Archivi del mese: settembre 2009

FDC – 2

Se volete potete cliccare qui.
L’ozio di questi giorni mi ha fatto pensare molto: tutti sanno che stare su un letto a grattarsi l’ombelico è il miglior modo per pensare molto.
E poi uno non è che pensa, così, e poi non finalizza.
Pensi-Scrivi. Rileggi-Ripensi-Elabori-Agisci (o continui a grattarti l’ombelico).
Ho pensato di descrivere la situazione che mi circonda dopo aver sciolto le redini del mio destino, ma poi ho pensato che un bel post campanilistico non sarebbe stato malaccio. E poi ho pensato di far l’unico anche mentre navigo nei campi elisi e parlare della mia morte. E anche questo non era malaccio. Poi mi sono messo a leggere i miei vecchi post sul mio vecchio blog e ho pensato che un bel post nostalgico stile “rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale quando beltà splendea” non poteva certo arrecare danno a nessuno.
Infine mi son sentito tanto confuso e adesso non so neanche perchè sto qua a pigiare tasti.
Quando la vita per un attimo ti sorride, come una donna incontrata per la strada e mai più rivista, quando le foglie cadono dagli alberi e tu sei lì ad ammirarle, quando tutto ciò che ti circonda ignora la tua presenza e tu non fai altro che goderne, quando provano a morderti i tendini e tu stai lì che saltelli con una fune gioendo..ecco, perchè io dovrei continuare a pigiare questi stupidi tasti ?
C’è un mondo là fuori che è marcio, e io porgo saluti e gentilezze ai miei futuri boia preferiti. E io non mi curo dell’attimo, e della pioggia e delle zanzare. Non posso far altro che ringraziare il corso degli eventi, provare a introdurre un elemento magico e illudermi che sia tutto frutto di qualcuno che mi vuole bene.
E guardarmi intorno, e non dover più lottare per ottenere ciò che m’è stato ingiustamente tolto. Non più adesso, adesso che nessuno può togliermi ciò che sta a fianco a me. Nemmeno ingiustamente.

Il povero bracciante

“… Tutta quella roba se l’era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria, coll’affaticarsi dall’alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col logorare i suoi stivali e le sue mule – egli solo non si logorava, pensando alla sua roba, ch’era tutto quello ch’ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, né nipoti, né parenti; non aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba.”

11:59
4 Settembre 2006

“Pedicabo ego vos et irrumabo”

[Agli studenti del corso di diagnostica]
Nella condizione umana c’è una verità: che tutti gli uomini mentono. La sola variabile è su che mentono. (House)

Ecco io non sono cattivo, e io non dico tante bugie. Soprattutto quando si avvicina il periodo in cui bisogna mandare la letterina a Gesù Bambino, quando arriva il momento che la verità fa del male e quando mia madre mi consiglia gentilmente di osservarla. Suona così all’incirca: “Guardami negli occhi G-I-O-E-L-E, guardami negli o-c-c-h-i “. Ecco soprattutto quando mi guarda negli occhi, dovrebbero farla lavorare in quei tribunali americani ed eliminare i giuramenti sulla bibbia.
Però sarei uno sciocco se pensassi che ognuno di noi ha una mamma come la mia che gli chiede di guardarla negli occhi. E così sono stato costretto a sviluppare un’altra personalissima riflessione. Ecco io non voglio fare il buono della situazione, ma io non darei tanta fiducia alla gente che c’è in giro. Si, ecco lo dico. C’è da stare attenti, in pochi si dispiacciono davvero della tua miopia.
Ecco io non ci riesco. Parto dal presupposto che ogni persona che mi sta vicino ha in realtà un desiderio represso e irrefrenabile di infilarmi la mano nelle tasche – aprire il portafoglio – prendere il danaro – sputarmi in un occhio – tirarmi una ginocchiata nel setto nasale – lasciarmi morire dissanguato – tirarmi il portafoglio sul corpo ormai esangue.
Mi sono posto la domanda, che sono la personificazione del lupo detto “di mala coscienza”, quel lupo che come opera pensa. E può pure darsi che io lo sia.
Ma scusami tanto se ti punto la canna di questo fucile tra le orbite, e scusami tanto se non mi chino a prenderti la saponetta. No, neanche un secondo.
Scusate se io penso a me stesso, se penso che quello che mi sta davanti in tram è un pippatore e se quella donna che ha appena svoltato l’angolo è una mangiauomini.
Pongo sul volto d’ogni uomo una maschera da cannibale, e se ci sarà sotto un volto di un ladro ne sarò piacevolmente compiaciuto.

