Archivi del mese: gennaio 2010

Omeopatia – Un uomo che visse troppo a lungo

Oggi racconto la storia di un uomo.
E’ questa la storia di un ragazzotto austriaco, figlio di un principe e d’una contessa. A 18 anni ha a sua completa disposizione la cavalleria. Altro che il ministro Brunetta, quest’uomo con valore, coraggio e dimostrazione di fermezza ha ai suoi ordini i cavalli, gli scudieri e le scudiere. A 21 anni si guadagna il grado di Maggiore e l’anno dopo la carica impetuosa alla testa del suo reggimento, da una svolta decisiva alla battaglia di Cateau-Cambrésis riuscendo con gli alleati britannici ad aprire un varco nelle armate francesi uccidendo e ferendo circa 3000 uomini e catturando 32 cannoni nemici. Poco dopo viene decorato con la Croce dell’Ordine Militare di Maria Teresa e ha ancora la bocca che puzza di latte: ha meno che 25 anni. Passò alla storia come Carlo I di Schwarzenberg, ricordato come l’eroe della battaglia di Lipsia. Quest’uomo capita che nel corso della sua vita si sente male, capita a tutti nella vita. E’ una di quelle piccolissime bastarde clausole che firmi automaticamente appena piangi durante il primo respiro. E se non firmi e non piangi il dottore ti picchia fin quando, infine, piangi. Insomma sta male va nello studio di questo dottore, un certo Christian Friedrich Samuel Hahnemann, gli dicono che è tanto bravo e che cura le malattie incurabili. E lui ha una fitta forte al cuore che definiscono “misteriosa”. Samuele Cristian Federico (per gli amici semplicemente Samu) gli dice che può stare tranquillo, che lui ha ideato una nuova idea di medicina, tutt’apposto insomma: ci pensa lui a rinsavirlo. Solo che a Carlo I, l’eroe che tanto aveva combattuto e vinto, gli piglia n’altro ictus, e stavolta ci resta secco. I genitori di Carlo incazzati chiamano l’associazione dei farmacisti, quella dei consumatori e il Codacons (ormai che c’erano…); i farmacisti riescono quindi ad ottenere per Hahnemann l’ingiunzione a non distribuire i suoi prodotti, e Hahnemann, non potendo più praticare, deve lasciare la città.

Si da il caso che Samu è il fondatore della medicina alternativa chiamata omeopatia.
Samu è un uomo stravagante: conosce tante lingue (addirittura anche il caldeo, lingua parlata da un popolo dell’Asia anteriore) (io mi vergognerei a dire in giro che conosco il caldeo…ma vibbè..), sposa sua moglie, ci fa 11 figli (“Sulla soddisfazione dei nostri desideri animali”, si ammette che l’uomo è fatto – come ogni altro essere – per il godimento e per il piacere”). Poi sua moglie muore ( e lì sua moglie avrà ringraziato dato che a causa delle critiche mosse contro il marito questi la costringeva a cambiare casa frequentemente), capita. E lui oramai ottantenne si sposa con una donna che è 50 anni più giovane: almeno non corre il rischio che muore anche ques’altra. Il suo pensiero medico si basa sulla convinzione che “la malattia viene curata rafforzando le energie vitali al fine di ripristinare l’equilibrio dell’organismo”. Due Pan Goccioli la mattina, e un cucchiaio di Activia a Carlo I però non bastarono. Ma solo perchè aveva esaurito i Bonduelle.
Ribadisce nei suoi scritti che le bevande necessarie agli esseri umani sono latte e acqua pura; alcol e spezie accorciano le nostre vite. Il caffè è sgradevole già quando si prova a berlo per la prima volta senza zucchero: “è un avvertimento che ci dà la natura di non violare le leggi della salute, di non calpestare sconsideratamente l’istinto di conservazione della vita” . Il suo effetto primario è “un’esaltazione più o meno gradevole dell’attività vitale”, nelle prime ore; in seguito, ecco “un sentimento sgradevole dell’esistenza, un rifiuto della vita, una sorta di paralisi delle funzioni animali, naturali e vitali” . Il caffè “asseconda e accelera il lavoro della digestione”, semplificandola; “risveglia l’appetito venereo” (!) con dieci anni di anticipo. “Ansietà e caldane sono il tormento quotidiano di chi beve caffè, e specialmente anche l’emicrania”. Rovina i denti più del mercurio; serve, tendenzialmente, a evacuare in fretta, e a questo soltanto dovrebbe essere necessario(!!).

