Lì ho speso i miei sogni da bimbo, quella cisterna ha contribuito a realizzare il Gioele che conosci. Qualsiasi cosa io adesso sia, quella cisterna è in parte responsabile. Era un gioco pericoloso, la signora che abitava vicino casa (puoi scorgere un cancello nero in fondo alla strada, quella è la sua casa) mi aveva detto che dentro la cisterna ci stava il bau. Io mica l’avevo capito che cosa era questo bau ma da come lo diceva e da come suonava sembrava spaventoso. Io non ci volevo avere niente a che fare con questo bau. Ma a quell’epoca il tempo scorreva lento e spensierato, la cisterna era la mia compagna di giochi e il bau non ha mai avuto niente in contrario. Due tre anni fa ti c’ho portato. Avevo ancora la macchina rossa che Marta diceva che era insicura e vecchia (chissà dove sei adesso io ti amo, 106), tornavamo dal mare. Si era in cinque in macchina e tutti eravamo stanchi. Ma ci tenevo che vedessi dov’ero nato Gioele, dove sono Gioele. Così imboccai quella stretta vanella di campagna. Tu eri là che seguivi le storie che raccontavo, come hai sempre fatto. Ti indicavo quella che era stata la mia casa per i primi otto anni di vita, cosa era cambiato nel tempo e cosa era rimasto uguale. Sono sicuro che adesso non sai neanche di cosa sto parlando. Non sei l’unica. La gente mi chiede se ho nostalgia di casa, dico di no. Ma la prima volta che ho avuto un singhiozzo di pianto è stato due giorni fa, prima di addormentarmi. Ho pensato a quella casa e ho singhiozzato. Fortuna che ero da solo a letto, che la porta era chiusa e che sono in Canada. Sennò sai che vergogna se qualcuno sapesse che ho piagnucolato per il ricordo di una casa.

Questo almeno lo ricordi no? Ci sei pure tu che parli, devi ricordarlo. Quante volte abbiamo discusso su questa minchiata, su questo brivido d’adrenalina che mi sono concesso? Quante volte ne ho parlato io? Questo video però è la prima volta che lo rivedi. Quello è il Gioele che è cresciuto pensando che una cisterna fosse una navicella aerospaziale ma col bau dentro. E adesso ci credi che sono arrivato fino in Canada? Pare che di progressi ne abbia fatti eh?
Da quant’è che ci conosciamo? Tre, quattro anni? E quanto puoi dire che mi conosci? 70%, 45%, o 37%? Mi hai mai visto piangere, mi hai mai sentito chiedere scusa? E dire grazie? E lo hai visto il lele incazzato? E quello che sembra un bambino? E quello che facevo prima che gente come te mi diceva che certe cose sono pericolose e non bisogna farle? Questo te lo posso fare vedere.

Un pitito sull'albero

Quello è un albero di carrubo, secondo Wikipedia può raggiungere i 10 metri d’altezza. A che altezza sarò io? E quali potrebbero essere le fratture se, durante il lavoro che sto facendo chiamato in italiano bacchiatura, cascassi giù? Mi si potrebbe perforare un polmone se cadessi su una pietra, potrei rimanere su una sedia a rotelle se cadessi sbattendo l’osso sacro. Li lascio a te gli altri potrei. Che io ho ricevuto un’altra educazione, sicuramente peggiore se valutiamo il voto di laurea. Possibilmente peggiore se valutiamo come sono uscito fuori. Ma, peggiore o migliore, quello non si può cambiare. Orizzontali o verticali per me un tronco è da scalare. Carrubo o meno. Rischi d’annegare o di fratturarsi le costole. Per lavoro o per svago. Sono un mediocre, se mi togli pure la possibilità di scalare gli alberi che razza di persona sarei? Fallisco di continuo, concedimi l’opportunità di essere diverso. E il significato che attribuisco a diverso è questo:

Un pitito col grano

Diverso è tuta da meccanico, paglia e un trattore. Se c’è da spezzarsi la schiena per diventare ricco è quello che farò. Far cadere le carrube o aiutare il nonno con la paglia. Imparare a programmare o capire come parlano ‘sti canadesi. Diverso è sognare di volare su una cisterna e finire in Canada a fare succhi di frutta in Inglese. Diverso è dimostrare a chi ha già riso che io lo farò dopo di loro. Come quando e dove non sono variabili da considerare. E piangerò ancora per quella casa, la mia casa.

