Archivi del mese: giugno 2011

I saluti per il Canada – parte uno

Oggi ho ufficialmente iniziato i saluti per il Canada. Sono avvenuti durante il pranzo della didattica, un pranzo offerto dalla capa dell’Osservatorio della Didattica, ufficio del politecnico con cui ho collaborato nella seconda parte dell’anno. E’ stato un pranzo allegro con portate variegate. Io per discrezione ho assaggiato un po’ di tutto. Ma il mio stomaco è abituato al tutto di tutto, perciò adesso mi berrò un latte freddo con dei biscotti “spunsati”, gli ultimi biscotti del pacco di pasqua. Verso la fine la capa dell’osservatorio (è una signora molto discreta, precisina, non troppo alta e con un fare gentile da nonna) chiedeva chi sarebbe rimasto a collaborare anche l’anno successivo. Arrivati a me ho spiegato in breve (e per l’ennesima volta) che l’anno prossimo io e il poli ci prenderemo una pausa di riflessione e che andrò in Canada.

(Fun Fact: Discussione fra me e duli. “Dù, io il Canada me lo immagino come un posto pieno di donne bellissime, bionde e porche”. Duli: “No lele, quello non è il Canada, quella è la Svezia -.-“)

Nell’espressione del viso della capa ho visto un po’ di dispiacere anche se a parole ha detto ch’era felicissima per  l’esperienza che farò. Al momento della mia dipartita poi, manifestando un inaspettato calore, mi ha salutato con il bacio all’italiana, quello sulla guancia di qua e di là. E poi mi chiede che se tornerò, quando tornerò, mi chiede di farglielo sapere, che un posto me lo conserverà.
Non è un lavoro bellissimo ma non è faticoso (tranne quando dovevo svegliarmi alle 7…ma al più era sonno) e non è pagato malaccio (10€/h). Ma il fatto che ho ricevuto questa conferma lunga ben due anni mi fa pensare che ho lasciato una buona impressione. E la cosa mi rende soddisfatto di me, anche se si tratta soltanto dell’osservatorio della didattica del politecnico di Milano.
Il fatto poi che ho sentito addirittura la necessità di scrivere un post per lasciar scivolare la malinconia del salutare delle persone che ho frequentato al più per qualche decina di ore mi fa riflettere. Scrivere un post non è un gesto da poco per quanto mi riguarda, non oso pensare cosa potrei fare quando dovrò salutare le persone che davvero sono importanti.

BNG: Matti ha superato anche i test teorici dell’aeronautica. La risposta definitiva si saprà a fine luglio. Ad ogni modo ha già raggiunto gli obiettivi minimi.

Cronaca d’oggi

Oggi ho finalmente aggiustato Fanculor, il condizionatore. C’era un perno della ventola fuori asse, l’ho messa apposto e ho messo un po’ di olio con una cannuccia artigianale sugli ingranaggi. Adesso c’è fresco in stanza anche se Khadir ritiene ancora che la corrente che si viene a formare aprendo la finestra e la porta rinfresca di più.
Oggi Matti m’ha detto che ha passato le prove fisiche dell’aeronautica. 2 minuti e 30 secondi negli 800metri piani su pista, 13 secondi nei 100 metri. Il dato più significativo è che ha migliorato gli 800 metri della marina di ben 20 secondi. Avere qualcuno che corre più veloce di te è sempre uno stimolo a migliorarsi.
Oggi mi sono bruciato entrambi gli indici nel tentativo di riscaldarmi una focaccia genovese. Ho perso la sensibilità di quei due didi, ma tanto poi guarisco.
Oggi, dopo quasi un mese dalla spedizione, è arrivata a casa (in Sicilia) la lettera di accettazione dal Canada. Io l’ho avuta per email in pdf, ma adesso c’ho pure l’originale con qualche francobollo che mamma dice che son tanto fichi.
Oggi sto un po’ meglio. C’ho messo un attimo a guardare quella foto sul mare d’agosto. Ed è tre giorni che combatto per non annegarci con tutti i pensieri.
Oggi mi sono accorto che c’ho un brufolo dalla parte della guancia sinistra. Pff, niente rispetto all’acne di qualche annetto fa, quelli si ch’erano brufoli con le palle!
Oggi è stato un giorno tutto sommato normale, studio qualche pensiero al passato tanti pensieri al futuro e pochi attimi per non saper cosa fare. Bella sta vita. Di più stasera, che apprezzo la sensibilità dei miei polpastrelli.

I giorni a venire [Vecchio Post]

Metti che io c’avessi un piede solo. E’ quando sono costretto a correre che me ne accorgo davvero.
E’ così in questo periodo di turbinio per via degli esami che mi so messo a leggere qualche post vecchio. Ne ho letto uno che solitamente rientra fra quelli da evitare, ma rileggendolo m’è sembrato molto bello. Insomma se non l’avessi ancora scritto vorrei trovare la giusta ispirazione per scriverlo, un post del genere in quasi trecento post uno lo deve pur scrivere…
http://gas12n.blogspot.com/2009/09/i-giorni-venire.html


