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Da piccolo volevo diventare grande

Da piccolo volevo diventare grande.
Lo ricordo come se fossi oggi, ma oggi sono grande: infatti ho i peli un pò ovunque, puzzo quando non mi lavo, sono sempre impegnato e non sono più felice quando ci sta Zorro in tv. Si, sono decisamente grande.
Quand’ero piccolo c’era caldo, c’era il sole. Seguivo mio padre come i piccoli anatroccoli, in ordinata sequenza stanno dietro la grande anatra. Un piede dopo l’altro, non c’era cosa che lui facesse e io non volessi ripetere. Ma poi io sono diventato grande e ho iniziato a radermi come mio padre. E già finiscono le similitudini fra me e lui.
Quand’ero piccolo, un giorno, seguivo mio padre nei campi. Sotto il sole siciliano, nei campi, tornavamo a casa. Ricordo che d’un tratto mio padre fece due rapidi passi, mise una mano sul muro a secco e con uno slancio saltò al di là. Senza poggiare i piedi sul muro. Io ebbi paura. Il muro era grande, io piccolo.
Dopo essermici lentamente arrampicato, feci un balzo e anch’io arrivai al di là. Chiesi a mio padre:

Quando si diventa grande?

Lui rise. Mi chiese il perchè volessi diventarlo e io ebbi l’impressione che conosceva già la mia risposta. Continuai a parlare.

Perchè io voglio saltare come fai tu, sono troppo piccolo. Io voglio diventare subito grande, per saltare come salti tu. Quando si diventa grande per saltare il muro come fai tu ?

Rise di nuovo, senza guardarmi. Io mi guardavo le scarpe sporche col buco sul pollicione. Aspettai una sua risposta. Era estate, avevo i pantaloncini e le scarpe col buco sul pollicione: ero chiaramente piccolo.
Diventare subito grande, era il mio sogno da piccolo.
Adesso devo stare attento a quel che dico, se sbaglio sono responsabile e quando c’è Zorro in tv cambio canale. Ma so saltare i muri in quel modo.
Mio padre intanto è diventato quasi vecchio, si rade ancora la barba, gli sono caduti un pò di capelli ma non riesce più a saltare i muri come faceva un tempo. E in più mi deve delle risposte.

[Foto di Sergio Andaloro]

E’ bene ricordarlo.

E’ impressionante, favoloso al solo pensiero, come io adesso stia qua allegro e penserioso a scrivere su un letto con una coperta arancione un pò verde e fra un pò – senza poterne decidere il modo e il motivo – salga su un’ambulanza che mi porterà più veloce della vita dentro una cassa, che diventerà la mia eterna casa.
E’ curioso come spendiamo la maggior parte del nostro tempo a elucubrare su tutte e le sole cose di cui sconosciamo l’assoluta ed effettiva realizzazione.

Storie di bacinelle assassine.

AVVERTENZA
[Questo intervento è quasi del tutto esente da errori ortonormali]

Ho da poco scritto il miglior intervento ( a mio giudizio) di questo blog. Sgrammaticato più degli altri (se possibile) centodue pezzi di vita ma comunque il migliore. Come ognuno dei 103 interventi migliori di questo blog, anche questo è selettivo. Chi ride vuol dire che è (in)direttamente interessato, chi si pone delle domande sul perchè non ride è interessato a capire ( e per questo può chiamare il 187 come suggerisce l’elvetica indomata). Per tutti il resto del campione (inteso in senso statistico (venti e sette) )…ah…non c’è un resto del campione (io sono un campione, l’unico campione muahahaha).
Mi sono confuso, sto perdendo il filo… (mi confondo sempre io…) (Ah si?) (Non fa per te, è troppo poco ingegneristico) (Non c’ha sentito nessuno, giuro!)
Ah si, ora ricordo. La mia risposta è carina/dolce mia maestrina/che mi dici che dovrei tornare in primina:

  • Chissà se ce la farò
  • Chissà se ce la farai
  • Chissà se ce la farà
  • Chissà se ce la faranno
  • Chissà se ce la farete
  • Chissà se ce la faranno

Chissà se hai capito, io intanto ce l’ho fatta!

