Battevo i pugni sul tavolo che con un pugno battevo un pugno e con l’altro mano tenevo il computer perché non cadesse. E io chiedevo perché io fossi caduto e a questo perché né questi né quegli altri avrebbero potuto rispondermi. Piangevo il calore dell’infermo nelle mie lacrime ed erano salate come il mare in tempesta.
Riempi la pilozza di acqua e poi presi della terra. Diventò un impasto di terra e acqua, era già una sorpresa. Poi ci infilai un dito e iniziai a dipingermi la faccia con quella crema naturale. Quando ritenni che era soddisfacente tornai in casa e mi feci vedere dalla mamma. Mi chiese che cosa avessi combinato. E io: guarda mà, come gli indiani.
Quando ero piccolo avevo un’altalena che se la oltrepassavi si viaggiava nel tempo (nel passato). E se la oltrepassavi nel senso opposto si viaggiava nel futuro. Il rischio era scordarsi da quale parte si era passati, così mettevo un ramoscello per ricordarlo. Poi diventai grande e la macchina del tempo si ruppe.
Uno scorpione doveva attraversare un fiume, ma non sapendo nuotare, chiese aiuto ad una rana che si trovava lì accanto. Così, con voce dolce e suadente, le disse: “Per favore, fammi salire sulla tua schiena e portami sull’altra sponda.” La rana gli rispose “Fossi matta! Così appena siamo in acqua mi pungi e mi uccidi!” “E per quale motivo dovrei farlo?” incalzò lo scorpione “Se ti pungessi, tu moriresti ed io, non sapendo nuotare, annegherei!” La rana stette un attimo a pensare, e convintasi della sensatezza dell’obiezione dello scorpione, lo caricò sul dorso e insieme entrarono in acqua.
A metà tragitto la rana sentì un dolore intenso provenire dalla schiena, e capì di essere stata punta dallo scorpione. Mentre entrambi stavano per morire la rana chiese all’insano ospite il perché del folle gesto. “Perché sono uno scorpione…” rispose lui “E’ la mia natura”.
Mi piaceva questa ragazza. Nicol. Credo ci fosse una e alla fine ma per me è sempre stata Nicol. Aveva una voce roca e i capelli corti ma a me piaceva e andava bene così. Le scrissi una scritta, MONOLITICA. Nicol ti amo. Poi migliorai con gli anagrammi, tendo a farlo. A migliorare. Decisi che se avessi avuto una figlia l’avrei chiamata Nicol. Poi decisi di chiarmarla Fabrizia, poi Giulia, poi fu Stefania, poi fu…Tendo a farlo, a perseverare.
Qualche anno fa ero ad un esame di Reti Logiche. Me ne andai prima della fine sbattendo una porta. E mi arrampicai su un albero, ci restai accovacciato finché ne avevo abbastanza. Poi scesi, presi un pezzo di ramo e me lo misi in tasca. E Giulia fin da allora si chiede perché lo tenevo in tasca.
Sul mio volto, sulla mia parte sinistra tra la mandibola e il collo ho una cicatrice d’acne. E’ un buco, un fottutusissimo buco dal diametro di un punta di stuzzicadente. Quando mi rado, la lametta non lo taglia: il pelo di barba dentro il buco resta salvo. Ma poi prendo una pinzetta e lo scippo. Anche se ho un buco d’acne lo deve sapere che sono io che decide chi resta attaccato al mio corpo e chi mi può cancellare dalla sua memoria.
Una volta ho finto di dormire mentre i miei genitori discutevano su come spendere undici milioni di lire. Mia mamma disse che era meglio comprare un divano che mangiarseli a cibo. Per circa 20 anni è stato il divano buono e quindi ci si sono potuti sedere solo gli ospiti. Del resto io mi sono convinto che è scomodo.
La mia prima memoria che ho di me che mi guardo allo specchio è me che mi dico mazza che sono brutto. Mi ma me a me e me. Meh!
Quando dico che sarò qualcuno lo dico davvero. Gli altri non lo sanno ma io ci credo veramente. E tristemente non c’è niente che mi può fermare. Sono nato povero e piangendo. Piangerò tutta la mia vita pure di morire ricco e piangendo. E se muoio giovane non potevano dire che avevo la volontà ma non mi impegnavo.
Un saluto alla signora Carmela che per una decina d’anni mi ha ingannato ogni mattina quando mi diceva che erano le 8 e facevo tardi a scuola. Erano sempre e dico sempre le 7:30.
Buon compleanno. E questo è l’unica volta che non parlerò di me. Ops…!
Buon compleanno.