Ricomincio. Fuori il tramonto, ho intrecciato le tende e aperto la serranda per vederlo. Siedo sul solito letto, e la coperta che mi offre il suo calore di notte è voltata dal lato bianco. Anche i miei pantaloncini lo sono e la felpa nera non la tengo più. Ignudo.
Vado.
Li accomunava il colore degli occhi e nulla più. Nero, o forse marrone. Magnetici e veloci, spiccavano sul suo candido volto: il violento contrasto lasciava scivolare un velo misterioso su cosa stesse pensando in quel momento. Il fiato di quell’uomo così vicino le colorava appena le guance, che apparivano buffe in quella valle innevata ch’era il suo volto. Le sue mani ruvide tremavano all’idea che una carezza potesse interrompere quella splendida armonia che sembrava dipinta: le guance rosee e i neri occhi, il volto limpido e i biondi capelli. Su quel letto, quel giorno e per molti altri ancora, era Αντέρως a vegliare e nessuno mai potette distogliere le sue attenzioni su quei due uomini.
Il vento era certamente invidioso quella notte, tuoni e tempeste mostrarono le loro migliori virtù.
I due amanti non sembravano essere turbati del lume che d’un
tratto si era spento: come se la luce, con discrezione, aveva abbandonato la scena appagata da tanta passione. I loro occhi non smisero per un istante di scoprirsi, le loro labbra continuarono a sussurrare dolci parole sfiorandosi soavemente. Non era di certo il chiarore del lume che permetteva loro di trovarsi. Le braccia della candida fanciulla avvolgevano il collo dell’uomo in un sensuale abbraccio, le sue dita sfioravano i capelli arruffati. Lentamente scese sulla sua ampia fronte, continuò lungo il naso e fermò le mani sulle guance. Il buio di quella notte non riuscì ad evitare che lei lo notasse: erano come segnate, incise per sempre. Dei lunghi solchi che erano rimasti celati, che adesso erano inumidite da lacrime silenziose. Il vento cessò, i tuoni zittirono i loro lamenti. I loro occhi commossi non avevano smesso un attimo di specchiarsi gli uni negli altri, e in quel attimo unirono i loro corpi.
Passarono le stagioni, passarono gli inverni, cadde la pioggia e si addensarono le nuvole. Fiorirono i mandorli e nacquero nuove fragole, i loro occhi neri continuarono a trovarsi nel buio della notte, le loro mani continuarono a intrecciarsi, i loro nasi continuarono a giocare sfiorandosi l’un l’altro.
Ci sono fuochi che non possono spegnersi, ci sono mandorli che non cedono all’inverno, ci sono solchi che non si cancellano, ci sono temporali che non finiscono.
Ci sono visi che si colorano e lacrime che scivolano.

I due amanti non smetteranno di sedersi di fronte e ascoltare il loro riso melodioso, e il sole tramonte e poi risorge. Ancora.


(..me ama!)




Quando lo scrissi ero l’uomo più felice del mondo, adesso al massimo potrei essere l’uomo più felice di città studi di Milano. Ma non conta, la persona che scrive queste cose sono sempre io. E tutto il resto che mi circonda…

Il “sapore” di un uomo

Un altro buon motivo per perseverare nella vita in solitaria è che puoi rimandare la doccia della mattina al mezzogiorno. Poi al mezzogiorno rimandarla a dopo la pennichella. Poi arrivano gli amici maschi per studiare, ma tanto loro puzzano più di me e così la posso rimandare a dopo la pizza dell’egiziano. Ma poi devo studiare, e quindi la rimandiamo a dopo lo studio.E adesso sto facendo una breve pausa, puzzo come un tricheco con una intossicazione alimentare, ma tanto per stasera nessuno poggerà i capelli sul mio petto. E io, io orgogliosamente puzzo.

[Aggiornamento delle ore 23:41: sono bello e lavato, profumo il giusto. Io l’ho detto eh…]

A gelosia come ti poni tu?

Cara Teresa, nel breve tragitto che da casa mia porta a casa tua, e da casa tua porterebbe in un lampo anche a casa mia, ieri ho notato due operai che smantellavano una cabina del telefono. Le vecchie cabine del telefono. Non so quante telefonate ti avrei potuto fare da quelle cabine telefoniche. Forse seicento. Magari mille. O forse non eri tu: era un’altra. Certo che era un’altra, ora ricordo. Gran donna è stata quell’altra a cui avrei potuto telefonare da quelle cabine di una volta. Le compravo fiori e cioccolatini tutti i giorni. Andavamo insieme al cinema, al teatro, al ristorante, e anche in macchina. Ci amavamo alla follia. Ci baciavamo pure col raffreddore. Era la ragazza più bella del mondo, e se la memoria non mi inganna sapeva anche l’inglese. Nessuna donna potrà mai eguagliarla. gelosia come ti poni tu? Dicevo, l’altro giorno ero lì che passavo davanti a una di quelle vecchie cabine del telefono quando all’improvviso mi è venuta un po’ di malinconia. Da quanto tempo non sento la tua voce? Così, un po’ per necessità e un po’ per disgrazia, sono passato a trovare un amico. Anche se non hai i capelli molto lunghi, un amico che fa il barbiere è sempre una buona spalla su cui sfogare le proprie pene. Una buona spalla a patto che la spalla su cui ci si deve sfogare non sia la tua. Fissandomi dallo lo specchio senza badare ai capelli, il barbiere mi ha riportato per filo e per segno il pranzo del matrimonio di suo cognato in cui era convinto di essere ingrassato almeno di tre chili, e a tutti gli invitati gli scoppiava la pancia, tanto che per non finire il dolce uno si è buttato in piscina con le scarpe.Poi è passato a raccontarmi il matrimonio con sua moglie la stessa donna che origliava da dietro la stanza delle scope –e solo alla fine mi ha permesso di spiegargli come vedevo le mie nozze, ovvero in qualunque modo, in qualsiasi posto, basta che sia presto. Più tardi, ma solo perché il mio taglio era terminato da un pezzo, e il signore che aspettava seduto alle nostre spalle sembrava urlare dai capelli, il barbiere mi ha salutato dicendomi che dalla settimana seguente si sarebbe trasferito in un altro quartiere, in un salone più grande insieme alla moglie, la quale, nel frattempo, era inciampata su una scopa mentre andava alla cassa per fortuna senza gravi conseguenze. Visto che nonostante tutto siamo buoni amici, penso che continuerò ad andare da lui, anche se con l’autobus dovrò fare una strada più lunga, ma spero un giorno di poterti sposare lo stesso. Edoardo