Ciò che collega la conoscenza degli alberi a un colloquio di lavoro

L'aspetto di Pino

Oggi ho avuto un colloquio di lavoro. Scriverò qua ciò che ricordo della giornata, un po’ per il vostro diletto un po’ perché sarà importante leggermi quando le cose saranno diverse. Adesso sto ascoltando gli AfterHours, sto per prendere una birra in frigo e non ne escludo una seconda per il definitivo ma voluto Knock-Out (la birra è una Peroni, anche se sono in Canada io bevo italiano).

Come potete vedere nella foto mi sono vestito elegante. La saturazione non permette di vedere i colori e il colletto del maglione mal sistemato non permette di vedere la cravatta. Dettagli comunque non importanti nello sviluppo degli eventi. Fatemi solo aggiungere che più la guarda più la amo: la cicatrice imperfetta ma vera che ho sulla fronte. Mi sono tagliato i capelli, mi sono persino rasato la barba e ho indossato quella che ritengo la miglior camicia che ho: la camicia della laurea. Per via della scaramanzia sotto la camicia avevo la maglietta del “Sarebbe bello”. Se non sapete di cosa sto parlando vaffanculo e continuate a leggere (ve l’avevo detto che sto bevendo birra). Ho ripassato le domande più comuni in un colloquio di lavoro, sono arrivato con mezz’ora di anticipo. Ho parcheggiato e poi aspettato un quarto d’ora in macchina. Quando aspetto mi scappa di fare la pipì, come quando giocavo a nascondino e toccava nascondersi e stare zitti. Come quando devo andare a mangiare con una che mi piace e mi viene da vomitare. Interessante questi messaggi che mi manda il cervello. Quindici minuti dell’ora stabilita entro nel locale, molto bello e creativo

Non era esattamente così, ha cambiato stile. Ma è altrettanto creativo!