Sviluppi sulla (ex) graziosa bacinella
Ricordate la bacinella che ha vissuto da protagonista per qualche minuto (s’è pure messa in posa per la foto). Si la ricordate. Io lo dicevo ch’era in combutta con loro, i bastardi. Quella figlia di buona bacinella ha complottato. Attacco ai buoni !!!, i cattivi stanno in vantaggio!!. Ha fatto i manici dolci alla signora delle pulizie (quella figlia di buona donna che m’ha fottuto i miei Carrera, non la Asia, la marca degli occhiali intendo) e questa, la donna della pulizia (?), ha gettato dentro la graziosa bastarda bacinella tutto ciò che le capitasse per le mani. Non di striscio, nè per quei fisiologici innocui cinque minuti. La signora (?) della pulizia (?) ha buttato dentro per ore, giorni, settimane, lustri e bilustri saponi, sciampi, deodoranti, bagno schiuma, schiuma da barba, la crema Veet®.
Questo è anarchia bella e buona, è una cattiveria imperdonabile. Mettere delle cose come saponi ipoallergenici e saponi disinfettanti-disincrostanti in una bacinella (non so se avete capito, in una b.a.c.i.n.e.l.l.a ma come si fa dico io…), per di più in un bagno (b.a.g.n.o cazzo)!!. E pure dentro il box doccia, assurdo. La gente di oggi è troppo violenta, troppo sadica, troppa. Si c’è troppa gente oggi.

P.S.
Nonostante il dispiegamento di ingenti forze, il cucchiaio proprio non si trova. Nell’attesa continuiamo a mangiare con le mani, a sporcarci di pomodoro, e a fottere loro, i bastardi.

Loro, i bastardi.

Su come e sul perchè io non so parlare, io non so dire ma è pericoloso. Pericolosissimo, poche mosse di per sè innocue che se concatenate da una letale successione temporale conducono a seri rischi per la propria indennità sia mentale che fisica.
Io non sono così, forse lo diventerò ma io non ero così. E’ difficile credere (e spiegare questo concetto nella lingua italiana) di essere circondati su tutti i fronti da terribili nemici invisibili inodori, silenziosi e bastardi così bastardi che non risparmiano neanche la fetta biscottata inzozzata di nutella. NO, la nutella NO, che bastardi..
Ed (io ritengo che) è ingenuo pensare che riusciremo ad averla vinta contro loro: sono troppo forti, troppo organizzati, troppo numerosi. Io da solo contro di loro che posso fare se non soccombere?
La regola dei cinque secondi

Un illustro professore alla Clemson University scrive sul New York Times un articolo che regola le loro modalità d’attacco fornendo tempi e modi d’assalto. Qualsiasi cosa sia nelle loro vicinanze per al più cinque secondi cinque viene attaccato da circa 150 fino a 8000 esemplari della loro bastarda specie. Se hanno a disposizione un intero minuto la loro cavalleria riesce ad attaccare contando fino a ottantamila bastardi individui. Io lo dicevo ch’erano organizzati e troppo numerosi, o-t-t-a-n-t-a-m-i-l-a contro uno è una lotta impari. Ma convenzionalmente se si riesce a liberare l’ostaggio (solitamente una fetta biscottata ricoperta da ambo i lati di nutella, ma su in foto possiamo osservare una graziosa creatura di vaschetta da bagno) prima di quei fatidici cinque secondi allora siamo definitivamente salvi: possiamo mangiarci la vaschetta o lavarci con la nutella (devo provarci a lavarmi con la nutella…uhm..interessante).