Balla coi Lupi

C’è gente che riesce a far piangere anche se vorrebbe solo far del bene, o almeno credo.
Perdonare è la cosa che mi viene più difficile. Non ho mezze misure e scopro quanto è vero giorno dopo giorno.
E anche se a quest’ora il cervello borbotta non vado a letto fin quando non inizio almeno questo esercizio.
Dicevo delle mezze misure…

Si avvicina l’eclipse…

Non è ancora arrivato il momento del post degli addii ma tutti questi post con tag Ingegneria mi fan pensare che sia io il primo a doversi preparare a quel fatidico e inevitabile post. L’ultimo in ordine cronologico lo ha scritto un mio amico, che ormai tutti conoscono. Sergiuz, quello che fa la danza di Yoshi. Il suo blogghetto è questo: sergioandaloro.blogspot.com.
Tutto sommato siamo bravi ragazzi non giudicateci per come sembriamo.
Il vero Gioele, il vero Sergio, il vero piede di Simone è inesplorabile. Solo da soli si è sé stessi. Per il resto del tempo cerchiamo di adeguarci alla situazione. Ma in questo post mi sembra evidente che nessuno si sta sforzando di essere ciò che non è. Difatti la mia è la stanza del rutto libero, del fartaggio a iosa e delle parolacce senza censura. Tranne quando arriva quella bacchettona di duli…è femmina, si sa!

Ecco il post che ha scritto Sergio:

E questi siamo noi, ingegneri in erba. Ci puoi trovare davanti ad uno schermo per cercare di fare mangiare e camminare dei dinosauri o tra le aule del politecnico di Milano per cercare di capire qualcosa in questo mondo tutt’altro che semplice. Semplesso direbbe il cugino di Gioele (alla faccia di Google Chrome che me lo sottolinea in rosso). Abbiamo buttato l’anima su dei dinosauri (i quattru soddi direbbero dalle mie parti) per circa due mesi ed oggi è stato come vedere sfumare tutto questo. Ancora non è finita, intendiamoci, abbiamo la consegna del progetto tra una settimana ma è proprio quando si è vicini alla meta che si sente il peso della corsa (o forse il contrario? Direi che sarebbe da chiedere al fratello di Gioele visto che i commissari oggi si sono complimentati con lui per lo scatto finale. Avrà sentito tutto alla fine il peso della corsa o invece è stato tutto il contrario? Dimenticarsi della fatica?) Ad ogni modo dopo due mesi, tra la (tentata) realizzazione del gioco dei dinosauri e di un sito web per l’agricoltura biologica, è tornato anche Kadir, sarà tempo di esami anche per lui e Gioele è diventato una belva, la stanza di che era un salotto è diventato più o meno un gabinetto di un metro per uno e programmare lì dentro non sarà mai più tanto piacevole come lo è stato in questi giorni quando, tra uno scroscio di pioggia e l’altro, si cantava “Piove” di Jovanotti tra righe di codice in un clima che si potrebbe definire alticcio.
Questi siamo ancora noi, per l’appunto, aspiranti ingegneri che cercano divertimento dove apparentemente è impossibile, in quella stanza che allora era ancora un salotto. Bei tempi. Guardo il video e mi commuovo.

Per l’ennesima volta noi che cerchiamo di far funzionare ad intermittenza un misero led ed entriamo in estasi quando due sorgenti si scambiano dei pacchetti.

Poco fa tra i meandri di quello che è il mio Hard Disk esterno ho riesumato una vecchia foto, si fa per dire, scattata da me con la macchina fotografica a rullino di mio padre. E’ una foto della Marina Garibaldi a Milazzo, che avrò rivisto un centinaio di volte ma che mai mi aveva

