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Della morte e della vita (in Canada)

Della morte non se ne parla. Poi è troppo tardi e tutti giù a parlarne. Ne ho già parlato io, anni fa. Qualcuno non tanto caro ma caro abbastanza da essere personalmente impattato alla notizia era venuto a mancare. O morto. La gente odia dire la parola ed è così che gli eufemismi non si sprecano.
Quando lo stesso è accaduto qualche giorno fa io mi sono chiesto una cosa sola: come reagirei io se qualcuno così vicino a me morisse? E il pensiero mi ha devastato. Solo il pensare mi ha fatto alzare dalla sedia e girare in tondo. Se succedesse io uscirei matto. I miei mood swings oramai acquietati esploderebbero incontrollati. Per quanto ci pensi non c’è niente che mi possa preparare a quando avverrà. E avverrà. A quanti di voi è capitato di innamorarvi della persona sbagliata? Non è perché il vostro caro amico/a è stato lasciato/a di recente che voi non vi innamorati di uno stronzo. Ci sono sentimenti ed emozioni che non si impareranno mai, è come se ognuno viaggiasse sul proprio binario e niente ne può cambiare il suo corso. Uno pensa che una persona a noi cara ha dovuto vivere una morte, uno pensa che uno possa imparare da ciò e prevenire? No fuck that, there is nothing I can do, il binario non si sposta. Lui va.

Adesso sto qui a scrivere, davanti una piantagione di rabarbaro. La vita va avanti, o indietro se cambiamo il sistema di riferimento. Vivo in Canada da tre anni, a breve festeggerò il mio quarto Thanksgiving, lavoro per la compagnia del GPS da 2 anni, mi sono appena trasferito più vicino a downtown, ho conosciuto una persona che a breve lascerà il Canada permanentemente. Ho la vita in pilota automatico e al momento pare sia la scelta migliore. Ma la prossima curva, te lo assicuro, la faccia tirando il freno a mano.

Sedici anni: Nathalia e la galera.

Scrivo su questo blog, che si è aperto recentemente alla conoscenza di gente sconosciuta, una cosa intima, riservata, probabilmente da non condividere neanche con gli amici. Ho avuto un incubo la scorsa notte. A causa della, la chiamerei empatia, per una ragazza (identificata probabilmente in una brasiliana di nome Nathalia conosciuta qui in Canada e che comunque non mai avuto alcuna importanza per me) avevo commesso una serie di reati. La polizia mi cattura, mi mostra una lista con i miei reati commessi (qualcosa come incendiare qualche auto et similia) e a fianco gli anni di detenzione prevista. La somma aritmetica fa sedici anni. Sedici anni di galera. Da quel momento l’incubo è stato ancor più tremendo. Mia madre cercava di calmarmi, ma io ero devastato dall’idea di trascorrere sedici anni della mia vita in prigione. Come se fossi stato innocente ma non lo ero. Come se fossi stato vittima di una ingiustizia che però stentavo a vedere nella realtà (del sogno). Speculavo sulle cose che mi sarei perso nei successivi sedici anni di galera.
E’ stato tremendo, quando mi sono svegliato non mi ero ancora costituito.
E’ stato talmente profondo che sono stato inquieto e turbato tutto oggi e, sebbene ma la mia pura fede nel tangibile, ho ancora paura che questo sogno abbia significati che non sono capace di leggere.
E ho una paura tremenda che possa accadere di nuovo, per favore no.

Mio padre

C’è una sensazione che non ho mai più provato
Non abito più lì da sempre
Ho avuto una vita
Altrove
E’ solo una stupida villetta con uno sputo di giardino,
ma sarà la prima cosa che comprerò
Quando sarò ricco.
♫♪
Oggi è il 31 Maggio. E’ il compleanno di mio padre, non l’ho mai dimenticato per un fatto curioso. Nacque in casa, come si usava cinquantadue anni fa. Ed era una domenica, così la sua nascita fu dichiarata all’anagrafe solo il giorno dopo, il primo Giugno. Lui per il mondo è nato il primo di Giugno. Gli ho mandato un augurio di buon compleanno, come si fa tra persone educate. 