In fondo c’è da scegliere se vivere dietro un mirino per una vita e annuire sorridendo quando questa, giunta al termine, mi sussurrerà ad un orecchio di aver cannato con la mia teoria. O di andare in giro per strada a chiedere alla prima buttana che passa di premere quel grilletto rivolto verso di me. Lo chiedessero a me esiterei, ma cosa ne posso sapere io delle puttane che girano per la strada.
Scusate, amici che ancora non vi conosco, se i primi giorni che condivideremo non vi rivolgerò la parola se non per farvi notare quel ridicolo brufolo. E scusate, amici che miei non lo sarete mai, se non porterò mai il mio setto nasale al di sotto del vostro mento. Dritto e all’insù, il mio naso, lo sarà finché avrò ossigeno da respirare.
E, scusate per ultimo, se decido io a chi consegnare l’esclusiva di essersi avvicinato tanto da poter conoscere la marca del mio dopobarba.
Che di gente sul tram che mi vuole stuprare, là fuori, ce n’è fin troppa.
*

Ai remi, Ai remi!!

«
A questo punto non devi lasciare
qui la lotta è più dura ma tu
se le prendi di santa ragione
insisti di più.

Sei testardo, questo è sicuro,
quindi ti puoi salvare ancora
metti tutta la forza che hai
nei tuoi fragili nervi.

Quando ti alzi e ti senti distrutto
fatti forza e va incontro al tuo giorno
non tornare sui tuoi soliti passi
basterebbe un istante.
»

Edoardo Bennato (1973)

Il mio pensiero, in questa notte dal gusto amaro, va al carissimo amico Sancho.
Ed è arrivato il momento di far vedere chi c’ha le palle.

I giorni a venire

Ricomincio. Fuori il tramonto, ho intrecciato le tende e aperto la serranda per vederlo. Siedo sul solito letto, e la coperta che mi offre il suo calore di notte è voltata dal lato bianco. Anche i miei pantaloncini lo sono e la felpa nera non la tengo più. Ignudo.
Vado.

Li accomunava il colore degli occhi e nulla più. Nero, o forse marrone. Magnetici e veloci, spiccavano sul suo candido volto: il violento contrasto lasciava scivolare un velo misterioso su cosa stesse pensando in quel momento. Il fiato di quell’uomo così vicino le colorava appena le guance, che apparivano buffe in quella valle innevata ch’era il suo volto. Le sue mani ruvide tremavano all’idea che una carezza potesse interrompere quella splendida armonia che sembrava dipinta: le guance rosee e i neri occhi, il volto limpido e i biondi capelli. Su quel letto, quel giorno e per molti altri ancora, era Αντέρως a vegliare e nessuno mai potette distogliere le sue attenzioni su quei due uomini.
Il vento era certamente invidioso quella notte, tuoni e tempeste mostrarono le loro migliori virtù.
I due amanti non sembravano essere turbati del lume che d’un
tratto si era spento: come se la luce, con discrezione, aveva abbandonato la scena appagata da tanta passione. I loro occhi non smisero per un istante di scoprirsi, le loro labbra continuarono a sussurrare dolci parole sfiorandosi soavemente. Non era di certo il chiarore del lume che permetteva loro di trovarsi. Le braccia della candida fanciulla avvolgevano il collo dell’uomo in un sensuale abbraccio, le sue dita sfioravano i capelli arruffati. Lentamente scese sulla sua ampia fronte, continuò lungo il naso e fermò le mani sulle guance. Il buio di quella notte non riuscì ad evitare che lei lo notasse: erano come segnate, incise per sempre. Dei lunghi solchi che erano rimasti celati, che adesso erano inumidite da lacrime silenziose. Il vento cessò, i tuoni zittirono i loro lamenti. I loro occhi commossi non avevano smesso un attimo di specchiarsi gli uni negli altri, e in quel attimo unirono i loro corpi.
Passarono le stagioni, passarono gli inverni, cadde la pioggia e si addensarono le nuvole. Fiorirono i mandorli e nacquero nuove fragole, i loro occhi neri continuarono a trovarsi nel buio della notte, le loro mani continuarono a intrecciarsi, i loro nasi continuarono a giocare sfiorandosi l’un l’altro.
Ci sono fuochi che non possono spegnersi, ci sono mandorli che non cedono all’inverno, ci sono solchi che non si cancellano, ci sono temporali che non finiscono.
Ci sono visi che si colorano e lacrime che scivolano.