attirato come oggi, quando è da più di 3 mesi che non torno a casa. Sarà che oggi ho sistemato a Gioele una foto panoramica di Marina di Modica(?) è m’è venuta nostalgia di casa. La foto è questa:
e per me c’è dentro tutto. La nostalgia di casa. La lontananza. Il perseguimento di un obiettivo. La solitudine. La contraddizione matematica. Quelle due rette parallele che all’infinito si incontrano nei pressi di quell’uomo seduto sul muretto. C’è la simmetria: da un lato il mare, apparentemente infinito, illimitato ma pur sempre confinato all’interno dei limiti di questa terra. Dall’altra la terra stessa, limitata ed infame. Che mentre ascolto non fa altro che urlare: andare!
Quello che vedete là in fondo potrei essere io, quell’ingegnere in erba che vedete nei fotogrammi di quei video passati, che conta le coordinate dei dinosauri, che non riesce a convertire una y in riga ed una x in colonna. Che cerca di fare visualizzare un orario su uno schermo riuscendo anche a fallire miseramente.
Negli spazi di questa foto che vedete io c’ho passato la mia infanzia. Pomeriggio e sera. In bicicletta, continuamente a cercare di mettere sotto i vecchietti che davano mangiare ai piccioni. A pescare, lasciando ai gatti quello che era il frutto della pescata pomeridiana. Tra il negozio di mio padre e le panchine. Tra la statua di Luigi Rizzo ed il Pala Diana.
Riguardare questa foto mi ha fatto venire in mente un flusso di così tanti ricordi che un libro di Sistemi Informativi aperto davanti a me, ed un progetto di Eclipse aperto con un paio di x rosse sparse qua e la non sono riusciti a fermare.
E’ un gioco strano quando la tua infanzia viene a collimare con quello che sei adesso. E se succede adesso chissà come sarà quando avrò dei figli a cui raccontare questi ricordi, sdolcinati se volete. Di quando quel mio amico di Roma che ad ogni parola diceva “carcola che…” si è seduto pazientemente accanto a me per cercare di spiegarmi il cambio turni di RMI e di quando quella mia amica invece, con quell’accento mai sentito, che adesso “fa cose difficili” tentò di contro di spiegarmi il cambio turni in socket. Di quando ero in stanza dal mio amico, adesso lavoratore in Canada e uomo di successo, a programmare ed intanto veniva giù la pioggia nel bel mezzo di Giugno. Di quando ci misimo a ballare e cantare sulle note di “Ti voglio bene Denver” noi, futuri ingegneri, studenti del Politecnico di Milano.



BNG: Il nome della ragazza più bella che io abbia visto è Margarita, è portoghese, parla italiano ma ha il tipico accento dell’Ungheria dell’est. 
BNG2 (addirittura): Il led alla fine si accese: http://www.youtube.com/watch?v=oyt2xQR9jd4

La polo blu – anno I

Oggi non avevo intenzione di scrivere nulla, poi mi sono ricordato di questi due post, li ho apprezzati come li apprezzerebbe un lettore estraneo e allora ho deciso di autocitarmi, in un lancio estremo di presunzione d’autore.

bene bene..non credevo di essere tanto prolifico in questi giorni. beh di cose che dovrei dire (o forse non dire) ne ho in quantità. ma ho deciso che questo sarà un intervento leggero, felice, nessuna riflessione. ci provo quantomeno. ecco.dicevo..ehm..ah si. ecco, purtroppo dobbiamo andare un pò indietro nel tempo per scrivere qualcosa che si trovi velocemente tra i ricordi che affiorano zampillanti nella mia memoria. diciamo d’una decina d’anni indietro ? sisi può andare…
credo che mai nessuno come me abbia avuto un’infanzia…agitata!..ecco, da piccolo (solo da piccolo?) ero un diavolo. una bestia, un tormento, una catastrofe. non bastava mia mamma a fermare le mie pazze pazze genialità, i miei tentativi vani di suicidio, i miei silenzi (il silenzio in un essere come me promette poco di buono) .