Subito ho capito che la giornata non sarebbe stata delle migliori. E non perché stamattina Victoria ha (in ordine) avuto il sole, ha nevicato, grandinato e nuvoloni sparsi (e questa non è una delle mie esagerazioni, tutto vero sto giro). Il fatto era che all’ingresso ci stava un foglio su uno sgabello su cui era scritto firma qua se vorrai avere un colloquio. Confusione, perché non sono l’unico ma bensì il #9, ma che sta succedendo…
Il fatto che solo oggi siano stati intervistati almeno 15 canadesi non mi rende, povero italiano che ha il vizio di mangiarsi le parole anche in inglese, sbagliare l’accento delle parole con l’acca e non conoscere gli aggettivi scoglionati che lì usano nei menù, proprio in pole position. Ho gestito le emozioni e ho sorriso a un paio di bone ch’erano in fila. Una aveva un profumo che i miei ormoni hanno ritenuto interessante.
Quando è arrivato il mio turno mi sono alzato, ho ripetuto quattro volte il mio nome per poi arrendermi e dire che mi si può anche chiamare Joe (che Giò lo leggono G i o) e mi sono seduto in fronte a tre persone, due donne (una bellissima) e un uomo col ciuffo all’emo-Hitler.
Inizia a parlare uno dei tre, la capa chiaramente. Spiega che il ristorante è a conduzione familiare, che l’ambiente è molto creativo e perciò cercano gente particolare (ho scordato di dirvi che mentre mi stavo sedendo la capa ha commentato suggerendo che assomigliavo a uno di un (imprecisato) reality). Subito la prima domanda, anomala: cosa mi rende creativo? A prima domanda anomala rispondo con prima bugia innocua: in Italia sono un fotografo, amo l’oceano di Victoria e spendo ogni fine settimana a fotografarlo. Ognuno dei miei parenti ha una mia foto nella loro casa. Ritengo questa risposta adeguata alle loro aspettative e alquanto soddisfacente. La leader continua a spiegare che non si lavora in tanti, il massimo è intorno alle 3-4 persone e tutti spartiscono le mance in modo equo. Mi è sembrato molto giusto, considerando che avevo già realizzato che non sarei stato assunto per quella posizione per cui mi stavano intervistando, e che quindi il prossimo potenziale lavoro è per una posizione di lavapiatti (non così famoso per prendere mance).
La successiva domanda rientrava fra le più comuni: “Qui dovrai spiegare il menù ai clienti, il nostro menù è scoglionato quindi ti chiederanno un botto di cose e la musica sarà abbastanza rumorosa. Dovrai urlare più forte della musica, ti senti a tuo agio nel far questo?”. A questa domanda ho percepito il primo segnale che l’essere italiano sarebbe stato un difetto questa volta. Ho deciso di non girarci intorno e ho citato il mio già chiaro accento italiano: potrebbe essere diverso da ciò a cui i clienti sono abituati ma non essendo timido bensì estroverso non sarà un problema. L’ostacolo l’ho toccato, ma l’ostacolo era stato superato. Un altro paio di domande pressoché inutili (cazzo chiedi a fare ad un italiano qual’è il suo cibo preferito), ho posto io un paio di domande (se le ore di lavoro sono fisse o se variano di giorno in giorno) fin quando è stata data la parola allo chef che ha fatto una domanda intelligente ma devastante per mio punto di vista: “Se sei uno studente hai un permesso di lavoro, quand’è che scade?”. Qua non si può mentire.
Fin quando s’arriva alla domanda interessante: se tu fossi un albero, che tipo di albero saresti?
Io in un secondo scarso ho pensato: ommioddio non so un cazzo di nome di albero in inglese – Mò dico il primo che mi viene in testa – Carrubbo – Cazzo ne so come si dice carrubbo in inglese, e poi loro manco lo sanno che è – Oddio sono morto – Minchia, cimitero – Pino – Pine. Dovete sapere che ho sempre confuso i cipressi con i pini. E quando m’hanno chiesto il perché della mia risposta, sono venuto fuori con una risposta degna dell’assunzione immediata: perché il pino non si trova dovunque, perché il pino è alto, è come una statua, non importa chi sei lui è più alto di te, il pino è una specie di albero…di albero speciale.
E così finì il colloquio, strette di mani e nice to meet you.

Se mi assumente vuol dire che davvero il pino che sono è speciale, se non mi assumente che il bello alto pino vi si conficchi dietro nel culo fintanto che non capite chi vi siete persi: un italiano a cui piace la pasta e assomiglia ad uno di un reality!

…mi fa una rabbia il fatto che vola pur non essendo mai andato a scuola!

Scenario: stavo a letto e guardavo Into the Wild. Oggi avevo deciso di prendermela di riposo. Ma ho fatto due lavatrici, sono andato alle poste, mi sono tagliato le unghie dei piedi che quelle delle mani le ho mangiate tutte ieri all’esame in cui mi sono ritirato. Ho pulito la stanza, sistemato le scrivanie anche se adesso sono disordinate come prima. Ho fatto una doccia e ho prenotato i biglietti per mamma e matti. Mi sento però un po’ in colpa per questo giorno di non-studio, così in colpa che ho installato la 10.04 di Ubuntu su una macchina virtuale e ho già tirato giù codeblock e eclipse: deciderò in serata quale sia il migliore IDE per c.
Ma ci sta una cosa che volevo dire in questo post. Oltre alla capacità di fare sesso che non sia procreativo ciò che ci distingue dalle bestie è l’ambizione. Dapprima l’ambizione di essere una persona giusta, quindi di avere successo nelle cose che si fanno, di avere un ruolo attivo nella vita della gente.
E io non capisco affatto come fa certa gente a non avere le ambizioni. A vivere da mantenuto, a non fare un cazzo da mattina a sera. A godersi i piaceri della vita, sesso barche cibo e mare, senza avere una briciola di sogno che non sia quello di trovare il colore dello smalto perfetto. Gente così la porterei in una fattoria, in una fabbrica, davanti a un lavandino di un ristorante con la sala piena, a fare dei lavori che permettono alla gente di divertirsi. Io faccio ingegneria. Dapprima per me, per essere qualcuno a questo mondo. Per migliorare la mia condizione sociale ed economica. E infine per avere un ruolo in questa sgangherata società, per vedere la mia firma in qualcosa che diventerà indispensabile ai più. Io riconosco le mie mediocrità ma ho dei sogni di tutto rispetto. E quest’anno andrò in Canada nella speranza che, una volta tornato, avrò una conoscenza ottima della lingua inglese; con tale patrimonio poi vorrò iscrivermi alla laurea magistrale e appena possibile ripartire per l’estero con un progetto di Mobilità Internazionale. Un progetto che se fossi rimasto nella mia arida terra avrei visto su youtube, sul canale del poli. Per i miei sogni sono disposto a percorrere degli apparenti passi indietro. Andare via dalle persone che mi vogliono bene, vivere in uno studentato che sembra quello dei film horror (questa non è mia ma di un ragazzo che ha visto il corridoio principale del II piano per la prima volta), rinunciare a una buona fetta di divertimenti, sacrificare i fine settimana.
Ma nonostante tutto ciò lo faccia esclusivamente per me, mi girano le palle nello scoprire che la gente fallita si possa divertire senza avere un minimo di desiderio per la propria vita.
A tutto questo non trovo rimedio. Soddisfo soltanto i miei istinti e desideri: e adesso mi sto sentendo terribilmente in colpa per questo mio oziare. Perciò vado ad aggiustare la bici, che ho nuovamente scoglionato. E col nervoso m’è pure venuto il singhiozzo. Minchia.

