Archivi del mese: febbraio 2012

Ciò che collega la conoscenza degli alberi a un colloquio di lavoro

L'aspetto di Pino

Oggi ho avuto un colloquio di lavoro. Scriverò qua ciò che ricordo della giornata, un po’ per il vostro diletto un po’ perché sarà importante leggermi quando le cose saranno diverse. Adesso sto ascoltando gli AfterHours, sto per prendere una birra in frigo e non ne escludo una seconda per il definitivo ma voluto Knock-Out (la birra è una Peroni, anche se sono in Canada io bevo italiano).

Come potete vedere nella foto mi sono vestito elegante. La saturazione non permette di vedere i colori e il colletto del maglione mal sistemato non permette di vedere la cravatta. Dettagli comunque non importanti nello sviluppo degli eventi. Fatemi solo aggiungere che più la guarda più la amo: la cicatrice imperfetta ma vera che ho sulla fronte. Mi sono tagliato i capelli, mi sono persino rasato la barba e ho indossato quella che ritengo la miglior camicia che ho: la camicia della laurea. Per via della scaramanzia sotto la camicia avevo la maglietta del “Sarebbe bello”. Se non sapete di cosa sto parlando vaffanculo e continuate a leggere (ve l’avevo detto che sto bevendo birra). Ho ripassato le domande più comuni in un colloquio di lavoro, sono arrivato con mezz’ora di anticipo. Ho parcheggiato e poi aspettato un quarto d’ora in macchina. Quando aspetto mi scappa di fare la pipì, come quando giocavo a nascondino e toccava nascondersi e stare zitti. Come quando devo andare a mangiare con una che mi piace e mi viene da vomitare. Interessante questi messaggi che mi manda il cervello. Quindici minuti dell’ora stabilita entro nel locale, molto bello e creativo

Non era esattamente così, ha cambiato stile. Ma è altrettanto creativo!

Subito ho capito che la giornata non sarebbe stata delle migliori. E non perché stamattina Victoria ha (in ordine) avuto il sole, ha nevicato, grandinato e nuvoloni sparsi (e questa non è una delle mie esagerazioni, tutto vero sto giro). Il fatto era che all’ingresso ci stava un foglio su uno sgabello su cui era scritto firma qua se vorrai avere un colloquio. Confusione, perché non sono l’unico ma bensì il #9, ma che sta succedendo…
Il fatto che solo oggi siano stati intervistati almeno 15 canadesi non mi rende, povero italiano che ha il vizio di mangiarsi le parole anche in inglese, sbagliare l’accento delle parole con l’acca e non conoscere gli aggettivi scoglionati che lì usano nei menù, proprio in pole position. Ho gestito le emozioni e ho sorriso a un paio di bone ch’erano in fila. Una aveva un profumo che i miei ormoni hanno ritenuto interessante.
Quando è arrivato il mio turno mi sono alzato, ho ripetuto quattro volte il mio nome per poi arrendermi e dire che mi si può anche chiamare Joe (che Giò lo leggono G i o) e mi sono seduto in fronte a tre persone, due donne (una bellissima) e un uomo col ciuffo all’emo-Hitler.
Inizia a parlare uno dei tre, la capa chiaramente. Spiega che il ristorante è a conduzione familiare, che l’ambiente è molto creativo e perciò cercano gente particolare (ho scordato di dirvi che mentre mi stavo sedendo la capa ha commentato suggerendo che assomigliavo a uno di un (imprecisato) reality). Subito la prima domanda, anomala: cosa mi rende creativo? A prima domanda anomala rispondo con prima bugia innocua: in Italia sono un fotografo, amo l’oceano di Victoria e spendo ogni fine settimana a fotografarlo. Ognuno dei miei parenti ha una mia foto nella loro casa. Ritengo questa risposta adeguata alle loro aspettative e alquanto soddisfacente. La leader continua a spiegare che non si lavora in tanti, il massimo è intorno alle 3-4 persone e tutti spartiscono le mance in modo equo. Mi è sembrato molto giusto, considerando che avevo già realizzato che non sarei stato assunto per quella posizione per cui mi stavano intervistando, e che quindi il prossimo potenziale lavoro è per una posizione di lavapiatti (non così famoso per prendere mance).
La successiva domanda rientrava fra le più comuni: “Qui dovrai spiegare il menù ai clienti, il nostro menù è scoglionato quindi ti chiederanno un botto di cose e la musica sarà abbastanza rumorosa. Dovrai urlare più forte della musica, ti senti a tuo agio nel far questo?”. A questa domanda ho percepito il primo segnale che l’essere italiano sarebbe stato un difetto questa volta. Ho deciso di non girarci intorno e ho citato il mio già chiaro accento italiano: potrebbe essere diverso da ciò a cui i clienti sono abituati ma non essendo timido bensì estroverso non sarà un problema. L’ostacolo l’ho toccato, ma l’ostacolo era stato superato. Un altro paio di domande pressoché inutili (cazzo chiedi a fare ad un italiano qual’è il suo cibo preferito), ho posto io un paio di domande (se le ore di lavoro sono fisse o se variano di giorno in giorno) fin quando è stata data la parola allo chef che ha fatto una domanda intelligente ma devastante per mio punto di vista: “Se sei uno studente hai un permesso di lavoro, quand’è che scade?”. Qua non si può mentire.
Fin quando s’arriva alla domanda interessante: se tu fossi un albero, che tipo di albero saresti?
Io in un secondo scarso ho pensato: ommioddio non so un cazzo di nome di albero in inglese – Mò dico il primo che mi viene in testa – Carrubbo – Cazzo ne so come si dice carrubbo in inglese, e poi loro manco lo sanno che è – Oddio sono morto – Minchia, cimitero – Pino – Pine. Dovete sapere che ho sempre confuso i cipressi con i pini. E quando m’hanno chiesto il perché della mia risposta, sono venuto fuori con una risposta degna dell’assunzione immediata: perché il pino non si trova dovunque, perché il pino è alto, è come una statua, non importa chi sei lui è più alto di te, il pino è una specie di albero…di albero speciale.
E così finì il colloquio, strette di mani e nice to meet you.