non volevo il ciuccio se me lo volevano dare, volevo il ciuccio quando dovevo allontanarmene (piccoli gioeli crescono…). ho avuto un box, quelle piccole e simpatiche gabbie per bambini, dove colorati e felici balocchi tentano di alleviare quella assurda imposizione d’autorità. beh, io l’ho avuto. ma non ci sono mai voluto restare per più di qualche secondo. più precisamente il tempo che mammina impiegava per svoltare l’angolo della cucina e avviarsi nel suo letto per il meritato riposo: svoltato quell’angolo strillavo.Tutti i cassetti erano chiusi con dei nastri. li aprivo e tentavo di assaggiare tutto. qualsiasi cosa. di certo non potevo cercare su google, ma assaggiare è un ottima alternativa.Che fossi diventato quello che sono (vedi primo post, o qualsiasi altro: è indifferente) si sarebbe dovuto capire già da infante..diciamo da qualche ora dopo che son nato.Nell’ospedale in cui sono nato, si soleva far riposare i nascituri in una gabbia a metà fra la culla e l’incubatrice in modo da evitare scongiurate complicazioni (grazie ospedale Arezzi). Mia madre quella giornata di giugno, di caldissimo giugno (verrà ricordato da mia madre come il più caldo giugno dal ’88 ad oggi), riposava dalle fatiche di un parto. io no. col cazzo. avevo esattamente 2 ore. ed ero incazzato. nessuno mi aveva ancora fatto gli auguri di “ora-versario”. e poi m’avevano ingabbiato. cazzo se ero incazzato. e scommetto pure che avevo “a funcia”, quell’espressione che mi caratterizza più di tutte. e così, incurante della mia giovane età, provavo a vedere com’era il mondo(sarei potuto rimanere sconvolto nello scoprire che accanto a me c’erano decine di nascituri uguali a me. dovevo contraddistinguermi). così tentavo di sollevarmi sulle braccia e di alzare il collo. ecco questo i neonato lo fanno verso il primo/secondo mese di vita. perchè dovevo aspettare? In pochi istanti l’unico risultato raggiunto era un nasino arrossato e le ginocchia con il mercuro/cromo: la testa di volta in volta cadeva giù e sbattevo il naso. mi incazzavo e mi dimenavo. e le lenzuola ancora troppo spinose per la mia pelle inesperta mi graffiavano. a quello spettacolo di forza bruta mia nonna, ch’era venuta per ammirare il primogenito della stirpe, restò terrorizzata: chiamò l’infermiere in panico, iniziò a far casino, camminò di qua e di là, e infine andò da mia madre urlando: “maggherita, maggherita arruspiddgiti…tà fidggiu nunnè nommali, nun c’è nommali!!!mariamariamaria,pattrifiddgiuspiritusantu”.
Poi pian piano (dicono che da piccolo ero pure paffutello) son cresciuto ma stare ingabbiato non l’ho mai accettato del tutto.Così quand’ero nel girello, tentavo di sfondare la porta d’ingresso previa rincorsa nel lungo corridoio giallo. dicono che pochi istanti prima dell’impatto alzavo le gambe da terra. e pochi secondi dopo ridevo come un matto.Ad ora dei pasti, nel seggiolone, ero sfinito dai miei tentativi di evasione. e così m’appoggiavo su di una spalla. e dormivo. ma non rinunciavo di certo ad aprire la bocca e a masticare ciò che mammina gentilmente mi imboccava. (per i miscredenti ho le foto di me che mangio dormendo, nell’album di famiglia).Quando finalmente mi lasciavano libero, finalmente libero, nel lettone con le lenzuola color celeste mi raccontano che tentavo di nuotare. Nuotare, camminare, saltare. essere felici. ridevo sempre, e quando non lo facevo bastava che mà mi soffiasse sul pancino e producesse quel rumore simile a una pernacchia. e ridevo. e ridevo.
Ma fin qui non c’è ancora niente, o quasi, che possa far pensare a quello che sto per dire. Sangue, tanto sangue. E “peli sulle sopracciglia”, e cuscino sui volti tumefatti, e sangue. maronna ri sancu.Beh, mi si è stancata la schiena. E sto iniziando la trasformazione verso i ricordi infausti. meglio spezzare questa storia.
Il sangue nella seconda puntata ;)