Se cerco Omeopatia su Wikipedia, nonostante non sia un’enciclopedia, mi avverte:

Le pratiche qui descritte non sono accettate dalla scienza medica, non sono state sottoposte alle verifiche sperimentali condotte con metodo scientifico o non le hanno superate. Potrebbero pertanto essere inefficaci o dannose per la salute. Queste informazioni hanno solo un fine illustrativo: leggi le avvertenze.
Insomma c’è d’aver più paura che dal dottore.
Inoltre per coloro che ancora credano alle erbette di questi stregoni, c’è da leggere tale post (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16125589) che può essere sintetizzato in un:
“…Picci picci picci, gioia della mamma, ti sei fatto la bua ? Vieni da mamma che ti da un bacio e passa tutto…è passato ? Hai visto tesoro ? La mamma è magica…”
La mamma si chiama effetto Placebo, così dicono gli scienzati (veri).
“Prendete un ditale, riempitelo di un prodotto medicinale, versatelo nella Marna dal ponte di Charenton, poi andate con una cisterna a raccoglier l’acqua sotto il ponte Mirabeau. Avrete così alcune migliaia di litri di rimedio omeopatico”
[Anonimo Francese] 

“…ciao, mba-mba-mba, cia…TUTUTU!”

Se dovete farmi un regalo (per il mio onomastico, per la mia carriera, perchè esisto, per sbaglio) toglietemi quel cazzo di TU-TU-TU quando si chiude una telefonata con le lacrime in gola.
Ci vorrebbe un messaggio di conforto, chessò un aiuto psicologico: una voce che ti ricorda soavemente tutte le cose belle che puoi perdere e che invece hai strette a te.
Non TU-TU-sei rimasto solo-TUTU-chi è il più miserabile-TUTU.
Ma vattene affanculu, TU-TU!

Attenzione, prostitute !

Che la razza umana non sia uniforme per modi, costumi, colore della pelle, dimensione del mignolino è risaputo.
Che nella stessa persona ci siano delle inesattezze, anche questo è noto.
Io stesso ho un alluce più lungo di ben 2mm rispetto all’altro che è un pò più timido ma sempre d’alluce si tratta (L’alluce è il ditone del piede, per chi come me lo chiama ancora così).
Dovrebbe risultare chiaro ed evidente, quindi, che ognuno di noi è differente per conformazione fisica (vd. forma dell’alluce) e mentale.
Il contadino si spacca la schiena per andare al mercato con un carico di frutta.
Il muratore si fa venire l’ernia al disco per portare i piccioli a casa spendere gli altri in birra Dreher.
La professoressa ha lasciato una mezza decina di diottrie su dei libri per chiarire a degli alunni ciò che gli alunni non vogliono che gli sia chiarito.
L’ingegnere (come non inserire questa categoria) ha dato 10 anni della sua vita in pasto a dei professori, dei libri, dei computer per costruire ponti, per abbatterli, per diventare uomo e per dare un futuro all’umanità. E per distruggerla. Fa tutto lui in poche parole.
Ora…perchè dovrei sorprendermi se una prostituta si spacca il culo (e non è soltanto una metafora) la notte per vivere una vita (di giorno) più che dignitosa ?
Dovrei condannare la sua scelta ? E chi mi difenderebbe dai suoi commenti per la mia scelta di vita (è sbagliata forse?) ?

Quello che mi sorprende (e che a taluni pare essere miele nel deserto) è che ci sia gente che offre a tutti coloro che ne vogliono usufruire di uno degli apparati più recettivi, sensibili, preziosi e protetti che il nostro corpo ci fornisce. Non sto parlando dell’alluce, minchia (fuochino…).
Mi sorprende, ma non critico nessuno è. Lontano da me, dalla mia volontà e dal mio apparato ogni cosa è lecita. Per quanto mi riguarda.
Dicono che serva a fare esperienze mostrare il proprio apparato a chi si prenota per primo (ma anche per i secondi e per i terzi e così via pare ci sia posto). Io ‘sta cosa non l’ho capita mai, voglio che qualcuno me la spieghi.

