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Me la sto troppo quagliando

Questo post è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale, per il bene dell’uso dei congiuntivi. A volte bisogna pensare anche a loro.

Né il budino né le profezie. Niente di questo in questo posto, niente post almeno per questo giorno. Ma solo per questo: che a giorni inizia la valanga di esami e che il mio cervello è spugna. Scottex di quelli che asciugano tutto ma il mio non è come quelli che non finiscono mai. E’ proprio per questo ultimo particolare che c’ho bisogno dei pizzini sottobanco, proprio stanotte ho decretato dove e come saranno collocati questa volta. Vabbò potrei farne anche a meno, il mio scottex-cervello avrebbe però bisogno di più tempo per accumulare tutta questa acqua-conoscenza che si è sparsa per terra-libri.
Un mio prof, quello che ci ha cercato di insegnare la materia più difficile dell’anno (parole sue eh!), ha terminato il corso presentandoci un ulteriore presentazione di slide. Erano diverse, ci spronava ad avere hobby, a divertirsi a non morire d’ansia il giorno prima dell’esame e specialmente durante l’esame stesso. Che alla fine un esame è solo un apostrofo rosa tra le parole t’acquaddgiasti! (termine in siciliano stretto che è meglio lasciarlo in siciliano: nè stai diventando denso sei fritto possono rendere l’idea).
Io mi sto già trasformando per questi esami. Ad esempio, c’ho una maglietta da lavare. In realtà c’ho due sporte del gs piene zeppe di vestiti da mettere in lavatrice. Ma come dicevo in un mio precedente post non si può mica fare una lavatrice prima di un esame. Eppure lì c’è la maglietta porta fortuna, quella nera con la scritta motivante. Sono entrato in un ciclo infinito che forse mi porterà a farmi una doccia con la maglia addosso, per lavare me la maglietta ed evitare la maledizione della lavatrice prima di un esame. L’altro giorno sono entrato coi calzini dentro la doccia e me ne sono accorto troppo tardi: ingegneri, valli a capire!
Ho già iniziato ad assumere quelle sostanze dopanti che mamma dice che fa bene prendere: qualcosa che si scioglie in un bicchiere e poi lo bevi e diventi molto intelligente, non senti più la stanchezza e ti riescono gli esercizi. Io so che poi non è che avranno chissà quale effetto ma il trucco è convincersi che sì, col cazzo costano 10€, funzionano egregiamente! Ecco funzionano nel senso che io credo che funzionano, e quando si crede a qualcosa quella cosa inizia ad esistere, e dopo inizia a funzionare. Solo se si è veramente bravi quella cosa inizia a fare quello che vuoi tu. Io una volta credevo che saltando da un divano di testa con un cuscino in mano sarei potuto atterrare sano e salvo se nella fase di volo avessi posto quel cuscino fra la mia faccia e il pavimento. Effettivamente sarebbe stato come saltare su un cuscino. Poi mi sono sfracellato una narice, e non si sa come adesso non si vede nulla. Ma io c’avevo creduto veramente, è per questo che i bambini saranno sempre un passo avanti. Riescono a sognare e a immaginare anche cose totalmente insensate, riescono a buttarsi d’istinto. Del resto cos’è altro è la razionalità se non evitare ciò che è istintivo? E chi è mai riuscito a evitare un buco nell’acqua, chiaro, nessuno ci è mai riuscito. Senza buchi nell’acqua non si può sviluppare l’abilità nell’evitarli, non tutto quello che non si condivide è sbagliato.
Non sarò il più intelligente (che continuo a scrivere inteliggente e poi a correggere), non passerò tutti gli esami “a prima botta”, non sarò il più povero nè il più ricco, non sarò mai l’uomo perfetto ma un brav’uomo questo sì, ma una cosa la so tropp’assai: che sbatto i piedi più forti di tutti e tutto, nonostante tutto e tutti. C’ho una vita da riscattare, e anche se ciò non è vero, l’adrenalina-placebo che ne deriva mi rende così. Il migliore asino che si possa conoscere.

I love shopping

Oggi giornata di shopping. Eh? Io shopping? No beh c’era anche la mamma, che m’accompagnerà da contratto fin quando non passerà il testimone a un’altra donna (qualità da inserire nella lista della “Donna per me, how to”).
Si è stato così, e sono pure alquanto soddisfatto di ciò che ho comprato. C’era questa opportunità, un negozio che faceva gli sconti. Uno di quei negozi che per entrare devi suonare (e chissà se ti apriranno…) manco fosse una gioielleria, manco fosse una banca. Quando mia mamma ha preso a casa un maglione da 400€ abbiamo capito l’andazzo.
Alla fine per meno della metà del valore di quel maglioncino (che io avevo impunemente etichettato da vecchio (cazzo era marrone chiaro e marrone scuro, coi rombi dappertutto)) ho acquistato un completo di Enrico Coveri ( l’ho appena cercato su google a testimoniare la mia familiarità con questi cosi) e un maglioncino rosso di Rodrigo o qualcosa di molto simile.
La novità è che ho comprato un pantalone invece che un jeans, sto proprio diventando un vecchio. Altra novità è che non è colore jeans ma questo credo sia giusto dato che non è un jeans.
Il commesso dice che c’ho le cosce piccole. Dammi sei mesi e tutti mi diranno quanto ce l’ho grosse, le cosce.
Il tutto in meno di un’ora, con tanti cambi quanti capi acquistati, indolore. Lo shopping dovrebbe essere così: guardi quello che vuoi, se ti piace tantissimi provi la tua taglia, se ti continua a piacere anche su di te allo specchio allora acquisti. Ed esci dal negozio. Tutto il resto è soltanto del tempo violentato e sottratto ad altre attività più interessanti, meno scomode e sicuramente più economiche. Cazzo tre giorni di lavoro per due maglioni e un pantalone. Però sono belli.