I due amanti non smetteranno di sedersi di fronte e ascoltare il loro riso melodioso, e il sole tramonte e poi risorge. Ancora.


(..me ama!)


I giorni trascorsi

Ci provo, sto ascoltando I giorni di Einaudi. Indosso una felpa nera col cappuccio, e la serranda è quasi del tutto giù a irrorare oscurità. Sto su un letto con delle lenzuola allegre coperte da una trapunta nera. Gambe intrecciate e il tempo che scalpita.
Vado…

Le vene del collo erano evidenti, gonfie di sangue. Si poteva quasi scorgere il flusso ondulatorio del sangue che ad ogni pompata diventava più veloce. La mascella serrata, le labbra socchiuse lasciavano intravedere i denti chiusi con forza.
I pugni anch’essi stretti, e ciò faceva emergere le arterie, le vene e i capillari. Quei capillari che a uno a uno scoppiavano negli occhi, colorandoli di un rosso vendetta.
Ogni muscolo al proprio posto, ogni articolazione pronta al colpo e ogni tendine teso. Il primo fendente fu micidiale, tutto fu perfetto.
Non così perfetto da non essere migliorabile. Il secondo e poi il terzo, e poi uno dopo l’altro. Come se non dovesse esserci mai fine. Come se un ago infilzato tra la nuca e il cervelletto ricordasse istante per istante tutto il dolore provato. Giù sul corpo inerme, ogni colpo sembrava essere migliore del precedente. Niente ansia e niente paura. Quella macchina perfetta non lasciava fuggire una lacrima, una goccia di sudore. Niente che potesse far pensare a un sentimento inadatto alla circostanza: pietà e commiserazione erano fuggite dal suo cuore.
E quando il cuore dovette arrendersi a pompare a quei ritmi forsennati, quando la macchina perfetta accennò a cedere alla stanchezza si alzò. Si alzò e aprì i pugni, sciolse la tensione fino ad allora invisibile. E con la forza che non lo aveva mai tradito nei momenti opportuni, senza dar libertà ai muscoli del viso, incise dei solchi sul suo volto. Incise dei profondi solchi con le unghie spezzate, con le unghie familiari a quel gesto apparentemente inspiegabile. Ne uscì del sangue, e l’aria frizzante lo pietrificò.

Lo ricordo ancora.

…figghia mia a ccu t’haju a dari!

Studiavo questa mattina, studiavo. Ci provavo quantomeno, dato il periodo infelice (esclusivamente sotto questo punto di vista) che sto attraversando.
La brusca interruzione di un estate entusiasmante, il ritorno a milano ( che non si merita neanche l’iniziale maiuscola, tiè) e la lontananza dei cari “parenti” ha provocato in me un odio profondo verso la materia in questione. C’è da dirsi che l’accoppiata Pacco-Dulio non ha migliorato la situazione alquanto precaria.
Ed è così che stamattina, stanco di far cose che non capisco e che non capirò, mi dedicavo con tutto me stesso a fare una pausa. Non so come ma ci fu come qualcosa, qualcosa che mi fece svegliare dal torpore vettoriale: una canzone della mia terra (che è la più migliore assai etcetc ma queste cose già le sapete, sono ovvie d’altronde!).
Coooomunque, è da stamattina che rido come un matto disperato ad ascoltare e riascoltare questa canzone, per poi improvvisamente diventare serio nel leggere l’ultima strofa. Serio col sorriso.

E la luna a menzu o mari, mamma mia m’ha’ maritari,
figghia mia a ccu t’haju a dari, mamma mia penzici tu.
Si ti dugnu a lu chiancheri, iddu va iddu veni la sasizza ‘n-manu teni,
si ci pigghia la fantasia ti nsasizzia figghia mia.

E la luna a menzu o mari, mamma mia m’ha’ maritari,
figghia mia a ccu t’haju a dari, mamma mia penzici tu.
Si ti dugnu lu fruttaiolu, iddu va iddu veni lu citrolu a ‘n-mau teni,
si ci acchiappa la fantasia ti citrulia figghia mia.