Perché è giusto rubare una bicicletta

La gente è ipocrita. Mica la gente dei film, la gente che definiamo amici, parenti e noi stessi. La gente tutta è ipocrita. E chi tenta di sottrarsi a questa categoria riesce nell’impresa d’esser ancora più ipocrita. Non c’è niente di male nell’essere ipocriti dato che lo siamo tutti. Al più possiamo lottare per definirci meno ipocriti di o un filo più ipocriti di. Ma il punto fermo, oggetto di questo post, è identico. Fornisco qualche argomentazione di importanza a caso e non assolutamente esaustiva per l’argomento. Di certo la cosa non mi verrà difficile considerando che i casi d’ipocrisia non si sprecano nella vita quotidiana. L’amore è ipocrisia, anzitutto questo. Non voglio dar l’impressione dell’uomo ferito che adesso si ritorce e inveisce come un disperato ma l’amore è l’esempio più bello che ho per definire il mio concetto di ipocrisia. Quando si ama lo si fa per se’ stessi. Per appagare un desiderio. Qualcun’altro ha già fatto una scala d’importanza dei desideri, così è che si scopre che dormire o mangiare è molto più importante che amare. Insomma, un’arancina è decisamente meglio che un bel bacio in Via del Vero Amore. Ma questo è assolutamente opinabile. Ciò che ritengo assolutamente non discutibile (ma questo mio parere potrebbe esserlo…) è che l’amore puro non esiste. Si ama sempre per aver qualcosa in cambio e quando le speranze di un ritorno iniziano a mancare l’amore tende a trasformarsi in altri sentimenti. Sentimenti che ancora una volta sono provati per avere un ritorno. Io per esempio non nascondo che ho amato per essere felice. Della felicità altrui mi importava solo perché la cosa mi rendeva ancora più felice. La mia felicità, anche se indirettamente, era sempre davanti a tutto. Per questo amare sé stessi è una malattia.
Nessuno credo che possa ritenere corretto rubare una bicicletta. Ma tutti poi sono il sabato alla fiera di Porta Genova a comprarne una rubata da qualcun’altro. Com’è che era? Direttamente dal produttore al consumatore?
Nessuno ruberebbe un Mac di qualcuno che sbadatamente l’ha dimenticato in aula. Eppure rubiamo ogni volta che acquistiamo un prodotto Apple la dignità di un essere umano, il diritto di una madre di vivere l’infanzia del suo bambino e talvolta la vita di qualche nostro simile. E’ questo che accade nelle fabbriche cinesi che producono i nostri aggeggi elettronici.
E perché studiamo nel mese di luglio? Un ipocrita direbbe per la propria formazione, la propria emancipazione e per aumentare la qualità della vita delle persone che ci circondano. Studiamo per i soldi. Perché vogliamo i soldi che il nostro studio potenzialmente ci fornirà. Soldi per mangiare cibo sano, per dormire con lenzuola di seta e per procreare anime felici. Che ricominceranno il ciclo dell’ipocrisia.
Questo è un post ipocrito? Come potrebbe non esserlo? Forse dicendo che sono incazzato per aver preso un ventitré che per altro meritavo?