Making a pudding…

“Ma che ci devi fare con 3kg di budino?” (In realtà sono 3kg di latte, se aggiungiamo tutto il resto siamo quasi ai 5kg)
“Come che ci devo fare? Mò manciu tuttu!”

Oggi il portiere m’ha detto che sarebbe meglio comprarmi un vestito che comprarmi da mangiare. Che vuol dire non lo so. In ogni modo mi sono divertito tantissimo con quell’affaro diabolico dal nome invitante.
Alla prossima.

Messaggio a mia madre

Cazzo. Come ho fatto a non pensarci prima. Ho fatto un pò di chiamate, una a dire al vero, per sentire la voce di qualcuno. Qui in stanza c’è il frigo che fa uno strano rumore, la ventola del fanculor che soffia aria calda e quella d’aspirazione. Ma nessuno di questi silenzi riesce a farmi compagnia realmente. In realtà mi trovo in quello spiacevole momento della vita in cui ti ritrovi a necessitare dell’unica cosa che ti manca. Terribile.
Allora ho pensato, per farmi ridere, che ho trovato la giustificazione della mia secchezza. Non delle mucose, non delle labbra, di tutto insomma. Di me.
Mà, peso 62kg con i vestiti perchè sono sciupato dalle pene (questo termine è piuttosto cacofonico in questo contesto). Mi stanno consumando, le vertebre stanno prendendo il sopravvento, puoi farmi  una radiografia a occhio nudo, puoi vedere se il cuore batte senza poggiare l’orecchio al petto.
Ma poi, un giorno, tutto questo passerà, avrò molti soldi, sarò felice (è una coimplicazione della speranza precedente) e allora sì che ingrassero (eeeh avojia).
Ho un motivo per essere secco, finalmente. La bilancia che pesa la felicità. Ci voleva proprio…

Come diventare uno speleologo

Non so come iniziare, quindi “Non so come iniziare” potrebbe essere un buono inizio per iniziare. Ho già detto tre “iniziare” ma non ho ancora iniziato. Ok, inizio.
Non me ne sono accorto da solo, è stata un’altra persona a me cara. Poi uno va avanti, si guarda intorno con l’occhio critico e la mente fresca di “rimprovero” e si accorge che oltre ad essere cara quella persona aveva ragione (come sempre il premio nobel per la discrezione se lo aggiudicherà qualcun’altro).

Madre + Padre + qualche figlio in ordine sparso + casa con camino(ma anche senza) + un paio di automobili = Felicità alquanto pronunciata e saldamente radicata

