Archivi del mese: aprile 2010

A maccia picca e a rama arricivi.

Per ciò vi lascio immaginare che cosa vuol dire
per un ragazzo come noi tirare a campare,
uscire solo il sabato diventa un’eccezione
entrare dentro un pub soltanto un’occasione,
Di passiari e spassiari tuttu jornu mi stuffavu
e di ammiriari a machina nova di chiddu m’abbuttavu,
ora chi vogliu quacchicosa mia mi l’accattari 

nun vogliu l’alimosina e puru ‘cci le ‘ffari
[…]

pi cu nun avi un sordu e i problemi sunnu seri,
si fannu stari mali, mi mettinu ‘mpinseri
comu risolviri ‘sta situazioni mala, comu spararisi senza pistola… 

http://www.youtube.com/watch?v=-fmJlotUuxo 


Non è che i problemi vanno e vengono: è che a volte ci si pensa e altre no. E mieddgiu è pinsarici e truvari u sistema pì risovverli, nè cà su chisti i pobblemi veri. Basta cà ciè a saluti (sta minchia)!

Cento impervie e uno scoglio – 3

Matteo rideva raramente, solo quando era solo con sua moglie riusciva a liberarsi delle regole che si imponeva da quando era un fanciullo. Matteo a quelle cascate di domande rise, ma non durò molto. La bimba aveva lasciato le posate nel piatto e ora stava con le mani sotto le gambe, in attesa della risposta del padre. Quando Matteo vide sua figlia in quella posizione provò un brivido lungo la schiena, una fitta alla testa animò i ricordi come l’aratro spacca la terra secca da anni. Emanuela sapeva, Emanuela si accorse dell’espressione sofferente del marito già provato dalla lunga e snervante giornata. Lei era una donna meravigliosa, Matteo aveva sempre tentato di essere il migliore per lei ma non aveva mai creduto del tutto che loro due dapprima si erano incontrati, poi conosciuti e infine sposati: un giorno di sole d’inverno è una bella notizia ma raramente qualcuno ha goduto del sole per tutta la durata dell’inverno. E Matteo conosceva bene la sua fortuna. Da quando era diventata mamma, era ancora più bella. I suoi capelli erano tornati a essere ondulati e di quel colore meraviglioso che li rendevano unici. Il profumo della sua pelle poi non lo aveva mai perso: Matteo amava scherzare con gli amici dicendo che in fondo gli unici segreti del loro matrimonio erano il tacchino al forno e il profumo di Emanuela.
Matteo si svegliò da quei pensieri che lo avevano portato chissà in quali luoghi, chissà in quali tempi lontani.
Ehi, mettiti composta se vuoi che ti racconti come ho conosciuto Mamma…“, disse non riuscendo ad avere un tono ammonitorio. Neanche la promessa di un cartone animato da vedere insieme fece la piccola così felice di soddisfare una richiesta del padre.
Vabbè, però mentre mi racconti di mamma mi tagli la carne che è tutta durissima?
Matteo prese il piatto della figlia e fece un colpetto di tosse; la piccola ragazzina seguiva rapita gli sguardi fra la sua mamma e il suo papà.
Cara, mi pare che eravamo d’accordo che se mai nostra figlia ce lo avesse chiesto, avresti dovuto rispondere tu a questa cruciale domanda…” fingendo un tono di indifferenza.
No c-a-r-o, non mi pare di ricordare nulla di tutto questo” mentiva “…sai sono molto stanca, oggi è stata una giornata pesante” e mise una mano sulla fronte come a simulare un mancamento, strizzando l’occhio verso la figlia.
Mamma, io ti adoro…”, disse la figlia che seguiva con lo sguardo ogni mossa dei genitori.
E’ stata la zia Sara!“, disse finalmente il padre. Stava ridendo, e sia Emanuela che sua figlia se ne accorsero.
…un giorno la mamma è andata a trovare la zia, io ero amico della zia…” fece una pausa, “studiavamo nella stessa scuola, ma la zia era più brava di me…
Era più brava anche della mamma?” chiese la figlia quasi preoccupata.
Certo che no!!, è chiaro che nessuno può essere più bravo della mamma” e restituì il piatto con la carne tagliata a piccoli pezzi, “…tranne la sua piccola figlia ovviamente“. Emanuela ch’era stata in silenzio fino a quel momento scoppiò a ridere.
Matteo continuò il racconto.
Prima la mamma diceva ch’ero brutto, antipatico e con la barba troppa lunga…
Papà, tu non sei antipatico però…è vero hai la barba lunga…e sei bruttissimissimo prrr!!”, e la figlia fece una pernacchia.
Dovevi conoscerlo quando era piccolo piccolo, era molto più antipatico di adesso…e anche molto più brutto ora che ci penso…“, disse Emanuela guardando il marito.
Vedi vedi!, guarda!, la mamma in una sera d’agosto di tanti anni fa mi ha guardato come mi sta guardando adesso, visto ??…e poi mi ha abbracciato. E io ho capito che poteva essere la tua mamma…
E la zia Sara che c’entra? Dov’era quel giorno?” chiese la figlia menttre studiava molto attentamente lo sguardo della mamma.
Emanuela e Matteo allora scoppiarono a ridere; e prese la parola Emanuela.
La zia stava sulla spiaggia vicino a noi, parlava con lo zio…ma ancora non era lo zio…anzi la zia ancora non sapeva che quell’amico di papà sarebbe diventato suo marito…”.
E papà lo sapeva che zio Lucio si sarebbe trasformato nello zio??…lui già lo sapeva che tu eri la mia mamma!

