Archivi del mese: settembre 2010

Pensieri da Paesello

Ho bevuto un intero bicchiere di Paesello, che sarebbe un vino in scatola preso a mensa. Fa schifo, il Tavernello in confronto è un Maria Costanza.
Poi è due giorni che apro i pacchi. Aprire i pacchi è un’esperienza terribile. Ti ricordi quando li hai chiusi, le speranze che avevi e i sogni che credevi presto si sarebbero realizzati. Quando chiudi i pacchi quei sogni rimangono intrappolati sotto lo scotch e il cartone, restano lì e ti aspettano. E oggi quando li ho riaperti si sono svegliati e mi hanno abbracciato. Le mie emozioni, la mia gioia nel tornare a casa con tutti i crediti, la mia immensa felicità nell’aspettare il meraviglioso mese d’agosto. Non sono riuscito a cavare neanche una lacrima, e pare che neanche un intero bicchiere di Paesello sia riuscito a sciogliermi un pò. Eppure ne ho bisogno ancora una volta. Quelle foto, quei fiori, quel pigiama. E poi quelle ciabatte bianche, che “tanto quando ritorno le trovo qua, no?”. Ho dovuto spiegare alle ciabatte che non verranno più indossate, che è successo qualcosa di brutto, che in fin dei conti potevano aspettarselo e che sì, capisco il loro immenso dolore. Le ho rimesse in un altro pacco che richiuderò.
Sono al picco inferiore della sinusoide, lo spero quantomeno (Ndr: l’amore segue secondo studi un andamento sinuisodale). E dato che ho memoria del tempo trascorso, quando alzo lo sguardo e osservo il picco superiore, soffro. Potevo cavalcare l’onda della felicità ancora per molto, ma ne sono sceso. E’ stata colpa mia talvolta, altre volte era inevitabile, alcune non avevo responsabilità. Ma ciò che conta adesso è che i ricordi felici escono dai pacchi ancora festosi e danzanti. E non so abbracciarli, non so coccolarli: non so dirgli andiamo a far festa. Che razza d’uomo sto diventando. Che razza d’uomo sono se non ho te, che seppure lontana miglia e miglia, hai sempre trovato la forza di un sorriso, la forza di strapparmi un sorriso.
Il cielo è già di per sè nuvoloso e cupo, lo è sempre stato. Ma adesso indosso delle lenti scure, e temo sarà così ancora a lungo. Facciamoci forza , mò passa tutto. Mò sci!

Dai fò – Cronaca di una imminente notte insonne

C’ho un problema da risolvere per adesso, e la mia unica preoccupazione adesso è risolverlo. Fa figo, sembro diligente e responsabile: in realtà non posso fare altrimenti, non posso che pensare al problema attuale. Come quando avevo l’otite: niente poteva andare peggio di quell’orecchio in fiamme. Eppure ciò che era più importante per me si stava sgretolando sotto i miei occhi e io non sono riuscito a fermare il collasso.
Così adesso penso alle conseguenze, sto cercando di capire chi ero e cosa sto diventando. Come mi sto lasciando influenzare dall’ambiente e come sto salvaguardando la spina dorsale.
E una parola mi ha illuminato: adrenalina.
Ho fatto cose assurde, impensabili. Mi sento già vecchio quando riconosco che adesso non farei un mucchio di cose che hanno movimentato i miei giorni solo un paio d’anni fa.
Quando mi fermo e mi chiedo il perchè di quello che ho fatto mi rispondo a difficoltà. Io credo sia la cultura del brivido, l’esaltazione dell’adrenalina. In nome dell’immortalità adrenalinica ne ho fatto di cose. Entravo nelle scuole di notte quando queste erano chiuse (e quando erano aperte volevo stare nel letto a dormire). Ho fatto suonare un allarme e poi mi sono appostato a filmare. Ho scritto sui muri e poi ho cancellato. Ho rischiato la vita sullo scooter e ci sono state volte in auto che ho cercato il limite: qualche goccia d’acqua o un filo d’acceleratore in più m’avrebbero mandato fuori dalla strada: e l’ho sempre saputo. Ho aggredito fisicamente un tipo in una macchina perchè non aveva messo la freccia con sufficiente anticipo e ho mostrato generosità oltremisura. Sono andato lontano da casa chilometri e sono tornato a piedi. Ho portato il mio culo sopra un sellino dentro una cava e per tornare a casa ho attraversato proprietà private senza curarmene.
A 13 anni e 9 mesi ho iniziato a lavorare e per ogni sabato fino al primo anno d’università non mi sono mai smosso dal mio posto di lavoro.
Ho avuto bisogno di emozioni forti, brividi e iniezione d’adrenalina. E quando il caso era abbastanza pigro mi sono procurato da solo le occasioni desiderate.
Poi ho conosciuto una donna. E non ho più dovuto procurarmi emozioni, brividi e adrenalina. Mi sono sentito un uomo sazio, un uomo che finalmente ha capito fino in fondo cosa è necessario e cosa superfluo: e, dio, è stata la più grande gioia che mi sarei aspettato di ricevere in dono. Niente più infrazioni del codice della strada, niente più violazioni di proprietà private, niente più fatica per poter colmare il vuoto. Ogni pezzo andava a suo posto da solo, lo stesso mondo, ai miei occhi, sembrava girasse con più calma. Tutto sembra perfetto, perfino quando il cielo è nuvoloso e la tua vera casa è molto lontana.
E adesso che bisogna sentirsi di tanto in tanto, che bisogna parlare di altro, che bisogna volersi bene ma non troppo…io adesso ho un vuoto. Mi sento perforato da parte a parte e, come quando avevo l’otite, non faccio altro che guardarmi dentro. E riesco a scorgere solo il vuoto, che è assai più brutta di ogni altra cosa. Cosa devo fare ancora non lo so, sto ancora subendo il colpo. Ciò mi fa pensare che può peggiorare, e il fatto che ancora me ne renda conto può essere un sollievo.
Nessuno più accarezza i miei capelli. E io sto morendo pezzo dopo pezzo. Ho bisogno di aiutarmi. Dai fò lele, per favore lele. Dai fò.