Pare che però non sia così, ma io questo non lo so. Potrei fidarmi, ma potrei anche essere scettico. Oppure potrei fidarmi ma solo a metà. O solo per cinque settimi. Diciamo che prendo in considerazione l’idea che forse non è così. Solo che quest’estate sono andato a trovare un mio amico, e la sua famiglia mi sembrava perfetta. Si rideva abbastanza, c’era del buon vino, si poteva scegliere che canale guardare in tv, le auto c’erano, la casa pure…insomma se fossi un assistente sociale con la cravatta e una cartella bianca avrei messo un check verde sulla casella vicina a questa famiglia!
L’anno prossimo emigro: per adesso è la certezza più affermata. Pare in Canada, sulla costa pacifica. Ma potrebbe essere in Australia, dove pare abbia dei parenti lontani. C’è chi si domanda se davvero voglio partire, ma l’età del voglio il giocattolo/no non lo voglio più ne voglio un altro si è già esaurita. Ragiono, a volte lo faccio, poi valuto cosa mi lascio indietro e cosa potrebbe corrermi incontro e scelgo fra le uniche due opzioni che ho: tiro il freno a mano a quello che voglio essere, scendo e spingo la mia fantasia.
Questi sono giorni importanti: sono al terzo anno di ingegneria e devo decidere se chiudermi in un garage e sperare di inventare qualcosa, o se aumentare in modo drastico le probabilità di riuscita. In ogni cosa, riuscire in ogni cosa. Come quel mio prof che s’è fatto male ad una spalla, che ha ucciso un gatto quest’estate e che adesso va in Francia a fare cosa neanche lui lo saprà…
Veniamo al punto principale di questo post (e se volete una mia opinione di tuuuuutto ciò che è tangibile a questo mondo): i soldi.
I sogni costano soldi, col cazzo (su cazzo ci sta l’enfasi di uno che vuole dire una parolaccia per attirare l’attenzione) che sognare è gratuito. Sognare vuol dire avere un milione di lire per andare dall’altre parte del mondo, all’America probabilmente. Averne 8000$ per fare un corso d’inglese, più tutti gli spiccioletti che servono per comperarti acqua, tonno in scatola e cose di questo genere. Poi sognare vuol dire avere da qualche parte fra le tessere (quella del PAM esclusa ovviamente) altri 12000$ e rutti (o si dice e rut?o forse r00t?) per andare a Chicago, che per disgrazia pare che si trovi sempre dall’altra parte del mondo, al continente. Lì’ con un pò di coraggio, con due palle così e un pizzico di fortuna potrei ottenere un MASTER IN COMPUTER SCIENCE (in inglese fa figo eh?), e aprire l’orizzonte della mia riuscita. E’ il sogno all’italiana: emigrare in America, e fare proprio il sogno all’americana. Lo ha fatto lo zio della mia mamma, e lo zio del mio papà, o lo zio del nonno che sia. Cinquant’anni fa, senza un dollaro, senza la conoscenza della lingua inglese, senza scaip, senza globalizzazione. Lo fecero perchè avevano un obiettivo: migliorare la loro qualità di vita realizzando ciò che, rimanendo in Italia, non avrebbero potuto fare. Non posso neanche lontanamente pensare che io oggi non sia in grado di poterlo fare. I soldi sono pochi, c’è la crisi che avanza e stamu arristannu tutti a peri? C O L CAduezeta e una O. L’unica cosa che mi può fermare è mia madre o mio fratello che mi chiedono in lacrime di restare, lì con loro. Ma mia mamma mi ha già dato piena disponibilità (ora ci vulissi na bella American Express però, mà…), e mio fratello appena sarà pronto potrà ripercorrere i sentieri già tracciati (o può conoscere la paura e la gioia di essere libero).
Perciò signora, mio figlio sarà libero di emigrare se lo vorrà fare. Piangerò di nascosto, sarò raggiante con lui. Spero di non esserlo mai, un padre che piange davanti a suo figlio implorandolo di restare e poi essere raggiante di nascosto.
Oggi il tipo che presentava il master ha detto che non cerca gente che è ricca, nè gente che vuole andare lì per trombare (questa l’ho aggiunta io, ma guardando quel prof ben benino mancava poco che gli scappava). Ha chiesto di gente veramente intenzionata, che ha volontà ed è pronta al sacrificio. Io lo guardavo fisso dicendomi nella testa sono io quello che cerchi sono io quello che cerchi. A un certo punto mi ha guardato pure lui, minchia dico io, funziona sono io quello che cerchi sono io quello che cerchi, ho continuato a pensare.
Ora tornando a noi mà le cose sono chiarissime: posso fare il mafiosetto di provincia, posso andare per la strada di catania, ma Giulia dice che non me se vole nessuno. Oppure posso fare il panettiere, o il camionista. No il camionista no che poi mi vengono le emorroidi a stare sempre seduto. Ho trovato: voglio fare lo speleologo!

Ferro ignique

Ferro ignique

Adesso è così: col ferro e il fuoco. Non ce ne fotte a nessuno (sic) chi sei, perchè stai barcollando sotto i colpi impietosi della vita. Là fuori sei solo, davanti quel foglio interamente bianco ognuno esprime il suo istinto primordiale. Ferro ignique, bisogna stringere un cuscino fra i denti quando ti spezzano le speranze e mordere. E mordere più forte che puoi.
Di tutto ho timore e di poche cose ho certezze. Che io i denti li so stringere meglio di tutti gli altri è una di queste. E’ una cosa così che sento, sento di essere il migliore in questo. Cederei tutto il corso della mia restante vita a chi ha voglia di rovinarla senza nessuna paura di ripensamenti, non prima però d’aver posseduto fra le mie mani l’intera realizzazione di ciò che voglio.
L’altro giorno, che poi sarebbe ieri ma sempre d’un altro giorno trattasi, avevo mal di testa, caldo e un puttusu nello stomaco, dato che la nausea pre durante e post esame m’hanno alterato il normale ciclo biologico cibo-cacca (adesso sto tentando di porre rimedio, ho comprato la frutta). Mentre tentavo di tornare a casa, mi sono chiesto il perchè di tutto questo: “che sballo sarà essere una farfalla” ho pensato. Ma poi, ho riso, e tutto mi è sembrato più facile: io sono il migliore a stringere i denti, non ho nessun problema.
Credo d’aver perso un paio di chili, e se penso a cosa avrebbe da dirmi mia madre se mi vedesse in questo momento, mi viene da guardare i fossi che ormai hanno preso il sopravvento sulle mie guance. Il problema non si pone: una cura massiccia di tacchino al forno per un paio di giorni e tornerò al mio peso forma: sessantre chili scarsetti.