E’ tutto oggi che penso a questa cosa, e mi sono svegliato alle sette. Il regalo più grosso che gli farò è scrivere qui un ricordo felice che ho di lui. Solo che questo post non lo leggerà mai. Ma ci sono delle cose che io non ho mai capito di lui per cui va bene così.
Non ho saputo scegliere quale sia il ricordo più felice. Ricordo una volta quando con una tuta da macchino era sdraiato sotto la sua macchina, una Citroen BX azzurro cielo. Stava aggiustando qualcosa e io da buon figlio maschio cercavo di capire cosa stesse facendo. E anche se avevo una paura matta che l’auto rialzata su dei ceppi di legno mi cascasse tutta in faccia, a fatica, riuscì a sdraiarmi accanto a lui. Gli chiedevo cosa stava facendo, cosa stava toccando ma lui non mi rispondeva. Io avevo sempre timore di infastidirlo, di risultare scortese ai suoi occhi. Così quando non rispondeva alle mie domande dopo un po’ tacevo e rimanevo semplicemente a guardare.
Un altro ricordo che ho di lui risale al periodo delle elementari. Fece da guida turistica in una gita organizzata dalle maestre fra le grotte di una contrada del mio paese. Tutti gli altri bambini stavano a guardare lui, e anche se la sua dialettica non era raffinata come quella delle persone in televisione, io ero orgoglioso di lui. Volevo dire bambino per bambino che quello che spiegava era mio padre e ci tenevo particolarmente a farglielo capire.
Questi ricordi mi mettono tristezza.
Voglio soltanto andare via.
Vorrei ricominciare da capo.
Ma il massimo che posso fare è ricomprare la casa da bambino, la stupida villetta con uno sputo di giardino.

[La citazione iniziale è tratta da questa canzone degli Afterhours. La canzone ascoltabile cliccando sulle note invece è la sua canzone, gli piaceva tanto e mi piace tanto]

Cuore di cane

“Ho appena finito di dare sepoltura alle spoglie mortali di Bach, deceduto nel primo pomeriggio”