Strisciare lungo i muri

Mi sto sentendo molto un gay depresso. Oddio, pure depresso…almeno un gay felice e festante!
Ho appena preparato il mio primo dolce in solitaria, ho fatto la spesa al gs in solitaria e cantavo movendo l’anca a ritmo mentre avevo le mani sporche di cacao. Ad un gay questa scena sarebbe piaciuta (Ma Sergio…forse è per questo che non lo hai mai voluto fare con me ? Il salame intendo!) (Signora si tranquillizzi, siamo giusti entrambi…è che ci vogliamo tanto bene) (Entrambi l’ho buttata lì ecco, sono sicuro giusto giusto di me stesso).
Se consideriamo anche il mio nasino all’insù poi, neanche una donna avrebbe resistito…mmm…

Per usare un eufemismo…

… mi fa godere quanto un riccio osservare la gente che ha ritenuto che io abbia sbagliato (o che ha un amicoziocuginocognato che ha ritenuto che io abbia sbagliato) – e pertanto ignorarmi in mia presenza-, sbagliare stare male pubblicare link su facebook struggenti e struggersi autocommiserandosi.
Ah, la cosa che mi fa godere è che io sto bene da cui consegue che non ho sbagliato (o che ho fatto sbagli piacevolissimi).

Pulizia dei Denti

C’è una cosa che mi ha fatto ridere l’altro giorno, e ieri ripensandoci. Merita di essere scritta, che poi le dimentico ‘ste cose.
Fra qualche giorno torno a casa, di passaggio come passa un temporale d’agosto. Breve e intenso, e lascia il segno: devo fare delle cose importanti, scegliere i punti luce, donare all’Avis, e andare dal dentista. Se ci fosse tempo per qualche altra stronzata non resisterei a farle (forse “prendo in prestito” il motore di Mattia e ritorno a fare il matto, ma solo per un pò, sono maturato ormai…pff).
Dicevo, devo andare dal dentista, perchè mamma dice che ho la saliva di papà. Cioè, io lo giuro, i denti me li lavo ogni sera e ogni mattina, mentre faccio pipì mi disinfetto tutto col colluttorio (quando si dice il fordismo applicato eh) e comunque mi ritrovo con i denti con le carie (non so se si dice carie, ho sempre fatto confusione fra carie, placche e robe varie…io so che sono convinto dopo che da piccolo ho visto “Esplorando il corpo umano” che c’ho dei brutti muratori che stanno nei miei denti col martello pneumatico) . ‘nnaggia, la soluzione è una Pulizia dei Denti dal dentista. Già lo vedo chino su di me con un trapano e un sorriso maligno: “Tranquillo lè, non ti faccio niente muahahah“.