Se mi assumente vuol dire che davvero il pino che sono è speciale, se non mi assumente che il bello alto pino vi si conficchi dietro nel culo fintanto che non capite chi vi siete persi: un italiano a cui piace la pasta e assomiglia ad uno di un reality!

Le svizzere, la cocaina e il timore del lavapiatti

Oggi s’è concluso l’ultimo giorno di scuola. Era iniziato tutto qua

Partiamo con le precisazioni. Se disprezzavo le relazioni sociali presenti in quella scuola, col senno del poi posso dire che sono quello più conosciuto là dentro. Nessuno è veramente mio amico ma se chiedi dove sta l’italiano quelli ti portano dritti da me. E non perché faccio il tamarro, giusto un pochino (camicia e maglioncino che fa sempre figo).
Un’altra precisazione riguarda la Svizzera. Parlavo di una svizzera ed è andata a finire che adesso ne parlo di un’altra. Sempre di svizzere si tratta, la prossima volta che ne incontro una ci sto attento. Alcune di loro hanno il fascino dell’impenetrabilità (caratteriale). Poi sono pure ricche (tutte!) e questo è un fattore da considerare nell’equazione delle relazioni sociali. E ve lo dice uno che per poco non c’aveva il bue e l’asinello a scaldarlo (senza scomodare esempi altisonanti, si capisce). Ma per tornare in tema di teorie, se qualche giorno fa ho dato una botta di pedale troppo potente, io -uomo cauto e coscienzioso- mi sono buttato tutto dall’altre parte (che fuor di metafora si chiama martufaggine (che fuor di dialetto umbro si intende misantropia)). Così oggi ho detto un goodbye agli inglesi, un adieu alle francesi e un adeus (ma questa è la versione formale, tchau è quella fra amici) ai brasiliani e me ne sono tornato a casa sotto un piogge battente.