Adesso ho voglia di tornare a casa, e quest’evento potrebbe non essere troppo lontano. Di passare la più bella estate della mia vita, coronando quindi il quasi anno più bello della mia vita (che è diverso dell’anno quasi più bello della mia vita). Per il resto, esami a carriolate e 21 che escono fuori come vermi impazziti, sono solo tappe obbligate che devo superare.
Datemi un altro cuscino, il mio l’ho appeno distrutto.

Il cielo è pieno di stelle

E’ tanto che manco da qui lo so, e ancora per qualche settimana mancherò. E’ per via di quei 21 da rimontare, che diventerò cieco, col culo quadro e i tondi in testa. Ho voglia di scrivere molto, ma per adesso trovo giusto il tempo di scrivere margini di fase e guadagni: ideali, reali, ad anello aperto e mi raccomando, se tagli, ricostruisci l’impedenza vista dall’uscita.

Questo se pur breve sarà un intervento nostalgico, c’ho voglia di tornare nella mia casa dalla mia mamma e dal mio piccolo fratello. Per adesso è così che li posso sentire vicino, ricordando le mie ninna nanne preferite. Mamma mia ne sapeva a centinaia, ma queste -chissàperchè- mi sono rimaste dentro.
Buon ascolto :)

Son tre notti che non dormo,      trallallà
sempre penso al mio galletto;     trallallà
l’ho perduto,     trallallà
poveretto,     trallallà
non lo posso più trovar.    
   
Ho girato l’Inghilterra     trallallà
e poi tutta la Germania     trallallà
e la Spagna     trallallà
e il Portogallo,     trallallà
fino in cima del Perù    
   
A voi donne io raccomando,     trallallà
se per caso lo trovate,     trallallà
con bel garbo     trallallà
lo prendete     trallallà
lo portate sino a me.    
   
Ha le ali inargentate,     trallallà
le zampette di velluto,     trallallà
quando canta     trallallà
slarga il becco     trallallà
e poi fa “Chicciricchì!”.



“Il cielo è pieno di stelle
che fan sognare
le cose più belle, più belle, più belle

Tu sogni e guardi lontano
vedi un gran fiume
che scorre pian piano
pian piano, pian piano

Sul fiume c’è una piroga
e dentro questa c’è un negro
che voga, che voga, che voga

Intanto dietro la duna
vedi spuntare pian piano
la luna, la luna, la luna

Il negro lascia il vogare
guarda la luna e si mette a
cantare, cantare, cantare

“Ti prego o madre Luna
fammi trovare anche oggi
fortuna, fortuna, fortuna”

Intanto dietro la luna
vedi calare pian piano
la luna, la luna, la luna

Il cielo è pieno di stelle
che fan sognare
le cose più belle, più belle, più belle…”


Mia mamma, comunque, le cantava molto meglio. Ecco ho detto tutto, che sia una buona notte anche la tua.

