Archivi del mese: settembre 2011

Cosa posso fare?

Rompo il silenzio del nuovo blog.

Resisti per favore, cazzo. L’inter oggi ha perso e ha giocato di nuovo di merda. Ma tu fottitene e resisti. Tu sai cosa devi fare intanto, vero?

Per favore, dai. Il campionato è ancora così lungo. Trova le forze e sfondiamo questo cazzo di muro. Dai, è possibile. Stringi quei denti, fai qualcosa. Io giuro che farò il massimo che mi è concesso. Appena capisco cosa è più giusto fare.

Il blog chiude, ma per fanti

Stavo scrivendo un post, che poi era il secondo della rubrica “Cose da imparare”. Mi sono imbattuto in un problema dovuto a blogger che non sono riuscito a risolvere. E questo ha fatto cadere il vaso che si è rotto vaso in cui c’era wordpress quindi mi trasferisco a wordpress. Se potessi vorrei che il passaggio fosse indolore per tutti (già adesso dovreste leggermi sul nuovo e temporaneo blog) ma non so fino a che punto sarà possibile.
Ad ogni modo il blog è chiuso, così dicendo non vi potete lamentare. La data destinata alla riapertura è strettamente collegata all’impegni di Sergio che curerà il nuovo template. Per il resto andate tutti a fare…i bravi!

…Io di sicuro non l’ho ancora VISTO

Se ne scrivo adesso è perché adesso c’ho abbastanza quiete interiore per parlarne. Si parla del Canada, si parla del visto. L’ultimo aggiornamento che ho scritto qui è che ero stato convocato a Roma, d’urgenza, per una interview. Senza capire che cosa volessero da me mi sono preso le mie 12 ore di viaggio in corriera e mi sono recato nella capitale oltrepassando l’angusto stretto di Scilla e Cariddi e la più pericolosa autostrada di Salerno e Reggio Calabria.
L’ingresso in ambasciata è stata una esperienza veramente formidabile se non altro perché rappresentava il mio primo accesso in terra Canadese.

Secondo me i jeans bianchi mi stanno da schifo!

Tutto molto burocratico, passaggio sotto il metal detector, consegna del pass, piano n.2, attenda in sala d’aspetto, fin quando mi chiamano nella stanza 1 delle interviste. Un cubo di due metri quadri, con un vetro a separare ermeticamente la zona immigrato dalla zona ufficiale dell’immigrazione.
Lei, chiamiamola l’immigratore, parla inglese. Ma è di quello comprensibile. Mi avvalgo comunque di un interprete per via delle mie scarse abilità nello speaking. Inoltre l’interprete si rivela essere la donna con gli occhi più belli dell’intero asse Italo-Canadese.
Qualche domanda che io avevo reputato generica (Perché vuoi andare in Canada, cosa studi, cosa vuoi fare dopo il Canada). E poi la notiziona: l’immigratore non crede che io, immigrato, stia andando lì effettivamente per imparare l’inglese. Lei non capisce perché uno laureato in ingegneria debba andare a lavorare come barista (o giù di lì). Non crede che i miei soldi siano sufficienti, infine non crede che io tornerò in Italia. Effettivamente gireranno certe voci sul conto del nostro paese che io li capisco questi poveri immigratori!
Perciò ha difficoltà ad accettare la mia domanda di visto: ma non la sta rifiutando e non la sta accettando. Che cazzo sta succedendo, che vogliono da me, io da loro voglio un visto per coronare il mio attuale sogno, loro vogliono risposte alle loro domande? E allora perché non mi fate rispondere?
Presto l’immigratore risponde a quest’ultima domanda. Devo tornare a casa, pensare e scrivere una mail in cui tento di convincerla della mia buona fede. Praticamente è uno scherzo sadico, così sembra: come faccio a convincere una persona che già pensa che sono il malafede scrivendole semplicemente una mail?
Io la mail l’ho scritta. Ho fatto il mio massimo, ho scritto sul bus di ritorno sul letto sulla scrivania. Ho pensato dovunque e a qualsiasi ora e una buona motivazione m’è pure venuta prima di addormentarmi. L’ho spedita domenica sera, lunedì in Canada c’era il Labour Day e ad oggi non m’hanno ancora fatto sapere niente. Ma tanto non fermano il mio Canada, ‘sti delinquenti!

Cose da imparare – Le pene

Apro una nuova rubrica. Cose da imparare. E siccome a scrivere sono io sarà una rubrica molto rigogliosa. E’ una rubrica dedicata ad una persona che m’ha fatto capire delle cose. Ha provato pure a impararmele (o a insegnarle che si voglia dire) e i suoi tentativi talvolta sono riusciti e altri son diventati dei fallimenti. Bensì se adesso scrivo questo intervento vuol dire che questi insegnamenti, a qualcosa son serviti.
La prima pagina di questo nuovo libro è dedicata alla percezione dei problemi. Avevo scritto un post ieri in cui citavo la famosa frase di Charles Bukowski Ognuno di noi ha i suoi inferni, si sa. Ma io ero in testa, di tre lunghezze sugli inseguitori.
Poi l’ho cancellato dopo una delle riflessioni di questa notte. E al suo post c’è questo. Che inizia con un proverbio, non fra i più delicati, della tradizione siciliana.

A minchia ‘nto culu ‘i l’autri è nfilu ‘i capiddru. 

In italiano corrente: Il pene nel culo degli altri è come un filo di capelliO meglio, le disgrazie altrui appaiono sempre di minore intensità, anche se così abbiamo perso gran parte della carica che il proverbio aveva.
In pratica, anche se ho capito il concetto e tento di metterlo in pratica, ognuno ha le sue pene; le mie sebbene sembrano insormontabili sono una minchia piccolina, una cosa da niente praticamente. Sergio sa cosa si intende, fatevelo spiegare da lui. Perciò io devo fare la mia parte a non lamentarmi troppo, a non preoccuparmi della minchia nel culo degli altri e a tentare di iniziare ogni giorno con un sorriso e con tanta voglia di fare. Incurante di cosa abbia conficcato nel deretano. Mi sembra cosa fattibile…