(Ho ascoltato queste canzoni mentre scrivevo, fatelo anche voi se potete). 
Ultimamente è come se aspettassi sempre un messaggio, così scatto sull’attenti ogni volta che suona il cellulare. Spesso è la Tim, e a volte è pubblicità. Oggi è stato questo messaggio inviatomi da mio padre. Ovviamente non è piacevole ritrovarsi a leggere tale notizia sperando che sia una persona x, credendo più realisticamente che sia la tim e ritrovandoti invece a leggere ciò. Faccio qualche passo indietro nel tempo.
Quand’ero piccolo, cinque sei anni non di più, tornavo ogni giorno a casa sognando di trovare una sorpresa: o una scrivania nuova, o un cagnolino. Abitavamo in campagna, la nostra casa poteva con un po’ di immaginazione sembrare un villino, c’era un orto dietro e una specie di giardino davanti casa. Un cane non era un sogno illegittimo, ma non so perché, non ne ho mai avuto uno. O meglio, ne avevamo, ma nella casa dei nonni, casa che in realtà era una fattoria dove i cani erano gli animali più “umani” del posto. Ma in casa nostra non c’erano cani: per questo un giorno comprerò quel villino, diventerà una villa anche senza la mia fervida immaginazione e comprerò a mio figlio un cane. Anche se è allergico!
Un giorno tornai da scuola, mi riaccompagnava a casa il padre di una mia amica. Tornai e mamma o papà mi dissero di andare fuori, che c’era una sorpresa. Poteva essere o un cane o una scrivania, nient’altro. Essere dei bambini è la cosa più grandiosa della nostra vita. Erano due cani. Piccoli, tremanti, impauriti. 
La loro è una storia misteriosa, e io non so perché, ma non c’ho mai creduto fino in fondo. Dice che siano stati trovati nell’immondizia, dice che erano due fratelli e che siano stati salvati col mio sciroppo scaduto: il panacef.
Uno era nero, l’altro marroncino. Erano due bastardi, ma io non ho mai avuto cani di razza. Ed è per questo che ho sempre apprezzato la bontà degli animali, non la loro discendenza nobile. In fondo con le persone è lo stesso, o quasi almeno. Il nero si chiamò Bach, come il musicista. Il marroncino invece prese il nome di Brown, per via del suo colore. Bach&Brown. Bach era il più serio, Brown era il giocherellone. La favola durò poco, dopo qualche settimana andarono in campagna dalla casa dei nonni. Ma ero felice lo stesso. I bimbi sono sempre felici, lo stesso. I cani crescevano, io crescevo e tutto sembrava una storia di quelle che mi leggevano la sera.
Erano uno geloso dell’altro e questo faceva sì che o si giocava con loro allo stesso momento o toccava ignorarli per non scatenare le loro gelosie. Un giorno il nonno picchio Brown, ma la colpa era di Bach. Io piansi, non era stato giusto. Ma ero io a piangere e Brown dopo qualche ora era tornato a girare intorno alle mucche ‘nto baddgiu. C’è chi non ama cani, e io stesso non ne pretendo uno a tutti i costi. Ma ci sono alcune cose che potrebbero spiegarci se solo ci fidassimo di loro.Dopo qualche anno Brown morì. Fu avvelenato, così mi dissero. Mangiò una polpetta di quelle che si preparano per le volpi. Ricordo ch’ero triste, ma non dispiaciuto come lo sono adesso. E sono dieci anni più grande, e vivo a Milano e invece di scrivere a quest’ora della notte dovrei essere già a dormire che domani è giorno di studio.
Sapere che vicino i campi era pieno di polpette avvelenate mi rendeva sicuro che Bach era veramente un cane intelligente, che Brown poveretto non aveva seguito il consiglio del suo fratello maggiore.
Un giorno vidi persino Bach abbaiare dietro una mucca che stava allontanandosi troppo, Bach è sempre stato un cane libero. Sciolto. Non correva mai dietro le galline, non abbaiava ai gatti se non quando i suoi obblighi da cagno non glielo obbligasse strettamente.
E’ sempre stato pulcioso per via del suo pelo folto e non curato. Lui è un cane libero, nessuna spazzola né medicinale contro le zecche. Era uno di quei cani che si grattavano con la zampa, ed è come se niente fosse.
Spesso si faceva trovare con qualcosa in bocca che posava ai nostri piedi quando arrivavamo, dice che fosse un segno di riconoscenza. Non importa se era un pezzo di legno, o un pezzo di sterco di vacca indurito. L’ho sempre accettato prendendolo dalla sua bocca, lui è sempre stato la mia sorpresa di quando avevo sei anni.
Adesso in questa notte in cui sono appena scoppiato a piangere da solo mi accorgo che certe cose non assumano la loro reale importanza fintanto che restano con  noi. E’ un destino strano, ma si piange sempre per le cose che non potranno più tornare indietro. Quando scendono le lacrime è già troppo tardi. Ricordo l’ultima volta che l’ho visto come ricordo te quel giorno in aeroporto. Lui era diventato sordo per via della vecchiaia, tu mi salutavi da lontano agitando la mano e scomparendo dietro il gate8: in entrambi i casi niente sarà come prima, sono obbligato a crescere ancora, non ti vedrò più con quegli occhi innocenti di quand’eri qua. I tuoi occhi, i tuoi occhi marrone chiaro. Chi altri mai li ha guardati così da vicino, così pieni di amore?