Di quella volta che avevo l’acne

Adesso tocca a me. Parlo di ciò che mi è familiare, della mia adolescenza. Sono mediocre in molte delle qualità che un uomo definito come essere vivente dovrebbe possedere, ma se è vero che essere adoloscenti è una fase che ognuno di noi deve attraversare almeno una volta nella propria vita allora non sbaglio se affermerò di esser certo che io sono l’adolescente modello, una sorta di stereotipo per l’adolescente umano.
Nel senso che mia mamma potrebbe scrivere il manuale “Non sopprimere tuo figlio con età compresa fra i tredici e i venti anni: ecco come!“. Nel senso che ho tutti i requisiti necessari per partecipare al concorso universale che premia l’adolescente perfetto.
A 13 anni ho tediato (che goduria questa parola partorita da non so chi, ma presente nelle ricerche su goooogle e quindi usabile per ogni scopo immaginabile) mia madre perchè affittasse nel mese d’agosto una casa sulla spiaggia del mio paese: del mare non me ne fregava più di tanto, era della ragazzina “dai capelli neri con mesh colore oro, corti con le punte all’insù” per cui credevo di provare Amore che m’importava (mia madre che legge, lo scopre solo adesso che sono passati sette anni). Non so se piangevo più io o lei, ma in qualche modo quello era l’inizio della mia adolescenza: femmina, fu colpa di una femmina che io e mia mamma iniziammo a litigare. Passò un anno, e s’avvicinivano i miei attesi quattordici anni: volevo un motore (metonimia) ed ero disposto a tutto per ottenerlo. Lo ottenni, e di questo ringrazio mia madre (e siamo a due). Cosa facevo su quel motore è inenarrabile, quanti rischi si possono correre su due ruote invece mi è noto, più che quotidiano in quei giorni. Avevo bisogno di provare i rischi della vita. C’ero abbastanza affiatamento tra me e la mia vita, ma qualcosa non andava per il verso giusto, come per ogni uomo credo. E io solitamente pareggiavo i conti in sospeso che avevo con la mia vita fornendole la possibilità di riscattarsi, salvandomi in svariate occasioni. Adesso ci amiamo alla follia e abbiamo smesso di stuzzicarci, penso che ci siamo stancati di giocare, si fa sul serio da grandi.
Intanto avevo iniziato a credere che fosse un’altra la femmina della mia vita – e come un corridore che prima si misura con una campestre, dopo con il mezzofondo e infine vuole correre la più nobile della corsa, la maratona, – così io credevo di dover fare il massimo per riuscire nei miei sforzi. Cazzo ne so io cosa può un adolescente. Dicono che sia colpa degli ormoni, questa ribellione infinita, la mia cara vicina di casa dice che è la mancanza di sfuocu: ma è solo una fase della perfezione dell’uomo. Io nella mia perfetta adolescenza avevo visto crescere i peli un pò dovunque, era cambiato il mio tono della voce e mi radevo facendo lo slalom fra le pustole d’acne. Acne, bella storia quella. Inizialmente passavo delle creme (magari se avessi speso tutti quei soldi seguendo il consiglio della vicina di casa avrei ottenuto risultanti migliori), dopo ribellandomi ancora una volta non facevo più niente. Ma soffrivo a vedere che l’unica persona che avesse il coraggio di accarezzarmi fosse mia madre, e di questo ti chiedo scusa. Tre.
L’acne ci riconduce al nodo cruciale della mia adolescenza: la femmina. Un adolescente con dei nobili prìncipi, con le bolle in faccia, con un rapporto controverso con la propria vita non ha vita facile con le femmine. Non l’avrebbe neanche un non-adolescente. Quindi ho creduto opportuno trasformare un muro della mia città per tre metri d’altezza e una trentina di lunghezza in una straziante lettera d’amore. Beh, un uomo con degli occhiali non dovrebbe essere picchiato, così dice il codice d’onore. Ed a un sedicenne innamorato non si dovrebbe puntare una pistola alla tempia mentre scrive sentimenti, uomo della legge, solo perchè non ti fa dormire da notti e notti. Ma così è stato, e adesso ho da raccontare una storia in più ai miei nipoti adolescenti. Di quella volta che ho scoperto che la macchina della polizia non ha la leva per abbassare il finestrino, e che i sedili sono di dura plastica, di quella volta quando ho chiamato mia madre alle cinque di notte da un telefono del comando di polizia quando lei sapeva ch’io ero a letto nell’altra stanza. Potevo forse dirle ch’era colpa di una femmina quando invece di darmi uno schiaffo mi guardò quasi con le lacrime agli occhi chiedendomi perchè, perchè le facevo questo? L’ho fatto già diverse volte, ma le chiedo scusa ancora per la quarta volta.
Io poi ho vissuto, essendo l’adolescente perfetto, anche l’esperienza scappare da casa. Due volte l’ho fatto. In una occasione ho rubato arance per due giorni per sfamarmi, e ho bevuto dalla benevolenza delle signore anziane, ho fatto più di duecento chilometri in bici e sono tornato a casa a piedi dopo aver scoppiato una ruota. Nell’altra avventura lontano da casa mi sono solo lavato col sapone da bucato e studiato Cicerone per l’interrogazione in classico latino. In fondo si sa, sono un bravo ragazzo; e poi prendere otto e mezzo al ritorno da una fuga di tre giorni è una esperienza emozionante. La scusa che mi davo delle mie fughe convergevono tutte su quella femmina che m’aveva annebbiato la percezione della realtà ma in realtà stavo pareggiando i conti con la vita, chiedendole solo cosa sarei diventato. Avevo bisogno di puzzare di Aiax per poter apprezzare fino in fondo lo shampoo che mia madre con premura acquistava. In quei giorni ho visitato più volte la caserma della polizia, ma questo non lo racconterò ai miei nipoti. Vorrei che mantenessero la loro particolarissima originalità. Ovviamente non so esattamente con quale spirito mia mamma abbia passato quelle notte in cui io dormivo in chissà quale giaciglio, pensando chissà cosa. Sarei un ipocrita se dicessi che mio figlio così come me non deve fare, ma sono altrettanto certo che quando mio figlio vivrà la sua fuga da casa io fuggirò “con lui”, trascorrendo la notte a cercarlo.
Ho rotto porte, sfondato lavatrici e vetri delle finestre perchè ero un pò arrabbiato, ho nascosto l’uso della parola a mia madre perchè era in leggero disaccordo con le mie opinioni, ho fatto soffrire mio fratello per i miei capricci. E io lo so adesso, e lo sapevo allora: ho sbagliato. E adesso bisognerebbe chiedere scusa ancora, ma le scuse purtroppo tendono a ridurre la proprio efficacia se ripetute eccessivamente.
Ed è così che adesso io, dal mio letto di Milano credo di poter affermare con sufficiente certezza che la mia adolescenza è destinata a concludersi presto. Ancora una volta io sono rimasto ad osservare i miei cambiamenti, e se è così che è finisce devo ringraziare una donna, quella che adesso mi ascolta quando le mie ribellioni iniziano a ritornare e che, con la sua voce pacata, mi riporta alla calma tipica delle persone adulte. Quella donna che non è scappata dopo aver ascoltato la storia della mia perfetta adolescenza e quell’altra donna che non mi ha mai lasciato vivere da solo la mia adolescenza, queste due donne sono le uniche che devo veramente ringraziare. E le uniche con cui dovrò scusarmi quando inciamperò nelle trappole della mia vita che vorrà tornare a giocare con me.
Ma io sto diventando grande e non ho più tempo per i suoi giochi, adesso bisogna iniziare a far capire alle mie due donne che la loro pazienza non è stata vana.