“Mà, m’ha prenotasti a visita ‘nto dentista?”
“Se, dgjoia sabbatu viessu e novi anfacci ‘o spitali”
“Mà, ma quantu si fa paiari?”
“Nun ti preoccupare, nun ci pinzari…”
“Ma tu rimmillu, quantu voli ?”
“‘A come a tutti, chi sarannu…cinquanta, sissanta euru”
“Fiddgju ri doppia buttana…mmm…”

“Mà, sai chi ci rici…cà mi pulizia sulu i quattru rienti ravanti, chiddu ri supra e chiddu ri sutta…l’autri tantu nun si virunu,accussi quanti soddi cecca ?

Non mi si può dire che non sia un bravo ragazzo. No ?

Stare al proprio posto

[E’ in corso una normale telefonata fra due persone che solitamente si vogliono più che bene (una sono io, e l’altra è o Pamela o Emanuela )(sì, mi piacciono i nomi che finiscono -ela) (-ela, non -ella) quando accade che…]

“…si, bene allora quest’estate…puoi aspettare un attimo caro?”
“Certo cara…”
PAM. BUM! BATAPUM. STUNG !
“Ma cosa è successo ? Cos’erano quei terribili colpi? “
“No niente caro, c’erano due zanzare e le ho seccate, oddiooo che schifo che fanno quando sono morte…ora ne secco un altra…no qua sul muro no, spooostati da qualche altra parte zanzara di me**a …ecco, sul vetro è perfetto grazie…faccio in un attimo caro eh..SBUM!…eh si fanno proprio schifo…perciò dicevamo?”
“..no, niente sai ti parlavo di quell’esame di sett..”
“…bas***da zanzara!! Si scusa un attimo caro…allora sei ancora viva...BATATRUMPSBAM!” 
“Amore, sìsì l’ho seccata; perchè devi sapere che se non le secchi tutte d’un colpo loro poi soffrono e sbattono le ali, poi fanno wuuuuuuuum wuuu-uum um-um, e poi, che schifo poi!! …quindi io le stecco in un colpo…capito?, insomma cosa dicevi riguardo quel tuo amico ?”
“Ehhm…Quale amico?”

[Questa intervento è fedele alla realtà (eccezion fatta per le smancerie). Farei bene quindi – e vorrei vedere – a non tradire la fiducia della protagonista.]

Cento impervie e uno scoglio – 2

Matteo fu svegliato da un bacio di una barbie. Sulla poltrona aveva chiuso gli occhi, il caldo del fuoco e la serenità del luogo aveva fatto il resto: aveva riposato per un pò. “Papà, ti voglio sposare!“. Emanuela guardava la scena divertita, mentre tagliava con precisione le ultime foglie di radicchio. “Cosa ne pensi, cara? In fin dei conti amo anche lei“. Emanuela rideva, le si poteva vedere la gioia di tutta la sua vita negli occhi castano acceso. “Beh, sempre meglio di quella tua stupida collega, vero c-a-r-o ?” disse strizzando l’occhio verso la figlia. “Papà, chi è la tua collega stup..ihhih..?!“. Non fece in tempo a manifestare tutta la sua gelosia chiaramente ereditata dal padre che iniziò a ridere: Matteo le stava solleticando il pancino, era il suo gioco preferito.

Giocavano spesso insieme papà e figlia, anche in quei giorni in cui lui era sommerso di lavoro. Matteo aveva da sempre desiderato un figlio, e quando avevano creduto di non poterne avere era ridiventato il ragazzo di un tempo: quel ragazzo che non parlava, quel ragazzo ribelle, quel ragazzo che faceva paura alla gente. Di quel ragazzo Matteo aveva conservato solo qualche attimo di silenzio nel corso delle sue giornate, e qualche scatto d’ira a lavoro. Teneva un orologio da polso che lo riportava alla calma, era un regalo di Emanuela. Non era un semplice orologio, Emanuela gli aveva fatto incidere sul quadrante Il tempo: alcuni lo usano con parsimonia, altri con prodigalità. Non prenderlo a pugni.
Gran donna Emanuela, aveva sempre una parola di conforto, non aveva mai un’incertezza e poco si lamentava. E Matteo si chiedeva spesso dove trovava quella pazienza, quella volontà incessabile.