…nihil interit.

Per scrivere questo intervendo ho bisogno di alcune cose: ho bisogno di sapere che l’ultima volta che hai avuto accesso a questo blog è stato 4 giorni fa e prima così non era. Ho bisogno di ascoltare musica ad altissima volume che copra il rumore del mondo, anche se fra un pò dovrò salutare la mamma che torna dal lavoro. E ho avuto bisogno di leggere un vecchio post nel blog, scoprendo di aver dimenticato che era uno dei pochi post che t’aveva scappare un commento, che avevi scritto qualcosa.
Il post lo ricopio per intero qua, e vorrei che prima di procedere alla lettura di ciò che sta cambiandomi e che vorrei appuntare. Segue:

ok, c’ho pensato se farlo questo intervento. è un tantino diverso dagli altri, ora spiegherò il motivo.
E’ vicinissimo a un altro intervento, troppo vicino. rischia di diventare un diario e perderebbe entusiasmo. così perlomeno immagino.mi giustifico tuttavia dato che vi avevo avvertiti che le lunghe ore di attesa m’avrebbero smosso la testa, che vi ricordo s’avvita in senso antiorario.

bene, è un intervento diverso perchè non finisce con un punto, non espongo la mia tesi e voi zitti zitti a rosicare dentro. qua il problema è reale anche per me, e s’aggiunge alle tante cose di cui ragionare quando sei in un aeroporto con qualche paio d’ora in anticipo.
(i siciliani sono gente furba e lestofante perchè hanno decine di ore interamente dedite al pensare)

Ho parlato con un uomo, ieri..se vogliamo essere precisi e considerare la mezzanotte..l’altro ieri..a una domanda stupida ha dato una risposta superlativa, magnifica. veramente un gran d’uomo. lo stimo.
Oggi ho dovuto domandarmi ancora ciò che vi sto per dire, ciò che sento di vivere e/o essere. è un gran bel problema quando sei lì-lì per spiegare cosa hai in testa e la testa invece ti dice: “ma non è che quel che stai per dire è totalmente errato ? “
cazzo questo è un ammutinamento bello e buono. come quando porti l’auto dal meccanico: sono giorni che ti fa quel rumorino malefico, che t’urla nelle orecchie “fra 10 metri ti lascio a piedi, brutto umano viziato e presuntuoso“, così decidi d’andare dal dottore delle automobili. e lei muta, sembra che rida (dovrebbe starci il congiuntivo, ci sta un che ) di te. sembra che ti prenda in giro quando risali in auto, arrossato di rabbia e vergogna per la pessima figura col meccanico, lei è lì e riprende a far quel rumore fastidiosissimo da sotto il cofano.
così come quel figlioletto che prega il papà che lo porti dal dottore che gli fa male “qua qua e qua e poi qua e qua” e una volta dal dottore gli è passato tutto, tutto. na pasqua, lo vedi che saltella cogli amici.
“vieni qua figlio mio, vieni qua che ti devo dire una cosa (iu ti fici e iu ti lievu ro mienzu sorta ri delinquenti chi malafiura mi facisti fari ‘nto dutturi ? “