“Tototo”

Pulizia dei Denti

C’è una cosa che mi ha fatto ridere l’altro giorno, e ieri ripensandoci. Merita di essere scritta, che poi le dimentico ‘ste cose.
Fra qualche giorno torno a casa, di passaggio come passa un temporale d’agosto. Breve e intenso, e lascia il segno: devo fare delle cose importanti, scegliere i punti luce, donare all’Avis, e andare dal dentista. Se ci fosse tempo per qualche altra stronzata non resisterei a farle (forse “prendo in prestito” il motore di Mattia e ritorno a fare il matto, ma solo per un pò, sono maturato ormai…pff).
Dicevo, devo andare dal dentista, perchè mamma dice che ho la saliva di papà. Cioè, io lo giuro, i denti me li lavo ogni sera e ogni mattina, mentre faccio pipì mi disinfetto tutto col colluttorio (quando si dice il fordismo applicato eh) e comunque mi ritrovo con i denti con le carie (non so se si dice carie, ho sempre fatto confusione fra carie, placche e robe varie…io so che sono convinto dopo che da piccolo ho visto “Esplorando il corpo umano” che c’ho dei brutti muratori che stanno nei miei denti col martello pneumatico) . ‘nnaggia, la soluzione è una Pulizia dei Denti dal dentista. Già lo vedo chino su di me con un trapano e un sorriso maligno: “Tranquillo lè, non ti faccio niente muahahah“.

“Mà, m’ha prenotasti a visita ‘nto dentista?”
“Se, dgjoia sabbatu viessu e novi anfacci ‘o spitali”
“Mà, ma quantu si fa paiari?”
“Nun ti preoccupare, nun ci pinzari…”
“Ma tu rimmillu, quantu voli ?”
“‘A come a tutti, chi sarannu…cinquanta, sissanta euru”
“Fiddgju ri doppia buttana…mmm…”

“Mà, sai chi ci rici…cà mi pulizia sulu i quattru rienti ravanti, chiddu ri supra e chiddu ri sutta…l’autri tantu nun si virunu,accussi quanti soddi cecca ?

Non mi si può dire che non sia un bravo ragazzo. No ?

Nè prima nè dopo.

Qualche giorno fa mentre ero in fila al GS ho riflettuto su di una cosa che sarà accaduta circa 6 anni fa.
A quel tempo correvo. Bè corro ancora oggi, ma a quel tempo lo facevo come sport.
Avevo un difetto: non riuscivo mai a capire quand’era il momento del “final rush”, quando si deve dar tutto quel che rimane a disposizione. Ossigeno ai muscoli, dimenticarsi la fatica, per qualche secondo. Credo che non ho mai terminato una corsa avendo esaurito ogni forza.
Quel giorno era davvero un brutto percorso. Una salita interminabile prima del rettilineo di circa 300mt. che portava al traguardo. Due giri.
Avevo un altro difetto: stare primo mi metteva ansia, preferivo restare nel mezzo della corsa e lasciar che gli altri scegliessero l’andatura: riuscivo sempre a seguirla, ma non riusciva a darne una io.
Così dopo il primo giro mi ritrovai ad affrontare quel curvone in salita dietro una decina di corridori, ma mi stava bene così…Il percorso continuava e io appensatito dai miei difetti, restavo dietro. Cercavo di capire quando dovevo scattare, avanzava la stanchezza mentale, stavo per lasciare e accodarmi a quei dieci. Curvone cieco in salita, al termine di questa c’era il traguardo. Attraversato il quale era finito tutto.
Ma avvenne qualcosa. C’era mia madre. Che urlava. E diceva: “Corri Corri li puoi superare tutti…Corri !!”.
Avevo capito, era quello il momento di correre. Mi dispiaceva un poco lasciar indietro quei dieci che m’avevano gentilmente accompagnato per tutto il tragitto, ma la mia mamma m’aveva detto che dovevo correre.
Arrivai secondo, prima ero 12esimo…me lo disse Anna, la ragazza che mi seguiva e che non capiva perchè non correvo.

Naturalmente al GS non pensavo al curvone cieco o a quel tragitto: pensavo a mia madre.
Stava lì, in quella posizione: nè prima nè dopo.
Poteva dirlo troppo presto: avrei speso tutte le energie prima di tagliare il traguardo, che è cosa assai grave.
Poteva dirlo troppo tardi: avrei dato il massimo ma non sarebbe stato sufficiente.