E la luna a menzu o mari, mamma mia m’ha’ maritari,
figghia mia a ccu t’haju a dari, mamma mia penzici tu.
Si ti dugnu a lu pumperi, iddu va iddu veni e la pompa a manu teni,
si ci pigghia la fantasia poi ti pumpia figghia mia.

E la luna a menzu o mari, mamma mia m’ha’ maritari,
figghia mia a ccu t’haju a dari, mamma mia penzici tu.
Si ti dugnu o gilataru, iddu va iddu veni e e lu conu a manu teni,
si ci acchiappa la fantasia ti fa liccari lu conu a tia.

E la luna a menzu o mari, mamma mia m’ha’ maritari,
figghia mia a ccu t’haju a dari, mamma mia penzici tu.

Si ti dugnu a ‘n-autista, iddu va iddu veni e lu cambju a manu teni,
si ci pigghia la fantasia la marcia cancia figghiuzza mia.

E la luna a menzu o mari, mamma mia m’ha’ maritari,
figghia mia a ccu t’haju a dari, mamma mia penzici tu.

Iu ti rugnu a un picciutteddu, riccu è, beddu assai, e ti voli tantu beni.
Notti e jornu voli a tia pi vasariti figghia mia “.

Americano all’improvviso.

Sono queste le parole di Barack Obama rivolte agli studenti d’America per l’apertura del nuovo Anno Scolastico.
Preferisco non essere sminuito di fronte al Presidente, dicendo stupidaggini irriverenti.Nessun commento ulteriore.


So che per molti di voi questo è il primo giorno di scuola. E per chi è all’asilo o all’inizio delle medie o delle superiori è l’inizio di una nuova scuola, così un minimo di nervosismo è comprensibile.
Immagino che tra voi ci siano dei veterani a cui manca solo un anno per concludere gli studi e quindi contenti. E, non importa a quale classe siate iscritti, qualcuno tra voi probabilmente sta pensando con nostalgia all’estate e rimpiange di non aver potuto dormire un po’ di più stamattina. So cosa vuol dire. Quando ero giovane la mia famiglia visse in Indonesia per qualche anno e mia madre non aveva abbastanza denaro per mandarmi alla scuola che frequentavano tutti i ragazzini americani. Così decise di darmi lei stessa delle lezioni extra, dal lunedì al venerdì alle 4,30 di mattina. Ora, io non ero proprio felice di alzarmi così presto. Il più delle volte mi addormentavo al tavolo della cucina. Ma ogni volta quando mi lamentavo mia madre mi dava un’occhiata delle sue e diceva: «Anche per me non è un picnic, ragazzo».

Ora, io ho fatto un sacco di discorsi sull’istruzione. E ho molto parlato di responsabilità. Della responsabilità degli insegnanti che devono motivarvi all’apprendimento e ispirarvi. Della responsabilità dei genitori che devono tenervi sulla giusta via e farvi fare i compiti e non lasciarvi passare la giornata davanti alla tv. Ho parlato della responsabilità del governo che deve fissare standard adeguati, dare sostegno agli insegnanti e togliere di mezzo le scuole che non funzionano, dove i ragazzi non hanno le opportunità che meritano. Ma alla fine noi possiamo avere gli insegnanti più appassionati, i genitori più attenti e le scuole migliori del mondo: nulla basta se voi non tenete fede alle vostre responsabilità. Andando in queste scuole ogni giorno, prestando attenzione a questi maestri, dando ascolto ai genitori, ai nonni e agli altri adulti, lavorando sodo, condizione necessaria per riuscire.


Questo è quello che voglio sottolineare oggi: la responsabilità di ciascuno di voi nella vostra educazione. Parto da quella che avete nei confronti di voi stessi. Ognuno di voi sa far bene qualcosa, ha qualcosa da offrire. Avete la responsabilità di scoprirlo. Questa è l’opportunità offerta dall’istruzione. Magari sapete scrivere bene, abbastanza bene per diventare autori di un libro o giornalisti, ma per saperlo dovete scrivere qualcosa per la vostra classe d’inglese. Oppure avete la vocazione dell’innovatore o dell’inventore, magari tanto da saper mettere a punto il prossimo i-Phone o una nuova medicina o un vaccino, ma non potete saperlo fino a quando non farete un progetto per la vostra classe di scienze.