“Qual’è la forza misteriosa che m spinge a soffrire? Che sia la stessa che mi spinge ad amare? Cos’ho fatto ordunque per amare?

ok stop, potrei finirla anche qua. con questa frase scopiazzata dai miei pensieri di qualche anno fa. ma è bene che aggiunga qualcos’altro.
L’uomo saggio l’altra sera mi dice:
l’uomo ha bisogno per istinto di due cose che dovrebbero essere proporzionali: amare ed essere amati. l’una e l’altra cosa. insieme.
purtroppo è un mondo difficile e spesso insieme non vanno. ed è così che l’essere umano deve sopperire a una delle due con qualcosa di diverso: o ricchezza, o potere o sesso.
ma l’uomo tenterà sempre di amare ed essere amato. insieme.

Lo credo anch’io: Amare non mi basta, oh sono bravissimo eh, ma non mi basta. è come mangiare il cornetto e non gustarsi la punta al cioccolato o come mangiarsi un panino intero e far scivolare sbadatamente per terra l’ultimo boccone. [trattasi volutamente di esempi denigratori, è già tutto pomposo per natura ridere non uccide nessuno].
Essere amati d’altro canto non è sufficiente. talvolta diviene perfino indesiderato,fastidioso, si odia la gente che sarebbe disposta a darti la vita. (vd. Ballata dell’amore cieco). ecco per fare un esempio…a chi non è mai capitato quella cazzo di mosca che trova eccitazione nel fare “bzzzz” dietro il tuo orecchio, preciso preciso di fronte al timpano proprio nel momento migliore del tuo sonno?
Credo che quando si verificano entrambe, quando si è ama e si è amati – magari tutto con lo stesso soggetto – quello è un vero momento felice. come una mosca che fa bzzz nella punta del cornetto algida per intenderci. [torniamo seri]

ma se tutto ciò diventa una mia necessità, amare…come posso non credere che tutto va a puttane, che l’amore non è che merce scambiata, che non diventi un banale bisogno dell’uomo al pari di mangiare e urinare ?
è davvero un passatempo ? e cosa mi rassicura dal fatto che l’amore verso quella donna/uomo (barrare solo una delle due opzioni, grazie) è amore vero, e non soltanto un bisogno? la persona che ti sta accanto è lì per soddisfare un tuo bisogno ? è uno scambio equo di favori? perchè?

cosa mi spinge ad amare ? e perchè ? e come starei senza ? e perchè ?

Quel post si intitolava Omnia Mutantur, tutto muta. Quest’altro terminerà la locuzione: niente perisce. L’altro giorno ho scritto sul mio profilo un vecchio proverbio siciliano che si traduce in tutti sanno che l’amore ferisce eppure tutti vogliono provare se è vero. Quando ho scritto il post qui sopra ero un uomo felice e adesso se potessi rappresentarmi in una emoticon sarei due punti seguito da una parentesi aperta. Eppure la domanda che mi pongo è la stessa, ed è interessante sapere che è una delle poche cose che ha in comune la mia vita recente. Perchè mi sono innamorato? Adesso sto male. Per usare una metafora a te nota, mi sento un intero castello di Lego a cui manca il pezzo più importante. Mi sento così. Vorrei essere a Milano adesso, e so già che appena arriverò lì vorrò essere da un’altra parte. Domani stesso partirei per il Canada, e sono appena tornato da una breve vacanza a Milazzo. Ma ho come l’impressione che quello da cui voglio fuggire mi stia inseguendo. Ed è più bravo di me. Forse sto cercando di fuggire da questa situazione, forse sto confondendo i luoghi della geografia con quelli dentro me.
Ne parlavo con Sergio: esisterà mai un momento in cui penserò quello che ho pensato con te? Lui dice di si, io dico di si. Ma mi sento un cieco che dice che un giorno vedrà il mare. Dovrò fare più attenzione adesso: le speranze e i sogni sfuggono dal coincidere con la realtà.
Se non ti ho detto mai staremo insieme per sempre come faccio adesso a dirti non torneremo mai quelli di prima? Sarebbe scorretto, non sarebbe giusto. Eppure le speranze – l’ho appena detto – devono restare fuori dalla mia giornata, per un pò almeno.
Mi sento uno zoppo senza bastone. Ho avuto l’otite quest’estate, e mi sembrava potesse cadermi l’orecchio da un momento a un altro. Adesso posso andare in discoteca, farmi un bagno infilando la testa sott’acqua e tenere il finestrino aperto. Ma mi manca la sicurezza che aldilà di quel telefono ci sia una persona che non faccia altro che pensare a me. Preferirei ancora l’otite. Un solo grammo (uno solo!) di Augmentin nel giro di qualche giorno mi ha fatto risentire il leone di tutti i giorni. Adesso trascino il mio corpo in giro per le cartine geografiche, la notte è ancora ribelle e pensa a te, i giorni passano senza che il cellulare s’illumini del tuo nome. E sticciazzo della miseria ladra in farmacia non c’hanno niente per sto male, mi hanno detto che c’è solo questo…tempo®: bastardi, mi costa una vita e non è neanche prescrivibile.