Adesso mi aspetta il lavoro. Ho due proposte di lavoro scottanti e, quindi, altrettanti colloqui di lavoro. Uno domenica e uno sabato. Il primo è la migliore che mi potevo aspettare dalla scuola: bartender, barista (che in inglese vuol dire solo quello che fa il caffè), cameriere e sparecchia-tavoli. Sarà uno stipendio da 10$/h ma il posto è carino ed elegante e questo vuol dire tante mance, che ci vuole n’attimo che arrivino alle 20$ per ora. Nessuno sbaglio, è un arrotondamento per difetto.
La seconda posizione è un posto in cucina, sguattero. No, non c’ho girato intorno. Questo significa il lavoro più duro che c’è in cucina, no mance e stare perennemente piegato su un lavandino con le mani a mollo toccando le schifezze che gli altri non hanno voluto toccare. Sempre 10$/h, ma non c’è bisogno di ripeterlo due volte che darò il massimo nel primo colloquio.

Che poi a dirla tutta quest’estate ho lavorato a 3€/h e le mance me le ha date solo il batterista di Vasco Rossi. E quello che mi ha chiesto se c’avevamo la cocaina!

Gli ho risposto serissimo che dovevo controllare in magazzino.

La cuore-cicletta

Achtung Achtung, sto per esporre una mia nuova teoria che pretende di essere universale, vera e valida per ogni periodo dell’anno comprese il primo d’Aprile e il ventinove di Febbraio quando c’è. In realtà funziona solo per me, non sono sicuro della sensatezza e della sua validità nel corso del tempo. L’ho già detto che è nuova, lo dovevate immaginare.

Nonostante quello che vado dicendo emozionalmente sono come un uovo di quaglia: puzzo e sono deboluccio. Ma col cervello funzionante ho pensato a una teoria, ancora una volta ispirata a una storia vera: la bicicletta. Anzi, il principio con cui la bicicletta sta su. Perché è veloce, cade un po’ a destra e un po’ a sinistra e quindi sta al centro in una maniera elegante e intrigante. Ma quando la lasci andare la bici prende e casca disgraziatamente, cioè voglio dire…in un modo sgraziato.
Ed è così che funziono, che le mie emozioni funzionano. Do al mio cuoricino un botto di input: quattro cinque brasiliane, una francese, svizzere a signori buonu ciui. Non faccio l’italiano come tutti a scuola pensano, è solo che c’ho paura che la mia cuore-cicletta prende e casca. E quando si casca fa male, nel cuore ci passa il sangue. Tanto sangue. Spiegando la metafora una caduta con la bicicletta vuol dire cascare innamorati, falling in love. A me, essendo italiano e quindi religioso (ironia pungente), mi è stato insegnato di amare il prossimo. E così io faccio. Prende e casco. Senza casco, io casco. Cascare mi fa male, e non ditemi che questi cascamenti vi stanno facendo cascare le …braccia. Romanticamente potrei dire che sono fatto per amare, ingegneristicamente potrei dire:

if(love())
then {existence() is true}

Non conta come lo dici, conta che so quello che sta facendo. Sto cercando solo di salvaguardare l’integrità delle mie emozioni. Perché se cadere fa male io voglio cadere solo quando ne vale la pena, worth it!

Perciò anche se questa svizzera profuma come le nuvole prima di un acquazzone, guardati sto film e riaccompagnala a casa. N’amu capitu bestia?
E se chiede di più?

Pensieri recenti dispersi tra passati ricordi: un’insalata insomma!

Era dicembre e stavo attraversando il periodo più merdoso degli ultimi anni. Per quanto la torre di Pisa sia inclinata essa rimane uno spettacolo, un magnifico esempio di architettura italiana. Ma è quando che sarà cascata che si vedrà chiaramente il vuoto che lascerà, la gente inizierà a dare maggior valore alla loro foto-clichè mentre fingevano di sostenerla. Pensate adesso che io quella torre l’ho cercata di sostenere davvero, fin quando esausto, ho deciso di evitare il peggio e di lasciar accadere gli eventi. E’ un bel racconto per descrivere ciò da cui stavo cercando di riemergere, c’è qualche minchiata ma del resto che cosa ci si può aspettare da un blog con questo titolo.