Di per sè è un mondo difficile, già pieno di insidie visibili e concrete, con tanta gente cattiva e maleodorante; poi se iniziamo a tenere conto di loro che nè si vedono nè puzzano, beh allora sì, è proprio arrivata la nostra fine.
A me, dopo essere nato e aver seguito l’iter burocratico che si conclude con il riconoscimento dello stato di “ragazzotto”, m’hanno buttato in mezzo alla natura sorridendo e chiedendosi senza molte speranze chissa se ce la farà. Ho dovuto lottare contro loro, i bastardi, ho dovuto difendere i miei dentini da latte e quando erano ormai presi li ho fatti cadere. Avevano conquistato le importanti roccaforti note come “Organi linfoghiandolari pari e simmetrici” siti nelle terre del Cavo Orale, e io quindi le ho distrutte. Una dimostrazione di forza, è quasi vent’anni che faccio a meno delle mie tonsille e non ne ho mai sofferto l’assenza. Loro, i bastardi, invece hanno perso un presidio difensivo (possiamo ricordarla ai posteri come la Caduta della Tonsilla).
Ho lottato fra galline assassine, ho rotolato nei campi e con la terra impastata coll’acqua ho dipinto più volte il mio volto. Ho messo le dita in bocca dopo aver toccato cuccioli di cane, ho strofinato gli occhi con le mani sporche di terra, ho fatto la cacca in un campo dove non c’era cartaigggienica perchè mi scappava (la cacca), ho fatto la pipì correndo e qualche schizzo m’è finito sulle scarpe. Ho camminato scalzo in mezzo alla natura, perchè così facevano gli indiani nei miei libri, ho succhiato il sangue dalle mie ferite come quegli eroi nelle favole. Alle volte ho lasciato seccare il sangue a contatto con l’aria frizzante, e poi l’ho fatto vedere orgoglioso alla mamma. Ho fatto il bagno insieme ad altri 4 miei cugini, e non mi sono mai lavato con le ciabbbatte. M’è caduta la pasta giù dal piatto e io l’ho presa e rimessa dentro al piatto (c’abbiamo la diapositiva), m’è scivolato il cucchiaio per terra e io l’ho preso, l’ho soffiato, l’ho rimesso in bocca. Ho mangiato il cibo delle galline, e mio fratello quello dei vitelli. A lui è venuta la cacca molle e frequente, è guarito e adesso può mangiare di tutto. Ho leccato pietre dei campi per vedere se si trattassero di pietre vive o morte, ho poggiato la mia lingua sui poli della batteria per vedere se era ancora carica, e quando lo era mi dava la scossa (che non è che sia proprio il massimo della salute). Sono andato coi pantaloncini bucati nei campi a sterminare le ortiche col bastone, mi pungevano tutto e le gambe diventavano rosse. Ma ero soddisfatto: avevo voluto uccidere le ortiche e lo avevo fatto. Volevo conoscere il sapore della benzina e ho imparato che un prezzo così alto non è giustificato dal suo gusto. Nonna dice che da piccola ha mangiato le pietre, adesso ha il morbo di Crohn. Non sapremo mai se è colpa di quelle pietre e mai sapremo se il morbo lo avrebbe comunque. Ha fatto quello che riteneva giusto, almeno credo.
Adesso quando mi dicono che quella graziosa vaschetta se messa prima per terra e poi dentro il piatto doccia su cui verranno poggiate le ciabbbatte sulle quali verranno posati i piedi sui quali scorrerà acqua a 40° e sapone a fiumi e poi loro i bastardi salgono sulle ciabbbatte risalgono lungo le coscie, penetrano nell’ombelllico e poi uno s’ammale e muore (o al massimo deve asportare l’ombelico con conseguente Caduta dell’Ombelico), a me viene da pensare che quella graziosa vaschetta è in realtà una arma letale, che quella graziosa vaschetta è in realtà in combutta con loro, i bastardi, e che quella graziosa vaschetta non è poi così graziosa, anzi adesso vado di là e la distruggo la uccido brutta bastarda la brucio e la trito dopo che è bruciata, e poi la butto nel cesso e tiro lo sciacquone.
Ma poi, in fin dei conti ora che ci penso, non erano neanche passati i cinque secondi…

 [Mio fratello (ma dov’è il cucchiaio?)]
 
[Un esemplare di “loro”, i bastardi] 

Tenco cento tonce.