Da qualche mese c’è un nuovo cane in campagna, che prenderà il suo posto nella fattoria. Anche di lui eri geloso, Bach, lui che aveva appena qualche giorno di vita. Riuscivi appena a reggerti in piedi, ti spostavi solo per mangiare. Ma venivi accanto a noi quando giocavamo col piccolo Tex. Adesso le lacrime sono arrivate al naso e ho il sospetto che non piango solo per te. Voglio che tutto torni come prima e tutto come prima non può tornare. E per questo piango, perché non posso far altro che ricordare.
Sei morto che avevi quasi sedici anni, o forse quindici. E’ tantissimo per il tuo essere cane. E’ bellissimo immaginare che tu sei sempre rimasto il solito cane, e io ch’ero un bambino innocente sono diventato prima un adolescente e ora quasi un uomo. E tu hai sempre fatto le solite cose, vissuto sempre gli stessi luoghi. Chissà se i tuoi occhi mi hanno visto crescere, cambiare. Chissà se hai visto i miei momenti di sconforto e li hai distinti dai momenti di allegria. Quest’estate nei campi venivi spesso. Io ero triste, passavo i giorni più difficili dell’ultimo anno e tu eri semplicemente lì. Ti rigiravi intorno due tre volte e poi ti sedevi. Chissà se i cani soffrono le pene d’amore, se piangono quando muoiono i loro simili, chissà se vogliono essere cremati o sepolti. Chissà.
Pensiamo di essere noi a decidere per loro, pensiamo tante cose riguardo i cani. 
L’ultimo ricordo che ho di te è disteso lungo la strada che conduce fuori dalla campagna. Non avevi sentito la macchina, Matti mi ha ricordato che non sentivi e ho rallentato. Mi sono quasi fermato, ti ho guardato e finalmente m’hai visto. Volevi che sapessi che stessi andando via, non dovevi cercarmi mentre io non c’ero più. Ogni volta che andavo via da campagna, negli ultimi tempi, sapevo che poteva essere l’ultima volta. Ma non avrei mai immaginato che io, Lele, che crede poco in dio, che erano mesi che non frignavo, che non vedo l’ora di lasciare l’Italia, io non mi sarei mai immaginato che adesso avrei pianto -nuovamente- per te, Bach. 
Non ti scorderò, non scorderò quel giorno in cui ti conobbi la prima volta. Quant’ero felice quel giorno e quanto sarò felice fantasticando su come potrai conoscere queste mie parole per te. Fra un paio di settimane tornerò a casa e verrò da te e ti porterò io un legnetto, se me lo permetti. Grazie Bach, grazie di avermi fatto uscire queste lacrime che ora si sono fermate. Era tanto che erano chiuse qua dentro, ancora una volta sei stato una sorpresa per me. Abbaiare e mordere. E per le pulci basta una grattata, che non c’è niente che possa farci dimenticare quanto sia meravigliosa la nostra stupenda vita da cani.

Al mio Bach, Lele.

« 
Dall’altra parte della strada sbatté la porta di un negozio vivamente illuminato, e ne uscì un cittadino: “Beh, si: si tratta proprio di un cittadino, non certo di un compagno; anzi, questo qui è addirittura un signore. E non che giudichi dal cappotto -non sono così sciocco-. Oggi il cappotto ce l’hanno anche i proletari, o molti di loro. […] Ma gli occhi: lì non si sbaglia, sia che li guardi da vicino che da lontano. Eh, sì, sono assai importanti gli occhi, sono una specie di barometro. Ci vedi quello dal cuore duro, che può schiaffarti la punta dello stivale nelle costole, senza nessun motivo; e ci vedi quello che ha paura di tutto e di tutti. Ecco, proprio un lacchè come questo tipo qui mi divertirebbe prendere a morsi nelle caviglie –
Hai fifa, eh? Se ce l’hai vuol dire che te la meriti… 
Tiè… grr… rrr… bau, bau!-“
                         »
(Michail Afanas’evič Bulgakov, Cuore di cane, Capitolo I)