“A tavolaaa!!” urlò Emanuela. La prima ad arrivare fu la figlia che con un balzo saltò sul telecomando, toccò un paio di tasti e si sedette al suo posto con lo sguardo rapito. Pian piano arrivò anche Matteo, ancora non completamente ripresosi dal bacio della avvenente barbie. Si sedette, diede uno sguardo alla figlia che subito spense la tv e guardò la moglie che gli fece un cenno d’intesa. E iniziarono a mangiare. Fu Emanuela che iniziò a parlare, raccontò con la solita calma la stressante giornata di lavoro, e rispose a tutti i perchè che la figlia le impose. Matteo non parlava, preferiva di gran lunga quella gigantesca fetta di tacchino impanata e i racconti della moglie al raccontare dei colleghi impertinenti e del capo distratto dalla segretaria.
Papà, ma perchè vi siete conosciuti con la mamma? Papà, perchè la mamma è più grande di te, perchè perchè ? Papà, ma perchè mamma è arrabbiata con la tua collega? E perchè…” chiese senza pause la figlia, che si era accorta del silenzio del padre.

Cento impervie e uno scoglio – 1

Matteo era stanco. Il nuovo lavoro gli aveva reso i giorni più corti e le ore di sonno erano drasticamente diminuite. Ma quel lavoro era l’occasione di una vita, in fin dei conti si trattava di resistere al sonno, di essere pazienti coi nuovi colleghi, di attendere che il capo si accorgesse delle sue idee innovative.In fin dei conti.

Matteo disse una parolaccia, sotto la pioggia di quel marzo infinito. Un incidente sulla strada che l’avrebbe condotto presto a casa al caldo del focolare e dell’amore di sua moglie era l’ultima cosa che quella giornata gli aveva gentilmente inflitto. Talvolta è così: in un solo giorno tutto ciò che può avere un incidente lo ha, e casualità e ira furiosa camminano mano nella mano. Dovette prendere la provinciale, allungare di un’ora il tragitto verso casa e beccarsi la tempesta per intero.
Proprio quando mise la chiave nella toppa della porta gli scappò un sorriso, il primo della giornata. Non fece in tempo a poggiare le chiavi che una piccola creatura dai riccioli biondi gli saltò in braccio  e incurante della barba incolta iniziò a soffiargli sulle guancie, producendo dei buffi rumori. Il caldo del fuoco lo colorò di una nuova vivacità, che solo sua figlia era veramente capace di ristabilire. Con sua figlia ancora in braccio si avvicinò a sua moglie, la salutò con un bacio sui capelli e si diresse verso la sua poltrona davanti il fuoco. Erano questi momenti in cui Matteo ritornava a sorridere: fissava la moglie impegnata in cucina. Emanuela non era apparentemente diversa dalle milioni di donne che popolavano le città del mondo. Aveva degli occhi non troppo grandi, color castano acceso. Non era troppo alta, e spesso nascondeva le sue armoniche curve sotto i maglioni del marito. Ma era quando parlava, era esattamente in quel momento che ogni donna al suo confronto impallidiva. Lente e misurate erano le sue parole, la sua voce pacata e mai troppo alta: i suoi discorsi lasciavano solo intravedere quella intelligenza che la natura le aveva fornito.
Quel giorno Emanuela era tornata presto da lavoro, decisa a festeggiare la buona notizia: gli straordinari avevano fruttato dieci giorni di ferie, e ora non restava che decidere dove trascorrerli col marito e la figlia. E non era l’unica buona notizia: per cena stava preparando tacchino al forno.