La coda della gaussiana

Occhei adesso è un pessimo momento e lo capisco per un motivo: ho finito di pensare al futuro. Ho lo sguardo fisso sul passato, e il presente scivola addosso. Ho il cuore che batte forte se sento una suoneria, ho una faccia triste quando scopro che è il solito messaggio pubblicitario della tim. Piango la notte al telefono e non riesco neanche tanto bene a camuffarlo. Urlo la notte al telefono e non capisco ciò che mi dicono. Ho il cervello che non riesce a distrarsi, a pensare oltre. Scrivo ciò per ricordare cosa si prova, un giorno che tutto questo sarà finito. Devo ricordarmi tutto, devo capire ogni cosa. Aspetto con impazienza

I miei quaderni d’inglese

Precisazione: questo blog è ancora agonizzante. Lotta tra la vita e la morte come un malato in terapia intensiva, e l’unico medico che assiste il paziente è il tempo. Questi non si cura se il battito s’affievolisce o se ci sono dei miglioramenti. Il tempo aspetta, che poi è l’unica cosa che sa davvero fare bene: non ha fretta e non ha calma. E’ assolutamente perfetto.

Detto ciò oggi stavo rovistando nello sgabuzzino grande (questa cosa non è molto grande ma sì, ci possiamo permettere uno sgabuzzino piccolo e uno grande, una sala da pranzo e un cucinino) per cercare dei libri del mio liceo da andare a vendere. Inizio a togliere tutti i quaderni, fogliettini ed eventuali presenti fra le pagine dei libri destinati a questa triste fine (chissà in quali mani andranno).
Così trovo dentro il libro d’inglese un quaderno, d’inglese ovviamente. Terza liceo, l’anno più quasi importante della mia vita: 2005/2006. Frettolosamente sfoglio questo quaderno e mi fermo nell’ultima pagina: è lì che sono solito appuntare i pensieri che scappano alle ore di lezione noiose (ho tutt’ora questo “vizio”). E ho trovato questo:

Molte volte al dolore si è aggiunta rabbia. Molte volte la mia guida è stata la rabbia. Ti porta a fare cose che mai avresti immaginato ad animo sereno. La rabbia ti carica di una forza misteriosa, una forza incredibile che ti fa spiegare le emozioni, anima i sentimenti repressi. Come una droga. Durante la rabbia il cervello supera il cuore, il cuore supera la mente. E’ un continuo oltrepassare, un continuo superarsi. Nulla. Non esiste un fine in questa lotta. Finchè può dare da. Quando non può dare supera se stessa. E riesce nell’impensabile. Giri più veloce. Stringi le mandibole. I denti sfregano fra loro. Ogni muscolo è in tensione. Il cuore accelera la sua corsa. Il sangue corre, e le vene emergono allo scoperto. Nel collo. Nelle braccia. Le tempie. Le pupille si dilatano. Ogni respiro è infinito. Le percezione uditive accrescono e le olfattive perdono razionalità. Il primo attimo è cruciale. Si deve spezzare l’inizio. Fatto il primo passo inizia la cascata degli eventi. Uno dietro l’altro. Non c’è tregua. Ogni attimo preparatorio non è stato vano. E ora è evidente. Pian piano la carica esplosiva rallenterà, fin quando esauritosi si crollerà al suolo. Sfiniti. Finiti. Ogni azione è compiuta. Non c’è null’altro da faer. Solo sfiorare il suolo toccando le stelle.

Poi nella pagina dopo c’è scritto:

Bruto negò di pentirsi di aver ucciso Cesare.

Ad te scribo quid faciendum sit antequam proficiscar fuere quos pavor nando etiam capessere fugam impulerit

I miei quaderni d’inglese erano bizzarri, davvero bizzarri.