FDC – 7

Mi si apriranno nuovi orizzonti (e non solo): diventerò un gigolò.
*
Piangerò di notte e agirò di giorno: dormirò piangendo e lavorerò ridendo. Ottimizzazione della dignità.
*
Un altro bimbo si chiamerà come me, è fortunato: ha una mamma comprensiva. Grazie signora, spero che suo figlio abbia i suoi occhi.
*
Per essere felici due persone sono necessarie, per disperarsi una è già abbastanza.
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Ho imparato che è più facile essere meno di una persona che una persona che ne vale due.
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Volevo fare lo zoologo, lo speleologo, il pompiere e l’astronauta: e ogni volta ero sicurò al 100%.
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Un giorno presi dieci in Matematica e fui molto triste: Matematica oramai si chiamava Analisi I e i voti erano espressi in trentesimi. La volta successiva presi trenta. Fu una fortuna, in fondo, quel dieci.
*
Un giorno una persona fidata mi chiese duecentomila lire. Era tutto quello che avevo ma glieli diedi. Fu allora che imparai che i soldi sono importanti, soprattutto quando ti stanno lontano.
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Per quanto oggi possa sentirmi triste depresso e insignificante devo convincermi che le possibilità che domattina tutti i miei sogni si realizzino istantaneamente sono assolutamente identiche se oggi fossi un uomo felice tranquillo e saltellante. Dispongo di una meravigliosa dimostrazione di questo teorema che non può essere contenuta nel margine troppo stretto della pagina (cit.).

I soldi

Trattasi di pensieri a caldo.
I soldi stanno già cambiando la mia vita. Se io sono acqua che cambia la sua forma adesso i soldi sono una cannuccia. E io sto cercando di viverci dentro la cannuccia. Mi muovo a fatica ma ormai ho capito che non posso superare i limiti della cannuccia. E poi la fine è quasi giunta, vedo già l’altro lato. Ma ogni cannuccia ha quella piega del cazzo, quella piega del cazzo quasi alla fine, lì il passaggio si restringe. Adesso, sono nella piega. Non basta più sgomitare una volta ogni tanto, tra una studiata e un altra non posso più permettermi i lussi.
I soldi stanno già cambiando il mio modo di vivere, le mie emozioni, i miei atteggiamenti. O meglio, è la mancanza di soldi che lo sta facendo. Perchè dovrei in qualche modo sforzarmi di evitare che l’abbondanza di soldi mi cambi? Io, acqua, quando mi sposterò in una damigiana voglio stare largo. Voglio spendere, abbondare. Voglio comprarmi un apparecchio per i denti, una macchina potente, una casa con la piscina dentro, la mia casa di una volta. La mancanza di soldi aguzza il mio ingegno, libera le redini dei miei sogni ma intanto mi mette l’attack sotto le suole. E riesco a fare a fatica solo qualche passo.
L’ultima volta, il 26 agosto, ho pianto di felicità: il ricorso era stato accettato. Come del lubrificante dentro le pareti della cannuccia. Il giorno dopo ho pagato il prezzo. Mi piace pensare che ci sia un Disegno per tutto, come se il karma fosse tornato pari. Avevo avuto culo, avevano accettato il ricorso e però dovevo perdere qualcos’altro: la felicità e la serenità.
Adesso che ho già perso la serenità (anche quella poca che avevo ritrovato), oggi 5 Novembre che ho la schiena che sta cercando di farmi sembrare vecchio, oggi che m’hanno comunicato che il ricorso lo hanno accettato solo per un terzo, oggi sono incazzato. Non ho spaccato ancora nulla perchè sento che non è giusto, perchè l’ultimo anno ha ancora un senso per me. Ma se il Disegno vuole essere coerente, domani dovrei ritrovare la felicità, estrema e disinibita. Tipo una vincita di 12000$ durante una partita di briscola in cinque, per esempio…

Sono molto buffo

C’è di che confondersi: un dolore costante all’orecchio, un pelo incarnito vicino all’ombelico, lo stomaco che si contorce per l’antibiotico contro le infezioni del condotto uditivo e tre giorni per sapere che razza d’anno sarà quello che verrà.

Forse mi aspetta il fianco della montagna più ripido dei miei ultimi venti anni di vita. Durerà anch’esso trecentosessantacinque giorni, spero almeno. Ci mancherebbe solo l’anno bisestile, cazzo!