Commento del 18 Marzo 2007

ao ma te me metti n’angoscia fio mio…..stai sempre a piagne sempre a fa er marmellonelui ti bacia e io rosiko e robba der genere le donne nn tele devi inkullaaa nn fa er sottone quanno te vedo e leggo qualkosa sul tuo blog me se pia a maleeee falla finita
sorridi alla vita

Così parlava lui (anche se questo tipo è particolarmente analfabeta) e chi mi girava intorno in quegli anni lì. Vabbè lo dico subito, questo è un post celebrativo! Il centesimo intervento in primo fu scritto di sabato, il 16 maggio 2009.

Faccio della mia vita universitaria la mia unica vita. In attesa che qualcuno mangi quella cazzo di fragolata con la panna.

Poi quella fragolata fu mangiata, e giungono notizie rassicuranti: non era poi così cattiva, anzi!
Non ha fatto indigestione, non ha “fatto andare al bagno” (leggesi sciolta), e ne mangiamo a cucchiaiate. Poco per volta, per via dei limiti geografici. Ma pare che nel mangiare le fragolate non si ragioni quantitivamente.
E così che sono diverso, in questi cento posto uno dopo l’altro mi sono trasformato. Sono un io nuovo, che sorride alla vita, e non sto più “sempre a piagne”. Alla fine ho dato Elettrotecnica con 32.5 arrotondato a 30, e molte altre materie. Adesso preparo Probabilità e Statistica; pertanto vorrei sottolineare che:

  • Il 54% del blog esprime felicità, Amore e interventi allegri
  • Meno del 10% è un post identificato con la parola Triste o ricordi (che non necessariamente sono tristi)
  • Il resto 36% è di carattere generico, esprimono volta per volta l’attualità della mia vita. Ma nessun piagnisteo, niente che possa avvicinarsi allo struggente.

Avevo deciso di chiamarlo così, il blog, perchè doveva trattare di notizie leggere, futili, stupidaggini. Dovevano essere Minciati con le ossa dolci (e quindi oltretutto inesistenti) ma mi sono innamorato (ele diabetico). Tutto ha preso un significato, in ogni intervento chi deve, coglie la sua frecciatina: ogni post in un modo o in un altro è stato un tiro con l’arco.  
Sono consapevole adesso: sono stato un piccolo uomo che ha tenuto tesa la corda del suo arco per mesi e mesi. Paziente non lo è stato sempre, così è successo di sbagliar mira, di far partire un colpo prima del giusto momento. Ma quando questo è arrivato, ha tentato. Quel piccolo uomo è felice, ha colpito.

 Donna, Deo mi dirà: «Che presomisti?»,
sïando l’alma mia a lui davanti.
  «Lo ciel passasti e ’nfin a Me venisti
e desti in vano amor Me per semblanti:
         ch’a Me conven le laude
e a la reina del regname degno,
per cui cessa onne fraude».
Dir Li porò: «Tenne d’angel sembianza
che fosse del Tuo regno;
       non me fu fallo, s’in lei posi amanza»
.
Cento di questi post!

Italicas matres, inquit, sacer hircus inito.

Studio, ho fame, scendo in mensa. La signora della mensa (che detta così sembra un essere misterioso) come al solito mi fa passare il tesserino mensa e mi fa lo sconto sulla differenza, perchè la signora della mensa è buona e gentile con me. E mi vuole possedere carnalmente (ma non è con qualche sconto che mi avrà). Non mi avrà, e basta parlare della signora della mensa (mistero). Mi chiede: “Tu oggi non festeggi?”. Rispondo di no, dopo aver dovuto riflettere più dell’ovvio sul perchè festeggiare. Risponde: “Eeeh, che siamo tutti singooool allora !?”.
Qualcosa in questo sillogismo (ma che io pronuncio sillogggismo per via della mia spiccata appartenenza terrona) lo rende Non Valido:

  • Se non festeggio il mio compleanno, ho comunque un anno in più. Così è, se vi pare e se non vi pare.
  • Se non festeggio il mio onomastico continuo incessantemente a chiamarmi Gioele.
  • Se non festeggio, il giorno del mio 30 in Analisi II è comunque un buon giorno.