Lu maschiu deve avè sapore.

 
“Te vulisse cunta l’istoria de un amico mio pastore 
che entrò dentro gliu letto a fa l’ammore…
e pe surpresa, questo ammico mio / 
nun ce trovò la femmina, ma ce trovò lu Zio… 
…e cosi la famija s’encazza, pe rippara lu scandalo ia mmolla la regazza 
nun ce sta propio gnente da fare / a carci n bocca gliu porta all’altare…

tieu tieu tieu tieu tirà tirà tirà
mo perde mo perde mo perde la libbertà
la libbertà…che c…o ce po’ fa, che ce po’ fà…

Comm’era bello, tosto e scarcagnato / che l’ommo vero nun se mai lavato
puzzava de caprittu che era na bellezza
li era a ieri la settima schifezza
le donne s’enpazzevano d’amore
lu maschiu però deve avè sapore
lui invece li parenti te l’hanno ripulito
povero Serafino nun sape più de gnente
vonno sposà co l’organo, co l’organo e la banda,
lo fregano cu l’obligo de carza e de mutanda
lo trattano de striglia e de sapone
la ridotto nu povero ricchione… 
 
tieu tieu tieu tieu tirà tirà tirà
mo perde mo perde mo perde la libbertà
la libbertà…che c…o ce po’ fa, che ce po’ fà…”

“Si dissero l’un l’altro: “Ecco, il sognatore arriva!”

Se mai dovesse passare di qua, non credo che si soffermerà a leggere: e questo mi lascia scrivere senza soggezione alcuna, che ,dato l’individuo, non è del tutto irrilevante.
Sono abbastanza sicuro di sognare, dio.
Non penso che crederei facilmente a tale affermazione semmai qualcuno la scrivesse in un blog, la raccontasse a me, la raccontasse al suo alluce. E non avrei creduto a quella persona qualsiasi sia stata la sua religione, il suo sesso, le sue convinzioni, il suo stato di salute, la sua dichiarazione ISEE, il suo numero ccv della sua postapay.
(In conclusione logica vuole che non mi crediate, dato che custodisco segretamente la mia postapay)
Non ho ancora risolto il problema ontologico che lo riguarda di persona (si fa per dire), ma la notte quando vado a letto da qualche giorno a questa parte mi pare di sognarlo.
Prima che tenti di chiarire ciò che mi fa pensare che in quel sogno il protagonista sia dio, voglio ricordare alla memoria la prima volta . 1996, in bagno. Da sveglio. C’ero io Mamma, e Mattia che data la giovane età aveva necessità (urgente) di un cambio di pannolino. Il bagno era piccolo, le piastrelle di un marrone scuro, tutto pieno di vapori di un caldo bagno. I futili dettagli non siano fuorvianti, ricordo la stessa sensazione di questa notte. E da qualche notte a quest’ultima, aggiungo.
Sogno una sensazione. Intensa, unica, innaturale. Così forte che devo distrarmi per non sentire scoppiare il cervello. Due dettagli sono “chiari”: mi vedo dall’alto, e sono così piccolo che non so come faccio a esserne sicuro, ma sì sono io quell’uomo-formica. L’altra certezza è l’ambiente intorno a me: ovattato. Nebbia, o forse no. Non c’è cosa in terra che possa somigliare a quell’aria: ti accarezza e ti da fastidio, si può respirare ma non so come descriverla.
Credo che poggio i piedi su qualcosa di fisico, ma forse è soltanto una mia astrazione. Da piccolo infatti ricordo di poggiare su un cubo, ultimamente poggio su di un cilindro. Esattamente, un cubo e un cilindro. Come quei giochi logici in legno che insegnano agli infanti che il mondo ha fattezze chiare e conosciute. Quel cilindro pare fatto di metallo ma metallo non è. Pare grigio-opaco, ma questo non è che il colore terreno più verosimile.
Di dio non ce n’è traccia in effetti, ci sono io e quell’oggetto che forse sono io ad immaginarmi. Quindi sono certo soltanto che ci sono io, sono certo di sognarmi (touché).
E, ovviamente, c’è quella sensazione che mozza il fiato. Io e la sensazione.
In realtà non sogno, sono perfettamente libero di aprir gli occhi se volessi. E in realtà non sono sveglio: imprigionato in questo stato intermedio.
Non è normale, io lo sono. Credo e spero. C’è qualcosa che non so descrivere, che non so spiegarmi: quindi non chiedete spiegazioni, fornitele semmai.
E’ da escludere la peperonata e lo spezzatino coi piselli perchè pare che il cilindro sia indipendente da ciò che contiene il mio stomaco. Non sto attraversando un periodo particolarmente difficile: ho le mie quotidiane difficoltà avversità ma sono un uomo felice.
Non credo di star per morire, quantomeno non sono malato (se escludiamo che ho le proteine di tipo Alfa1 e Beta2 leggermente più basse della norma) (Mi sono documentato: è perchè non avevo fatto la cacca la mattina delle analisi, giuro).