Io e la fatica

Vai, vai che ci riesci. Non si rovescia un bicchiere pieno d’acqua, non si sbatte la testa contro il muro. Attento e misurato, pensa e non sbagliare mai. Il perdono non è tollerato, e poi – noi sì, lo sappiamo – non ci serve. Altre salite, le vedo. Scambio di sguardi, c’è intesa. So ancora correre, so ancora cos’è la fatica; tra me e lei c’è assoluto rispetto. Passerà, è appena passato. Sì è vero, è stato poco. Quei quattro giorni sono passati troppo in fretta. E già tornato il fiato grosso, sì ho assoluto bisogno di un nuovo respiro. Ma passerà ancora, anche questa volta. Voglio respirare, io lo voglio. Un giorno tutto questo cambierà, ma nel frattempo io e la fatica ci rispettiamo. Ognuno fa almeno metà del suo dovere.

In quel posto

Io in quel posto non ci torno più. Non ci torno più, finchè non salirò le scale a quattro a quattro, finchè non tremerò per l’attesa, finchè non sorriderò ai bambini.
Io a vedere gente che parte, altri che arrivano, gente che si saluta, donne che piangono, io a vedere ciò non ce la faccio.
Che razza di posto è uno che accomuna gente che piange, gente che si da l’ultimo bacio e gente che apre le braccia incontro a ciò che più ama, felice come se fosse il primo giorno di una nuova vita.
Io in quel posto non ci voglio più andare, se non per aprire le braccia.

FDC – 3

Benvenuti, salve, Buonasera. Pertanto dicevo: eccoci dunque.
E’ quindi arrivato il momento di tirare fuori le palle, adoperarle quando la situazione le richiede.
Spegnere i contatti col mondo esterno, ridurre la durata degli svaghi, minimizzare gli spostamenti improduttivi.
Testa e palle, testa e palle.
Il secondino presto arriverà e dentro tornerò. E’ finita la mia ora d’aria. 
Testa e palle, testa e palle.
Se non riesco dovrò provvedere a cambiare qualcosa.
E’ il momento adatto. Faglielo Vedere.  

Oggi, un pò di ieri e tanto domani.

E’ un periodo in cui mi mancano le parole. Me ne sono reso conto: immagini, video, canzoni. I post che necessitavano l’intervento del mouse per scender pagina sono ormai vecchi, sono ormai parte di quel magazzino sempre troppo pieno. Un magazzino che ha scritto all’entrata “Ricordi”.

Mancano solo le parole, per il resto sto accumulando carriole di nuovi ricordi. Ben presto dovrò far riaprire il magazzino dei ricordi felici, di sicuro ci sarà tanto ordine. Beh, lo ammetto: non sussiste la possibilità che ci sia del caos là dentro, ma ci stiamo lavorando affinché avvenga :)

Non sono particolarmente triste oggi, beh diciamo che non ho ancora bisogno del giro lento in macchina. Domani vado a Milano, fra due settimane ho un esame importante, ho passato un’ottima estate che adesso è finita…ma non riesco a stare triste.
Oh cazzo oh cazzo, no forse non mi sono spiegato. Oh cazzo.
Che davvero stia cambiando ? Niente più “fasi martufe” ? Aspè un attimo Gioele, non cambiar tanto in fretta…cioè..si cambia…oh cazzo sì sono disorientato.
Ho un mondo da imparare, e io sono nella fase “aiutati col battere le mani e scandiscimi la parola casa”

Ca (clap)- Sa (clap)

Imparo in fretta, si fa così e così, questo lo devi fare e quest’altro no: è poco umano.
Li posso mostrare i denti serrati quando sono incazzato ? Ah…non devo mai essere incazzato ?…
Vabbè…ok..lo ammetto: non è facile, anzi.
Via libera ai ricordi tristi, due immagini di quest’estate: sbatabum!
C’ho in cantiere un pensiero sulle errate valutazioni degli attimi di vita. Ci penserò.

(sigh)