Direttamente dal diario di mia madre sulla mia infanzia:


14 Agosto 1996:
…ti sei ricordato che papà ti aveva promesso che potevi farti il giro in bici nella strada di Busita. io t’ho fatto scendere e subito dopo una vigorosa pedalata…al solito sei sempre “furioso”..è iniziata una discesa, non sei riuscito a controllare la bici e dopo poco sei caduto a capofitto, ho sterzato subito a sinistra e t’ho preso per portarti in ospedale, dove ti hanno dato due punti al sopracciglio sinistro e ho visto che ti sei ridotto la faccia malissimo..”
[…]“Dopo 48 ore ti abbiamo fatto la T.A.C e abbiamo visto che tutto andava bene.Tu dopo hai fatto il primo giro in bici

Oggi: sono a casa, beh sono da solo. mamma è al lavoro e mio fratello è ancora uno studente “di quelli forzati”. Ho la musica forte, che la sente tutto il palazzo e oltre. fra meno di una settimana ritorno a milano, dovrò fare la strada inversa e non sono tanto sicuro che adesso i cata-siciliani siano disposti a spingersi per oltrepassare quel gate. del resto anch’io tenterò di prolungare il più possibile la mia permanenza al di qua, io su quel coso pilotato da Caronte nun ci voglio proprio andare.Beh dai iniziamo, vi devo raccontare di come sono arrivato ad oggi, ad essere quello che sono: sicuro ho sbattuto molte volte la testa.Beh si, dopo esser nato, aver tentato di sfondare ogni cosa che si intromettesse tra me e i cassetti della cucina pieni di oggetti tanto inutili quanto buoni d’assaggiare..ecco sono cresciuto. Beh cresciuto è una parola un pochino grossa, diciamo che mi son nati i dentini e tante nuovi pensieri per conquistare il mondo: ecco ora se trascuriamo i denti del giudizio (che chissà per quale misterioso motivo tardano a nascere), solo i dentini si sono “realizzati”.
Il primo incidente che ricordo è stato il più stupido, ma che m’ha procurato un 2/3 punti di sutura dietro nella nuca: sotto il tavolo di calcestruzzo m’era caduta na biglia, mi chino la prendo m’alzo sbatto piango. e così adesso, ogni volta che voglio tagliarmi i capelli corti devo raccomandare al barbiere di nascondere quella cicatrice, beh si sulle cicatrici non ricrescono più i capelli.Altro incidente insanguinato: m’avevano regalato il super liquidatore nuovo, beh non datemi mai una cosa che spruzza acqua nelle mani ( niente riferimenti eh ), dopo mio fratello e mio padre toccava a mia madre: ma ho calcolato male le distanze e sono finito dritto dritto nel cancello ferrato: e così c’ho na cicatrice pure sulla tempia e anche lì devo stare attento dal barbiere: 3 punti di sutura e siamo a 6. promemoria: buttare acqua addosso alla gente può arrecare seri danni alla salute. buon risultato ma è ancora poco. possiamo migliorare.Casa di mia nonna, ero più piccolino. meno di 6 anni. na volta sbatto sulla spalliera di una sedia, 2 punti al naso. quella volta non lo ricordo.Sempre da mia nonna, questo è uno dei più significativi…preparo con cura la scenografia, un cuscino a terra e uno fra le mani: mi metto sul divano, m’alzo prendo la mira e mi butto di testa. dovevo prendere il cuscino…e se non l’avessi preso avevo quello nelle mani..beh..adesso so che sotto il mento non mi cresce più la barba. e che l’attrazione gravitazionale è più giusta di quanto pensassi. e altri 2 punti s’aggiungono alla mia collezione. 8 punti. sto migliorando sempre più.Ancora più piccolo, avrò avuto 4 anni. Veglia di pasqua: io dico..ma perchè cavolo torturare i bambini e portarli in una chiesa dove tutti hanno sonno, anche il prete ne ha, se poi puoi andare in momenti più tranquilli dal prete e chiedere “scusascusascusa ho dimenticato di santificare le feste, e chiedo perdono anche per gli altri peccati già che sono qua. grazie.cià” ? bah, io dovevo andarci e dovevo pure impegnarmi: dovevo pur far capire a mia madre che non volevo stare lì. Vi siete mai chiesti perchè i bambini quando li portati in chiesa piangono a dirotto ? beh cazzo non è che le presentazioni d’apertura fra bebè-sacerdote siano delle migliori.. “senti bello mio, tu ora entri a far parte della nostra cricca, ma prima ti devo buttare un pò d’acqua qua e qua e qua. “partiamo dal presupposto che nessuno m’ha chiesto se volevo essere lì e se volevo entrare a far parte di partiti,associazioni e fan club.. poi ok..mi devi buttare anche l’acqua sulla testa..almeno abbi il buon senso di accendere lo scaldabagno no ? e poi che cazzo mi fai i flash in faccia che sto dormendo…e mamma e papà che cazzo c’hanno da essere felici ? bah…si ecco, così è capitato che quando s’è finita quella messa siamo tornati a casa e io ero felice, d’esser tornato a casa. pensavo pure fosse mattina data la lunga e santa runfata. Così mi sono messo a saltare sul lettone (saltare sul lettone è una delle gioie della vita che mai dovrebbero esser private ai bambini), e saltachetisaltasaltapiùinalto son caduto. ma non per terra, banale. con la fronte sulla sponda del letto. cazzo che male..stavolta nessun punto di sutura, solo qualche cerotto traente. adesso in piena fronte ho un taglio neanche tanto orizzontale che mi ricorda che anche le cose più belle possono far male a volte. ( beh in realtà mi ricorda anche che devo migliorare la mia tecnica di salto sul lettone ).Beh arriviamo all’ultima, che poi sarebbe la prima per coefficiente di avvicinamento alla morte. mia madre credo che lo ricordi tutt’ora quell’attimo. si mi riferisco all’incidente descritto nel mio/suo diario…io ricordo che dopo il patatrack lei scese dall’auto e mi alzò da terra e mi urlò: “riesci a star in piedi dieci secondi..prendo le scarpe ( ch’erano disperse sull’asfalto ) e metto di lato la bici (ch’era spalmata sull’asfalto) ok??”io annuì, lei mi lasciò e io precipitai al suolo. lei mi riprese, corsa all’ospedale e due punti di sutura al sopracciglio: ora ho un sopracciglio leggermente storto e il ricordo che il freno davanti NON si deve usare neanche nelle emergenze. e non si deve correre troppo coi pedali se sotto il culo non c’hai almeno una cosa che abbia 26” di diametro.In realtà ho capito che talvolta è meglio non frenarsi, che se magari non frenavo non cadevo. che prima di gettarsi a capofitto in un sogno, beh è meglio calcolare bene le distanze (non per niente mi sono iscritto ad ingegneria -LL). che anche troppa felicità fa male, così come troppa cocacola o troppa cioccolata..o saltare troppo in alto sul lettone!…che non conta quanto sangue ti manca in circolo, quanto forte sia stata la botta, se c’avevi ragione o torto, se è colpa del tavolino troppo basso o del cuscino troppo piccolo..48 ore sono un tempo sufficiente per rifarti un giro in bici: che t’abbia tradito o meno poco importa.

Se siete arrivati fin qui vi devo un ringraziamento. Alla prossima!