Oppure potreste diventare un sindaco o un senatore o un giudice della Corte suprema ma lo scoprirete solo se parteciperete a un dibattito studentesco. Non è solo importante per voi e per il vostro futuro. Che cosa farete della vostra possibilità di ricevere un’istruzione deciderà il futuro di questo Paese, nulla di meno. Ciò che oggi imparate a scuola domani sarà decisivo per decidere se noi come nazione sapremo raccogliere le sfide che ci riserva il futuro. Avrete bisogno della conoscenza e della capacità di risolvere i problemi che imparate con le scienze e la matematica per curare malattie come il cancro e l’Aids e per sviluppare nuove tecnologie ed energie e proteggere l’ambiente. Avrete bisogno delle capacità di analisi e di critica che si ottengono con lo studio della storia e delle scienze sociali per combattere la povertà e il disagio, il crimine e la discriminazione e rendere la nostra nazione più corretta e più libera.

Vi occorreranno la creatività e l’ingegno che vengono coltivati in tutti i corsi di studio per fondare nuove imprese che creeranno posti di lavoro e faranno fiorire l’economia. So che non è sempre facile far bene a scuola. So che molti di voi devono affrontare sfide tali da rendere difficile concentrarsi sui compiti e sull’apprendimento.

Mi è successo, so com’è. Mio padre lasciò la famiglia quando avevo due anni e sono stato allevato da una madre single che lottava ogni girono per pagare i conti e non sempre riusciva a darci quello che avevano gli altri ragazzi. Spesso sentivo la mancanza di mio padre. A volte mi sentivo solo e pensavo che non ce l’avrei fatta. Non ero sempre così concentrato come avrei dovuto.


Ho fatto cose di cui non vado fiero e sono finito nei guai. E la mia vita avrebbe potuto facilmente prendere una brutta piega. Ma sono stato fortunato. Ho avuto un sacco di seconde possibilità e l’opportunità di andare al college e alla scuola di legge e seguire i miei sogni. Qualcuno di voi potrebbe non godere di questi vantaggi. Può essere che nella vostra vita non ci siano adulti che vi appoggiano quanto avete bisogno. Magari nelle vostre famiglie qualcuno ha perso il lavoro e il denaro manca. O vivete in un quartiere poco sicuro, o avete amici che cercano di convincervi a fare cose sbagliate.


Ma, alla fine dei conti, le circostanze della vostra vita – il vostro aspetto, le vostre origini, la vostra condizione economica e familiare – non sono una scusa per trascurare i compiti o avere un atteggiamento negativo. Non ci sono scuse per rispondere male al proprio insegnante, o saltare le lezioni, o smettere di andare a scuola. Non c’è scusa per chi non ci prova.


Il vostro obiettivo può essere molto semplice: fare tutti i compiti, fare attenzione a lezione o leggere ogni giorno qualche pagina di un libro. Potreste decidere di intraprendere qualche attività extracurricolare o fare del volontariato. Potreste decidere di difendere i ragazzi che vengono presi in giro o che sono vittime di atti di bullismo per via del loro aspetto o delle loro origini perché, come me, credete che tutti i bambini abbiano diritto a un ambiente sicuro per studiare e imparare. Potreste decidere di avere più cura di voi stessi per rendere di più e imparare meglio.


E in tutto questo, spero vi laviate molto le mani e ve ne stiate a casa se non state bene in modo da evitare il più possibile il contagio dell’influenza quest’inverno. Qualunque cosa facciate voglio che vi ci dedichiate. So che a volte la tv vi dà l’impressione di poter diventare ricchi e famosi senza dover davvero lavorare, diventando una star del basket o un rapper, o protagonista di un reality. Ma è poco probabile, la verità è che il successo è duro da conquistare.

Non vi piacerà tutto quello che studiate. Non farete amicizia con tutti i professori. Non tutti i compiti vi sembreranno così fondamentali. E non avrete necessariamente successo al primo tentativo. È giusto così. Alcune tra le persone di maggior successo nel mondo hanno collezionato i più enormi fallimenti. Il primo Harry Potter di JK Rowling è stato rifiutato dodici volte prima di essere finalmente pubblicato. Michael Jordan fu espulso dalla squadra di basket alle superiori e perse centinaia di incontri e mancò migliaia di canestri durante la sua carriera. Ma una volta disse: «Ho fallito più e più volte nella mia vita. Ecco perché ce l’ho fatta».