L’altro giorno pensavo a quel dicembre 2010. Quando Khadir non era in stanza e io stavo quasi al buio, che tutti lo sanno che a me la luce di notte confonde. Mi rantolavo e abbracciavo un cuscino, battevo i pugni sul tavolo chiedendo a qualcosa fuori dalla finestra del terzo piena della Casa Dello Studente perché. E siccome nessuno mi ha mai risposto ho escogitato qualcosa altro. Mi alzavo da quel letto di sofferenza e sonno e mi mettevo al mio pc, con accesa la lampada grigia da 5€ dell’Ikea che adesso duli sta riciclando e sognavo del Canada. Cercavo la migliore scuola e la migliore in questo caso vuol dire la più economica. Cercavo il migliore programma ma ero un dilettante: 8000$ per 7 mesi era stata la migliore offerta. Dove cazzo li avrei trovati quei soldi? La cosa fuori della finestra sempre zitta.

Poi però trovai questo programma che prevedeva quattro mesi di lavoro pagato. Facendo quattro conti era già Febbraio e venivano 1000$ alla fine degli 8 mesi. 1000$ erano più facili da trovare, il mio culo era salvo ancora una volta. A quel punto dovevo studiare, laurearmi per tempo, darmi piattaforme, sperare che il mio doppio permesso studio/lavoro venisse accettato, lavorare per tutta l’estate e forse poi potevo andare in Canada.

E adesso io sono qua, mi sento completamente realizzato e non ho (ancora) rimpianti. Mi sento un uomo migliore, fuori dalla finestra non arrivano risposte ma da dentro il mio corpo c’è una energia che avevo dimenticato di avere. Inoltre riesco a sostenere una conversazione importante con una persona importante senza vomitare la bile, mi sembra un passo avanti da sottolineare.

Perciò mamma non puoi piangere, qua tutto va persino meglio di come avevo immaginato. E lo sai che c’ho una fantasia che non basta un muro da trenta metri per scriverle tutte. Prometto di fare il bravo, di fare il simpatico e di guadagnare tante mance che così vieni qua presto. Del resto si tratta di qualche mese.

Il telefono d’oro

Mentre scattava delle fotografie all’interno di una chiesa, un fotografo americano in vacanza a Orlando notò un telefono d’oro attaccato al muro con la scritta : Ogni telefonata, 10.000 dollari.
L’americano si incuriosì, e chiese a un prete che gironzolava attorno a che cosa servisse quel telefono.
Il prete rispose che era una linea diretta con il cielo, e che con 10.000 si poteva parlare con Dio.
L’americano ringraziò e se ne andò per i fatti suoi.
La tappa successiva fu Atlanta. In una grande cattedrale notò il medesimo telefono dorato con la medesima scritta.
Si domandò se fosse il medesimo tipo di telefono che aveva visto a Orlando, e chiese a una suora a che cosa servisse.
Gli rispose che era una linea diretta con il cielo, e che con 10.000 dollari avrebbe potuto parlare con Dio.
Grazie, rispose l’americano che andò poi a Indianapolis, Washington, Philadelphia, Boston e New York.
In tutte le chiese vide il medesimo telefono d’oro con la medesima scritta : Ogni telefonata 10.000 dollari.
Mentre lasciava il Vermont, l’americano decise di fare un salto in Canada per vedere se i canadesi avessero il medesimo telefono.
Arrivò in Canada e anche là, nella prima chiesa in cui era entrato, notò il medesimo telefono d’oro ma questa volta la scritta recitava : chiamate gratis.
L’americano rimase sorpreso e chiese spiegazioni al prete. “Padre, ho viaggiato attraverso l’America e ho visto il medesimo telefono d’oro in molte chiese. Mi hanno detto che è una linea diretta con il cielo, ma negli Stati Uniti il costo è di 10.000 dollari. Come mai qui è gratis?
Il prete sorrise e rispose :”Figliuolo, adesso sei in Canada…è una chiamata urbana”.

Fonte: http://canadajokes.com/phone-line-to-heaven.html