Tali esempi, quindi, suggeriscono che l’atto del non-festeggiamento non vincola necessariamente l’inesistenza dell’evento eventualmente festeggiabile.
Inoltre San Valentino non la ritengo una festa “festeggianda”. Niente, in questo giorno, accomuna me e la mia consorte al resto delle coppie italiane, togolesi, Na’vi. Si, il fatto di essere una coppia (tris batte coppia!) potrebbe rappresentare una somiglianza, ma tanto oggi – 14 Febbraio – quanto un altro giorno, il 30 Febbraio per esempio. Sapere le origini e le leggende che hanno ispirato tale festa, inoltre, non aiuta di certo la formulazione coerente di un antitesi a questa mia tesi (non per presunzione, ma Postulato sarebbe una definizione migliore).
Narra Ovidio nei Fasti che al tempo del Re Romolo le donne avessero qualche difficoltà ad avere dei figli (che i loro cibi abbondassero forse di prezzemolo? O forse il marito aveva capito l’antifona e “pre-veniva” ?). Allora donne e uomini (che intanto s’erano sbarazzati sottobanco degli ultimi scatoli di Settebello rimasti) si dirigono nel bosco sacro della Dea Giunone (che in quanto fertilità&similia era esperta se pensiamo che allattando Ercole aveva generato da sola tutta la Via Lattea), si mettono in ginocchio e supplicano d’avere dei bimbetti (gran bel modo di concepire dei bambini). Attraverso lo stormire delle fronde, la dea benevola allora risponde che le donne devono essere penetrate da un sacro caprone (dopo qualcuno disse – si usava già allora – che si era capito male). Ora si, che ci siamo. Poi venne Moccia, papa Gelasio, la Perugina, la signora della Mensa (a cui un caprone non dispiacerebbe dopotutto) che cambiarono la favoletta, qualche omissis qua e là e San Valentino è tra noi .
E se S.Valentino fosse il caprone che vuol vendicare il com(ce)pimento di quanto predetto ?

5 Settembre 2005

Salve a tutti gli eventuali visitatori. Eccomi. Nel blog. Simpatico essere a quest’ora. Insomma sono stanco. Sono triste, dispiaciuto e poi ascoltando Yanni uno deve essere per forza così…Non voglio andare a scuola… io non odio la scuola io amo le vacanze…l’unico momento dell’anno in cui mi piace farmi il bagno è l’estate…il mare…le donne…la donna(o ragazza che sia)…Spesso amare è come ammalarsi…alla fine o si guarisce o si muore. Mai morire però per primo. Casomai per ultimo così nessuno ti vede:(

Perchè vivere?
                       Perchè è la cosa che più mi riesce naturale in questo mondo. In qualsiasi momento della giornata si vive pure quando si piange o quando ti danno la pagella in mano. O quando la mano arriva sulla cerea faccia.
Perchè amare?
                       Perchè amare… bè si amare mi viene difficile ma qualcuno altro in questo campo decide per me. Io sono nelle mani del burattinaio forse sì senza fili ma con qualche sbarra in certi posti. Amare mi viene ordinato di amare…spesso si insegna ad amare come se non fosse obbligatorio amare qualcosa…l’amore lo si intravede anche in un urlo… lo si vede giù da un ponte…lo si vede dietro una finestra chiusa…basta che ci sia qualcosa da guardare…pur bianco che sia…
Gioele o meglio Gas12(N)



E’ il primo post che ho scritto, di tutta la mia vita questo è il primo. E lo ricordo, mi ricordo lì che battevo i tasti su quella tastiera. Mi faccio quasi tenerezza, mi darei una carezza se potes…lo sto già facendo.

 

In quel posto

Io in quel posto non ci torno più. Non ci torno più, finchè non salirò le scale a quattro a quattro, finchè non tremerò per l’attesa, finchè non sorriderò ai bambini.
Io a vedere gente che parte, altri che arrivano, gente che si saluta, donne che piangono, io a vedere ciò non ce la faccio.
Che razza di posto è uno che accomuna gente che piange, gente che si da l’ultimo bacio e gente che apre le braccia incontro a ciò che più ama, felice come se fosse il primo giorno di una nuova vita.
Io in quel posto non ci voglio più andare, se non per aprire le braccia.