Non so se esiste, forse non voglio saperlo. Dovrei rinunciare a tante riflessioni se conoscessi la verità sul suo conto, non avrei avuto la possibilità di argomentare squisitamente con te, con te che adesso mi permetti di definirmi felice.
Mi piace così, andare in chiesa soltanto perchè sento il cuore battere mentre i miei piedi poggiano su un sagrato, pregare pensando che “è soltanto una necessità avere un dio nell’anima” e stare accanto a te sapendo che c’è Qualcuno che davvero merita un ringraziamento.
Se sono una sua creatura, sa dove trovarmi, sa come presentarsi a me, sa come farsi credere, sa come farsi riconoscere senza terrorizzarmi.
E se per far ciò deve nascondersi nei miei sogno mimetizzarsi in un cubo, diventare un cilindro grigio-quasi opaco con il vento di cotone che m’accarezza la pelle, con il fruscio che penetra le cervella e infine manifestarsi nel mio blog…beh allora sì, sono davvero un uomo tanto particolare (e lui pare lo sappia già).

Nè prima nè dopo.

Qualche giorno fa mentre ero in fila al GS ho riflettuto su di una cosa che sarà accaduta circa 6 anni fa.
A quel tempo correvo. Bè corro ancora oggi, ma a quel tempo lo facevo come sport.
Avevo un difetto: non riuscivo mai a capire quand’era il momento del “final rush”, quando si deve dar tutto quel che rimane a disposizione. Ossigeno ai muscoli, dimenticarsi la fatica, per qualche secondo. Credo che non ho mai terminato una corsa avendo esaurito ogni forza.
Quel giorno era davvero un brutto percorso. Una salita interminabile prima del rettilineo di circa 300mt. che portava al traguardo. Due giri.
Avevo un altro difetto: stare primo mi metteva ansia, preferivo restare nel mezzo della corsa e lasciar che gli altri scegliessero l’andatura: riuscivo sempre a seguirla, ma non riusciva a darne una io.
Così dopo il primo giro mi ritrovai ad affrontare quel curvone in salita dietro una decina di corridori, ma mi stava bene così…Il percorso continuava e io appensatito dai miei difetti, restavo dietro. Cercavo di capire quando dovevo scattare, avanzava la stanchezza mentale, stavo per lasciare e accodarmi a quei dieci. Curvone cieco in salita, al termine di questa c’era il traguardo. Attraversato il quale era finito tutto.
Ma avvenne qualcosa. C’era mia madre. Che urlava. E diceva: “Corri Corri li puoi superare tutti…Corri !!”.
Avevo capito, era quello il momento di correre. Mi dispiaceva un poco lasciar indietro quei dieci che m’avevano gentilmente accompagnato per tutto il tragitto, ma la mia mamma m’aveva detto che dovevo correre.
Arrivai secondo, prima ero 12esimo…me lo disse Anna, la ragazza che mi seguiva e che non capiva perchè non correvo.

Naturalmente al GS non pensavo al curvone cieco o a quel tragitto: pensavo a mia madre.
Stava lì, in quella posizione: nè prima nè dopo.
Poteva dirlo troppo presto: avrei speso tutte le energie prima di tagliare il traguardo, che è cosa assai grave.
Poteva dirlo troppo tardi: avrei dato il massimo ma non sarebbe stato sufficiente.