Il mio amico Paolo

Sono incazzato quanto un tricheco a cui hanno rubato i calzini profumati. Sono molto incazzato. Ho passeggiato per la residenza e la cosa non mi è passata, sono andato nella stanza in cui ruppi l’orologio, sono andato nelle segrete di questo posto. Ho bevuto un bicchiere di vino da 1,5€ e sto debuggando qualcosa che continua a non funzionare. E sono incazzato quanto un juke-box muto.
Prima mi ha contattato un ragazzo su Facebook, m’aveva aggiunto quest’oggi. Il suo nome è Paolo, abbiamo frequentato insieme le elementari. Ha i genitori divorziati e da piccolo faceva leva su questo fatto.
Sono una persona di merda, ho una morale scarsa e spesso, anche se riesco a camuffarlo per bene, sono un uomo disposto a tutto pur di ottenere ciò che vuole. Per tutto intendo ogni cosa, non una frase fatta.
Alcuni miei pensieri spesso accendano molte discussioni, uno più di tutti: i soldi. E il valore che gli assegno.
Premessa, i soldi causano dipendenza, sono belli e profumati. Ma alla lunga fottono il cervello e causano problemi. Chi ha i soldi ha più problemi di chi ne ha pochi. Chi non ne ha abbastanza è già morto, i suoi problemi sono ormai in un’altra vita.
Paolo, quello di facebook, è sempre stato ricchissimo. E tutte le ragazzine alle elementari pendevano dalle sue labbra, persino la mia prima fidanzata (era stato una cosa di un giorno soltanto, ma era la mia prima storia seria!). Quello di facebook, Paolo appunto, oggi mi contatta. Dice che lavora per il sindaco e che l’anno prossimo si scriverà a medicina omeopatica. Giuro che non l’ho fatto apposta: io mi sto per laureare in ing.Informatica a Milano. Lui lavora per il sindaco e forse passerà i test per un corso di Omeopatia, che a scriverlo con la o maiuscola sembra uno spreco.
Paolo è stato quel ragazzo che mi ha pagato i panini che mangiavo durante la ricreazione per tutti gli ultimi tre anni delle elementari. Lui era ricco e io no. Così rubavo i doppioni delle schede telefoniche a mio cugino più grande, le portavo a scuola e le vendevo a mille lire a lui, a Paolo. Con quelle con tiratura limitata riuscivo a tirare su anche duemilalire, quella banconota giallognola ormai estinta. E con quel millelire il giorno dopo mi comperavo un panino con la crema al cioccolato. Non con la nutella, quello costava milleecinquecento lire. E a me Paolo le schede telefoniche me le pagava solo mille. I miei ricordo che mi davano qualcosa per il panino. Non era moltissimo ma io li nascondevo da parte perché avevo un sogno. Volevo comprare la prima playstation, quella che aveva un vicino di casa. Costava duecento mila lire e conoscevo a memoria la brochure della sony, con tutti i joystick e i videogiochi. Babbo Natale non voleva saperne di portarne una e allora pensavo ingenuamente che potessi risparmiare per comprarne una da me, con i miei soldi. Conservavo tutti i cento lire che mamma mi dava dopo averli estratti dal carrello della spesa, conservavo anche i cinquanta lire quelli piccolini, che avevo già capito che è dalla merda che nascono i fiori.
Ricordo che alla fine riuscì a mettere da lato un poco più di duecentomila lire, sicuramente rimpinguati da qualche regalo di compleanno.
Una sera ebbi l’idea di dire a babbo che volevo comprare la playstation. Avrei messo io i soldi, soldi che conservavo in un salvadanaio di latta riposto nel bianco armadio centrale della mia stanza. Un bimbo vede le cose semplici, non pensavo potessero esserci troppi problemi dato che i soldi erano i miei.
Ma non fu così.
Qualche tempo dopo mio padre mi chiese se potessi prestare quei soldi alla famiglia intera. Non so bene a cosa sarebbero serviti, molto probabilmente a comprare del cibo per mangiare un giorno in più. Un bimbo è facile da convincere, prestai i miei soldi alla famiglia.
Anni dopo, ormai da adolescente, mia madre mi ha restituito metà della somma. L’altra metà non l’ho ancora ricevuta.
Io mangiavo i panini con la crema al cioccolato, io rubavo le schede telefoniche a mio cugino, io conservavo anche i soldi più piccolini, io ho prestato tutti i miei soldi ai miei genitori a sette anni.
E adesso studio per i soldi, e adesso mi dispero perché il lavoro che avevo trovato ad Agosto forse non me lo danno più dato che cercano un tipo anche per luglio, e io in quel mese sarò ancora a sgobbare sui libri. Io che l’estate scorsa ho sputato il sangue in un campo per raccogliere duecento quintali di carrubbe, io che le ultime parole che ho rivolto alla mia fidanzata sono state delle urla convulse che spiegavano che non so a chi appartengono originariamente i miei pinocchietto preferiti, io che i soldi sono fondamentali. Io che i soldi m’han fatto diventare questo, questo che adesso cerca di capire che in realtà duecentomila lire sono una schifezza, che c’è gente che muore di malaria e scabbia.
Ma oggi sono incazzato e ricordare la merda da cui esco mi fa incazzare ancora di più. E questo potrebbe essere molto bello se riuscissi a produrre cose buone di questa rabbia. Che se adesso la vendessi al chilo allora sì che sarei un uomo pieno di soldi, chissà se anche ricco…

Della pedalata di ieri

Qualche giorno ho fatto una cosa che faccio di rado. Di cui un po’ me ne vergogno ma che talvolta deve essere fatta obtorto collo: sono andato in Farmacia. Dato l’argomento ne approfitto per ravvivare questo post qui:
http://gas12n.blogspot.com/2010/01/omeopatia-un-uomo-che-visse-troppo.html
Il pensiero m’è venuto quando ho collegato il luogo in cui mi trovavo, la farmacia appunto, le ingenti misure di sicurezza che fan pensare a quanti soldi girano intorno alla salute della gente e appunto la omeopatia, la falsa medicina dei ricchi. A queste condizioni sarei quasi ben disposto a consigliare il credo cieco per una religione, l’effetto placebo resta uguale ma quantomeno è gratuito (affermazione pretenziosa, anche lì di soldi ce n’è a palate).
Insomma ero lì per comprare degli integratori. Che, lo riconosco, stanno giusto un passo oltre l’omeopatia, al confine fra l’esoterismo e la vera medicina. Tant’è che pur di ritrovare un po’ di energia sono disposto persino a ingoiare boccette piene di un gustoso liquido, chissà se effettivamente funzionante.
Ma ieri nonostante il mio Eufortyn mi sentivo molto due punti incazzato nervoso moralmente sotterrato spossato (con due esse) e senza molta voglia di respirare.
Eppure ero già alla seconda dose di boccette miracolose e avevo persino ingerito la dose di caffeina giornaliera. C’era solo una cosa da fare. Prendere a pugni tutto ciò capitava a tiro, liberando quindi le energie negative che mi stavano travolgendo.
Ma io, che sto a fatica diventando grande, ho imparato che se prendo a pugni le cose poi le cose si rompono. E si rompe pure l’orologio che solitamente porto al polso. Quindi ho imparato che uno bisogna togliersi l’orologio dal polso, due che bisogna dare i pugni a delle cose che non si rompono e tre che i pugni non si danno. In quest’ordine.
E perciò che me ne fotte, ieri ho ingerito la mia medicina. La bici. Dopo le dieci, dopo mangiato, ho messo le lenti, il giubbettino dell’ANAS e lo zaino delle emergenze (con cellulare, gps, acqua, soldi e documenti…non si sa mai quel che pensa la mia testa). E sono andato a pedalare. Il fatto che pioveva a dirotto ha incentivato il mio cantare senza pudore, che sotto l’acqua sono un pizzico più intonato. E poi far sgommare col bagnato è più divertente, cantare Fuori dal Tunnel al cimitero di Lambrate, e poi tornare a casa tutto zuppo d’acqua, e farsi una doccia ed andare a letto felice.
Stamattina ho fatto due starnuti, sono arrivato in laboratorio con una mezz’ora di ritardo.
Ma questo non m’importa.