Lei era lì, nè prima nè dopo. La mia mamma.

…perchè ritorno da te (e viceversa!)

Mamma, son tanto felice
perché ritorno da te.
La mia canzone ti dice
ch’è il più bel sogno per me!
Mamma son tanto felice…
Viver lontano perché?

Mamma, solo per te la mia canzone vola,
mamma, sarai con me, tu non sarai più sola!
Quanto ti voglio bene!
Queste parole d’amore che ti sospira il mio cuore
forse non s’usano più,
mamma!,
ma la canzone mia più bella sei tu!
Sei tu la vita
e per la vita non ti lascio mai più!

Sento la mano tua stanca:
cerca i miei riccioli d’or.
Sento, e la voce ti manca,
la ninna nanna d’allor.
Oggi la testa tua bianca
io voglio stringere al cuor.

Mamma, solo per te la mia canzone vola,
mamma, sarai con me, tu non sarai più sola!
Quanto ti voglio bene!
Queste parole d’amore che ti sospira il mio cuore
forse non s’usano più,
mamma!,
ma la canzone mia più bella sei tu!
Sei tu la vita
e per la vita non ti lascio mai più!
Mamma… mai più!

…………………………………………………………..

Per amarti senza amare prima me
vorrei essere tua madre…
Per vedere anche quello che non c’è
con la forza di una fede
per entrare insieme
nel poema del silenzio
dove tu sei tutto quello che sento;
per amarti senza avere una ragione,
tranne quella che sei viva,
e seguire il fiume della tua emozione
stando anche sulla riva;
leggerei il dolore
da ogni segno del tuo viso
anche nell’inganno di un sorriso.
Vorrei essere tua madre
per guardarti senza voglia,
per amarti d’altro amore;
e abitare la tua stanza
senza mai spostare niente,
senza mai fare rumore:
prepararti il pranzo
quando torni e non mi guardi,
ma riempire tutti i tuoi ricordi.

Ma il problema vero è se ci tieni tu
ad avermi come madre:
fatalmente non dovrei spiegarti più
ogni gesto, ogni mia frase:
mi dovresti prendere
per quello che io sono,
non dovrei più chiederti perdono.
Vorrei essere tua madre
anche per questo,
e mille e mille altre ragioni:
ti avrei vista molto prima,
molto presto,
e avrei scritto più canzoni:
forse ti avrei messo in testa
qualche dubbio in più,
cosa che non hai mai fatto tu…
Forse ti avrei fatto
pure piangere di più,
ma non hai scherzato neanche tu…

Piccoli Gioeli crescono (forse): parte seconda

Direttamente dal diario di mia madre sulla mia infanzia:

14 Agosto 1996:


…ti sei ricordato che papà ti aveva promesso che potevi farti il giro in bici nella strada di Busita. io t’ho fatto scendere e subito dopo una vigorosa pedalata…al solito sei sempre “furioso”..è iniziata una discesa, non sei riuscito a controllare la bici e dopo poco sei caduto a capofitto, ho sterzato subito a sinistra e t’ho preso per portarti in ospedale, dove ti hanno dato due punti al sopracciglio sinistro e ho visto che ti sei ridotto la faccia malissimo..”
[…]

“Dopo 48 ore ti abbiamo fatto la T.A.C e abbiamo visto che tutto andava bene.
Tu dopo hai fatto il primo giro in bici


Oggi: sono a casa, beh sono da solo. mamma è al lavoro e mio fratello è ancora uno studente “di quelli forzati”. Ho la musica forte, che la sente tutto il palazzo e oltre. fra meno di una settimana ritorno a milano, dovrò fare la strada inversa e non sono tanto sicuro che adesso i cata-siciliani siano disposti a spingersi per oltrepassare quel gate. del resto anch’io tenterò di prolungare il più possibile la mia permanenza al di qua, io su quel coso pilotato da Caronte nun ci voglio proprio andare.
Beh dai iniziamo, vi devo raccontare di come sono arrivato ad oggi, ad essere quello che sono: sicuro ho sbattuto molte volte la testa.
Beh si, dopo esser nato, aver tentato di sfondare ogni cosa che si intromettesse tra me e i cassetti della cucina pieni di oggetti tanto inutili quanto buoni d’assaggiare..ecco sono cresciuto. Beh cresciuto è una parola un pochino grossa, diciamo che mi son nati i dentini e tante nuovi pensieri per conquistare il mondo: ecco ora se trascuriamo i denti del giudizio (che chissà per quale misterioso motivo tardano a nascere), solo i dentini si sono “realizzati”.