Lei era lì, nè prima nè dopo. La mia mamma.

FDC – 3

Benvenuti, salve, Buonasera. Pertanto dicevo: eccoci dunque.
E’ quindi arrivato il momento di tirare fuori le palle, adoperarle quando la situazione le richiede.
Spegnere i contatti col mondo esterno, ridurre la durata degli svaghi, minimizzare gli spostamenti improduttivi.
Testa e palle, testa e palle.
Il secondino presto arriverà e dentro tornerò. E’ finita la mia ora d’aria. 
Testa e palle, testa e palle.
Se non riesco dovrò provvedere a cambiare qualcosa.
E’ il momento adatto. Faglielo Vedere.  

E’ nato

Oggi sono stato in ospedale. Visita alquanto strana dato che, nonostante mia madre voglia chiamare malattia la mia linearità, godo di ottima salute e robusta (si fa per dire) costituzione.
E invece ci sono andato, m’hanno prelevato altri 300-400 gr. di tessuto ematico (sangue), attaccato qualche cavo un pò dove gli pareva e quindi sono corso a gustarmi il mio fragrante cornetto ripieno di cioccolata imbudellosa.
Tutto secondo routine, giornata tipo di un neo-iscritto all’Avis.
Si da il caso, tuttavia, che il reparto di Cardiologia (dov’è pure situata quella graziosa infermiera rancida che non è affatto dotata di delicatezza) sia al terzo piano. E al terzo piano ci sta pure la Sala parto, la cappella e qualcos’altro che serve ai vecchietti, dato che le poltrone trasbordavano di anziani individui della razza umana.
Piglio l’ascensore per raggiungere Cardiologia (dov’è situata l’infermiera corrosiva) e attendo imbarazzato (come di mio solito quando c’è da condividere l’ascensore) che s’arrivi all’agognato terzo piano. Arriva, diiiin dooonn daaan che pare na fermata della metro, esco dall’ascensore.
Davanti a me una signora, e appunto i vecchietti. La donna è in attesa di una notizia, tenta alzandosi sulle punte di guardare aldilà di una porta verde chiusa. Cammina nervosamente, getta lo sguardo dentro la borsa che porta sulla spalla, cammina ancora più nervosamente.
Qualche battito di ciglia, quella signora ha già compiuto più movimenti di quanti ne abbia fatti io dal piano terra al terzo piano della sbisunta infermiera.
Improvvisamente si apre la porta verde, esce un signore con un camice verde dall’aria stanca. Poggia la mano sulla spalla della signora e dice dolcemente: “E’ nato”.
Quell’altra, come se avesse pensato per decenni alla prima domanda da fare, stringe la mano e guardando l’uomo in verde negli occhi chiede: “Come sta ? come sta ?”.
E più l’uomo la rassicura più lei insiste con la stessa domanda, l’unica che ha pensato nell’attesa evidentemente.
Magari qualcuno ha pianto dalla gioia, magari qualcuno ha urlato dal dolore e qualcuno, magari, pensa che riprendere a lavorare dopo le vacanze è davvero faticoso.
E io potevo pensare a quanto sia curiosa la scelta di collocare in uno stesso piano, a qualche decina di passi, la porta della sala parto e quella di geriatria. O potevo pensare che quella signora avesse nella borsa una bomba…per quello era così nervosa. Potevo osservare che quel verde del camice è davvero orrendo, o chiedermi che tipo di infermiera avrei incontrato. O potevo semplicemente camminare per i fatti miei, guardare la punta dei piedi, sistemare il colletto della camicia.
E invece ho assistito a quell’attimo.
Vivo per quell’attimo. Vivo per attendere in una sala d’attesa, vivo per guardare i secondi scorrere lenti nel mio orologio, come quella signora. Vivo per sentirmi dire da un uomo in camice verde “Sta bene “, vivo per tenere quella creatura fra le braccia e per donarle, per primo, Amore. E a scegliere la culla più comoda, i pannolini morbidi e la madre migliore (…così, in ordine sparso).
Ogni attimo che spendo è destinato ad accarezzare una pancia, a poggiare su un orecchio e a sussurrare, come quand’ero bambino, “Si è mosso“. E’ vivo, e sarà mio figlio.
Per adesso vivo, quel giorno arriverà.