Riguardo al cuorum

Questo blog non ha mai parlato di politica, è raro sentirmi parlare di politica. Per alcuni motivi. Non ci capisco quasi niente, parlare di politica mi sa una cosa stupida e ci sono altri argomenti più promettenti per allietare le serate d’estate in compagnia. Ma ieri notte mentre esercitavo il ripasso giornaliero prima di prendere sonno ho pensato a questo post che adesso scrivo, appena un attimo prima di fare il prossimo ripasso: quello giornaliero.
Io non ho votato per il referendum. Sono uno studente fuori sede, non ho mai votato alle elezioni nonostante ne abbia pieno diritto da almeno due anni. Non ho la tessera elettorale e non mi sento un colpevole, un traditore della patria, uno spreca-diritti. Non ho mai avuto le idee abbastanza chiare intorno agli argomenti che la politica tratta e credo che appartenga alla maggioranza persino di quelle persone che a votare va regolarmente.
Ma se ne avessi avuto la possibilità (o, meglio, se fosse stato molto più facile) questa volta sarebbe stato il mio personale battesimo del voto.
Dopo averci pensato a lungo, esattamente come se dovessi votare davvero, ho deciso che se fossi andato avrei votato null. Lo avrei fatto innanzitutto nel rispetto di coloro che tentano di raggiungere il quorum, qualsiasi sia il risultato connesso al referendum. Ma io non so molto di politica, non mi piace scegliere senza sapere.
Ieri durante il mio ripasso giornaliero mi sono posto delle domande a cui non so rispondere. Scrivo di seguito quelle che adesso ricordo.

  • Perché l’acqua privata è tanto demonizzata? 
  • L’acqua pubblica ha dei particolari vantaggi dal punto di vista del servizio offertoci?
  • Cosa dicono esattamente (e soprattutto cosa significano) i due quesiti sull’acqua?
  • Non è che aumentare la concorrenza potrebbe migliorare le prestazioni del servizio idrico riducendo persino i costi agli utenti finali?
  • Perché il paese con più petrolio al mondo sta costruendo una ventina di centrali nucleari?
  • Che fine hanno fatto quelle bellissime centrali al Torio, molto ecologiche e più economiche (in proporzione) e soprattutto esenti dalla produzione di scorie destinate a scopi bellici?
  • Quanti di quelli che han detto di no al nucleare sono provvisti o usano anche in minima parte della energia verde prodotta autonomamente?
  • Davvero le energie verdi possono rimpiazzare il nucleare o saremo costretti finché morte non ci separi ad affidarci alle nazioni estere per accendere il frullatore?
  • Come è pensabile la costruzione di acquedotti e nucleari in una nazione che se fosse spremuta come un’arancia produrrebbe litri di pregiato succo di mafia? Chi potrebbe assicurare che non vengano violate le principali norme di sicurezza nella costruzione del contenitore del nocciolo quando con un leggero terremoto sono cadute le case fatte di sabbia marina?
  • Come sarebbe possibile scongiurare che montagne di scorie radioattive non finiscano nei mari della Calabria?
  • Perché la Puglia perde il 50% dell’acqua immessa nei loro acquedotti e perché io sono costretto ad attivare un motorino elettrico affinché l’acqua raggiunga il serbatoio della mia casa giusto un giorno su due?
Quanti di voi conoscono una risposta anche a qualcuno di questi punti e ha votato qualcosa al referendum? Non vi sembra quantomeno irresponsabile fare una cosa simile, essendo senza una vera cognizione di quel che si sta facendo? Insomma spiegatemi il perché della vostra scelta se ne avete fatta una, io vorrei sapere di cosa è fatto quel pasto prima di portarlo in bocca, così io vorrei sapere quali sono le conseguenze della mia scelta quando scelgo! Votare è giusto, votare senza saper cosa si sta votando è irresponsabile più dell’astensione ed è più ignorante di quel che confonde le parole che iniziano con la c da quelle che iniziano con la q Solo gli stronzi si lasciano trascinare dalla corrente.
Su una cosa sono abbastanza sicuro: che non dovrà esistere un legittimo impedimento fintanto che anch’io, comune cittadino, non ne possa usufruire.