Nessuno è nato capace di fare le cose, si impara sgobbando. Non sei mai un grande atleta la prima volta che tenti un nuovo sport. Non azzecchi mai ogni nota la prima volta che canti una canzone. Occorre fare esercizio. Con la scuola è lo stesso. Può capitare di dover fare e rifare un esercizio di matematica prima di risolverlo o di dover leggere e rileggere qualcosa prima di capirlo, o dover scrivere e riscrivere qualcosa prima che vada bene. La storia dell’America non è stata fatta da gente che ha lasciato perdere quando il gioco si faceva duro ma da chi è andato avanti, ci ha provato di nuovo e con più impegno e ha amato troppo il proprio Paese per fare qualcosa di meno che il proprio meglio.


È la storia degli studenti che sedevano ai vostri posti 250 anni fa e fecero una rivoluzione per fondare questa nazione. Di quelli che sedevano al vostro posto 75 anni fa e superarono la Depressione e vinsero una guerra mondiale. Che combatterono per i diritti civili e mandarono un uomo sulla Luna. Di quelli che sedevano al vostro posto 20 anni fa e hanno creato Google, Twitter e Facebook cambiando il modo di comunicare.

Così, vi chiedo, quale sarà il vostro contributo? Quali problemi risolverete? Quali scoperte farete? Il presidente che verrà di qui a 20, 50 o 100 anni cosa dirà che avrete fatto per questo Paese?


Le vostre famiglie, i vostri insegnanti e io stiamo facendo di tutto per fare sì che voi abbiate l’istruzione necessaria per saper rispondere a queste domande. Mi sto dando da fare per garantirvi classi e libri e accessori e computer, tutto il necessario al vostro apprendimento. Ma anche voi dovete fare la vostra parte. Quindi da voi quest’anno mi aspetto serietà. Mi aspetto il massimo dell’impegno in qualsiasi cosa facciate. Mi aspetto grandi cose, da ognuno di voi. Quindi non deludeteci, non deludete le vostre famiglie, il vostro Paese e voi stessi. Rendeteci orgogliosi di voi. So che potete farlo.

Viale Romagna 62…ok!

Se al momento della mia nascita mi fosse stato concesso di scegliere il sesso sarei stato alquanto imbarazzato di non saper sfruttare una simile occasione, manifestando seri dubbi al momento della scelta.
Sarei voluto essere un uomo per poter aver la presunzione di racchiudere il potere nelle mie mani.
Sarei voluto essere donna per poter avere il potere nelle mie mani.
Ma poi venni a sapere che avrei partorito con dolore, e che ciò mi sarebbe stato ricordato ogni mese, che non sarei potuto andare al mare di tanto in tanto, e che non avrei potuto girovagare a petto nudo senza essere attorniato da iene malefiche.
E così mi sono accontentato di essere presuntuoso.