P.S Se la premessa è falsa non importa il valore della conclusione

Ogni animale può essere addomesticato. Col tempo.

Nessuno di noi può davvero dimenticarlo. Siamo delle bestie. Animali fatti di carne, carne destinata alla putrefazione. Nasciamo come delle bestie, sporchi brutti informi. Spendiamo una vita a controllare la nostre indole istintiva, e poi per una inezia torna fuori. E più la si è repressa più forte è la deflagrazione. Siamo bestie, non lo scorderò mai. Quando sono veramente incazzato mostro i denti, ricordo di averlo fatto sin da piccolo. Stringo i pugni e il mio cuore impazzisce. Colpisci colpisci. Siamo animali, e chi lo scorda è perduto. Quando facciamo l’amore – pur con la persona che si amerà per tutta la vita (e questo bado bene a definirlo un atteggiamento da bestia) – si è degli animali. Il nostro sangue puzza come quello degli animali, il nostro cervello è evoluto ma non può nascondere per sempre l’animale che galoppa dentro di noi.
E quando si sveglia c’è sempre una ragione intensa, profonda. Fa bene guardare il tragitto su cui abbiamo camminato. Scimmie inteliggenti, gorilla poco sviluppati. Un bambimo non è molto diverso da un cucciolo di scimpanzè, e non lo sono neanche io quando il cuore mi brucia nel petto. Fiero di essere un animale, orgoglioso di essere me stesso.

(Si torni alla lettura del titolo)

Ventuno

Sono molto arrabiato. O arrabbiato. Io ce ne metterei tre di b, cazzzo. E non perchè ho preso 21, che in fin dei conti è pure un bel numero. E’ già nella seconda decina, e quindi mi sono evitato l’autoflagellamento. In più c’è quell’uno che libera la mia mente da ogni dubbio: non devo andare in un sexy shop a comprare frusta da usare da solo. E però come cazzo è che quando sono straconvinto di andare sicuro lì all’esame e poi guardo il prof con lo sguardo cazzuto come per dirgli: “Ti smembro tutto, ti smonto cazzo! Io sono un duro dalla testa ai piedi, spacco tutto. Dammi quel foglio che me lo mangio tutto, cazzo!”, come per dirgli questo e poi…niente poi il professore mi guarda, mi dice cazzo vuoi e mi stampa 21 vicino alla mia matricola.
Ma si, figa, si sarà sbagliato…21 è un bel numero, ma io non sono il tipo da ventuno. Guardami un pò, ‘spè mi metto di profilo…ti sembro mica che questo nasino visto per giunta di profilo si meriti un 21 ? Guarda il mio cazzo di nasino, se non vuoi un tronco su per l’intestino!
Ecco, vedo che ho la tua attenzione. L’accoppiata intestino-tronco fa sempre i suoi effetti.

C’è da rimontare ancora una volta, sono andato in svantaggio. E’ così qui all’università. Dopo lo stress post-esame, c’è lo stress post-valutazioni (e v’assicuro che non è poco), poi lo stress-pre-appello, quello durante l’appello di 3 ore 3 alle 4 del pomeriggio. Insomma, tutte cose già note: essere adolescenti quando si è felici è facile. E’ adesso che bisogna meritarsi il nome su quel cazzo di citofono.
Eh si, ho detto tante volte cazzo. Da ora parlo per bene.

Per usare un eufemismo…

… mi fa godere quanto un riccio osservare la gente che ha ritenuto che io abbia sbagliato (o che ha un amicoziocuginocognato che ha ritenuto che io abbia sbagliato) – e pertanto ignorarmi in mia presenza-, sbagliare stare male pubblicare link su facebook struggenti e struggersi autocommiserandosi.
Ah, la cosa che mi fa godere è che io sto bene da cui consegue che non ho sbagliato (o che ho fatto sbagli piacevolissimi).