Il primo incidente che ricordo è stato il più stupido, ma che m’ha procurato un 2/3 punti di sutura dietro nella nuca: sotto il tavolo di calcestruzzo m’era caduta na biglia, mi chino la prendo m’alzo sbatto piango. e così adesso, ogni volta che voglio tagliarmi i capelli corti devo raccomandare al barbiere di nascondere quella cicatrice, beh si sulle cicatrici non ricrescono più i capelli.
Altro incidente insanguinato: m’avevano regalato il super liquidatore nuovo, beh non datemi mai una cosa che spruzza acqua nelle mani ( niente riferimenti eh ), dopo mio fratello e mio padre toccava a mia madre: ma ho calcolato male le distanze e sono finito dritto dritto nel cancello ferrato: e così c’ho na cicatrice pure sulla tempia e anche lì devo stare attento dal barbiere: 3 punti di sutura e siamo a 6. promemoria: buttare acqua addosso alla gente può arrecare seri danni alla salute. buon risultato ma è ancora poco. possiamo migliorare.
Casa di mia nonna, ero più piccolino. meno di 6 anni. na volta sbatto sulla spalliera di una sedia, 2 punti al naso. quella volta non lo ricordo.
Sempre da mia nonna, questo è uno dei più significativi…
preparo con cura la scenografia, un cuscino a terra e uno fra le mani: mi metto sul divano, m’alzo prendo la mira e mi butto di testa. dovevo prendere il cuscino…e se non l’avessi preso avevo quello nelle mani..beh..adesso so che sotto il mento non mi cresce più la barba. e che l’attrazione gravitazionale è più giusta di quanto pensassi. e altri 2 punti s’aggiungono alla mia collezione. 8 punti. sto migliorando sempre più.
Ancora più piccolo, avrò avuto 4 anni. Veglia di pasqua: io dico..ma perchè cavolo torturare i bambini e portarli in una chiesa dove tutti hanno sonno, anche il prete ne ha, se poi puoi andare in momenti più tranquilli dal prete e chiedere “scusascusascusa ho dimenticato di santificare le feste, e chiedo perdono anche per gli altri peccati già che sono qua. grazie.cià” ? bah, io dovevo andarci e dovevo pure impegnarmi: dovevo pur far capire a mia madre che non volevo stare lì. Vi siete mai chiesti perchè i bambini quando li portati in chiesa piangono a dirotto ? beh cazzo non è che le presentazioni d’apertura fra bebè-sacerdote siano delle migliori.. “senti bello mio, tu ora entri a far parte della nostra cricca, ma prima ti devo buttare un pò d’acqua qua e qua e qua. “
partiamo dal presupposto che nessuno m’ha chiesto se volevo essere lì e se volevo entrare a far parte di partiti,associazioni e fan club.. poi ok..mi devi buttare anche l’acqua sulla testa..almeno abbi il buon senso di accendere lo scaldabagno no ? e poi che cazzo mi fai i flash in faccia che sto dormendo…e mamma e papà che cazzo c’hanno da essere felici ? bah…
si ecco, così è capitato che quando s’è finita quella messa siamo tornati a casa e io ero felice, d’esser tornato a casa. pensavo pure fosse mattina data la lunga e santa runfata. Così mi sono messo a saltare sul lettone (saltare sul lettone è una delle gioie della vita che mai dovrebbero esser private ai bambini), e saltachetisaltasaltapiùinalto son caduto. ma non per terra, banale. con la fronte sulla sponda del letto. cazzo che male..stavolta nessun punto di sutura, solo qualche cerotto traente. adesso in piena fronte ho un taglio neanche tanto orizzontale che mi ricorda che anche le cose più belle possono far male a volte. ( beh in realtà mi ricorda anche che devo migliorare la mia tecnica di salto sul lettone ).
Beh arriviamo all’ultima, che poi sarebbe la prima per coefficiente di avvicinamento alla morte. mia madre credo che lo ricordi tutt’ora quell’attimo. si mi riferisco all’incidente descritto nel mio/suo diario…io ricordo che dopo il patatrack lei scese dall’auto e mi alzò da terra e mi urlò: “riesci a star in piedi dieci secondi..prendo le scarpe ( ch’erano disperse sull’asfalto ) e metto di lato la bici (ch’era spalmata sull’asfalto) ok??”
io annuì, lei mi lasciò e io precipitai al suolo. lei mi riprese, corsa all’ospedale e due punti di sutura al sopracciglio: ora ho un sopracciglio leggermente storto e il ricordo che il freno davanti NON si deve usare neanche nelle emergenze. e non si deve correre troppo coi pedali se sotto il culo non c’hai almeno una cosa che abbia 26” di diametro.
In realtà ho capito che talvolta è meglio non frenarsi, che se magari non frenavo non cadevo. che prima di gettarsi a capofitto in un sogno, beh è meglio calcolare bene le distanze (non per niente mi sono iscritto ad ingegneria -LL). che anche troppa felicità fa male, così come troppa cocacola o troppa cioccolata..o saltare troppo in alto sul lettone!
…che non conta quanto sangue ti manca in circolo, quanto forte sia stata la botta, se c’avevi ragione o torto, se è colpa del tavolino troppo basso o del cuscino troppo piccolo..
48 ore sono un tempo sufficiente per rifarti un giro in bici: che t’abbia tradito o meno poco importa.