LONDRA – Se in presenza di una bella donna vi capita di balbettare, confondervi, dimenticare cosa stavate facendo o dove stavate andando, consolatevi: non siete i soli. E, per di più, è madre natura che ha programmato noi uomini in maniera da comportarci in questo modo. Una ricerca pubblicata in Gran Bretagna conferma infatti il vecchio luogo comune secondo cui il maschio, davanti alla bellezza femminile, perde la testa. Ebbene, sembra proprio così: basta un incontro fugace con una donna attraente e il cervello maschile smette di funzionare, perde colpi, non fa più il suo mestiere. “La donna più sciocca può manovrare a suo piacimento un uomo intelligente”, diceva Kipling: se poi è carina, non c’è genio che possa resisterle. “Il sex appeal fa andare l’uomo giù di testa” è il titolo con cui il quotidiano Daily Telegraph di Londra riassume la ricerca, apparsa sull’autorevole Journal of Experimental and Social Psychology. Si tratta di uno studio condotto da psicologi della Radbouds University, in Olanda, che hanno sottoposto a una serie di test un campione di studenti maschi eterosessuali. A tutti è stato chiesto per esempio di ricordare una successione di lettere dell’alfabeto. Quindi ciascuno degli studenti ha trascorso sette minuti in compagnia di una donna attraente. Poi il test è stato ripetuto. La seconda volta, tutti gli studenti hanno ottenuto risultati decisamente peggiori della prima. Gli studiosi pensano che la ragione sia questa: quando incontrano una donna che a loro piace, gli uomini usano istintivamente gran parte delle loro funzioni cerebrali, ossia delle risorse cognitive, per fare buona impressione su di lei, insomma per far colpo, e nel cervello rimangono dunque scarse risorse per altre funzioni. Gli psicologi olandesi hanno avuto l’idea di condurre un simile esperimento quando uno di loro si è accorto che, dopo aver avuto una conversazione con una donna che lo aveva colpito per la sua bellezza e che non aveva mai incontrato prima, lui non riusciva a ricordare l’indirizzo di casa propria, in risposta a una domanda della sua interlocutrice per sapere dove vivesse. Il professor George Fieldman, membro della British Psychological Society, commenta sul Telegraph che i risultati riflettono il fatto che gli uomini sono programmati dall’evoluzione per pensare a come trasmettere i propri geni. “Quando un uomo incontra una donna”, afferma lo studioso, “è concentrato sulla riproduzione. Ma una donna cerca anche altri attributi, come la gentilezza, la sincerità, la stabilità economica”. E in effetti la ricerca suggerisce che le donne non perdono la testa allo stesso modo, quando incontrano un uomo bello e affascinante. Il test, secondo gli esperti, potrà essere utile per valutare le prestazioni di uomini che flirtano con le colleghe sul posto di lavoro o i risultati accademici nelle scuole miste. Senza contare che d’ora in poi l’uomo avrà una scusa in più, se si rende ridicolo di fronte a una bella donna: potrà sempre dare la colpa ai cavernicoli nostri antenati e all’evoluzione delle specie.


I fenicotteri rosa.

Un paio di comunicazioni di carattere organizzativo avrebbe scritto la mia professoressa di Analisi I, II.

  • Ho tradotto un paio di voci di questo blog nella mia personalissima lingua;
  • Ho modificato, credo in miglior modo, le dimensioni di titoli, sottotitoli, note a piè di pagina, vulcani, pianeta terra e stiamo provvedendo…(bzz..bzz…cosa..?? ah..okok riferisco! )..mi informano dalla regia che le dimensioni della terra sono rimasti immodificate. pff;
  • Ho cambiato il colore dei link cliccabili. Da un cupo grigio a un bel vivace azzurro: che c’ho bisogno di dare un pò di felicità al resto del mondo, che il mio esiguo magazzino è già colmo;
  • Ho aggiunto dei simpaticissimi quadratini dove, cliccando in quello giusto (Spacchiusu o Spassusu), vincerete un posto di lavoro a tempo determinato: mastru capu carriola;
  • Fiore all’occhiello di quest’oggi Udite Udite!! : ho aggiunto un bel ligneo gadget che permette a voi altri di sapere attimo per attimo che libro si trova sul bidet del mio bagno, da quanto tempo sta lì, le sue condizioni materiali e le sue proprietà organolettiche. I ringraziamenti sulla mia postapay. Grazie.

P.S Personalissima opinione: i libri belli, quelli veramente belli, te li porti ovunque: perfino nel momento di massimo raccoglimento, in bagno. Ed è quello l’unico momento che un uomo impegnato (come me, arghh) può concedersi affinchè si diletti nella lettura. Quindi i miei libri stanno sul bidet!

P.P.S Sfortunatamente il mio bagno è sprovvisto di un bidet, quindi il mio libro si sposta dal piatto doccia al lavandino con la stessa frequenza dei viaggi migratori dei fenicotteri rosa. Che bella la vita.

“Un autentico paradiso per un misantropo”

«

Ma il signor Heathcliff contrasta singolarmente con la sua dimora e con un simile stile di vita. L’aspetto è quello di uno zingaro, il suo viso è abbronzato, ma l’abito e i modi sono di un gentiluomo; voglio dire un gentiluomo come lo sono molti proprietari di campagna, cioè un po’ trascurato; ma a lui tale negligenza non torna di svantaggio, essendo bello di persona, con un portamento eretto e piuttosto altero. Può darsi che alcuni lo taccino di volgare superbia; ma nulla di simile: io sento per istinto che la sua riservatezza nasce da avversione per ogni dimostrazione sentimentale troppo viva e per ogni manifestazione di gentilezza reciproca. Egli amerà o odierà dentro di sè e considererà come un’impertinenza ogni segno di amore o di odio altrui.

»

Grazie.